Il Messaggero, 22 gennaio 2024
Cosa dire se si vince un Oscar
È il momento più atteso delle interminabili cerimonie di premiazione, dagli Oscar in giù: non tanto chi vincerà cosa, ma cosa dirà chi vince. Il discorso, insomma: stringato o debordante, polemico o ruffiano e quasi mai salvo rari casi – spontaneo. Almeno negli Stati Uniti, dove il discorso da Oscar ("Oscar speech": c’è anche la pagina Wikipedia) è un’arte in cui nulla è lasciato al caso, a partire dai temi. Il più gettonato oggi, dopo l’esaltazione del sogno americano e della meritocrazia degli anni 80 e 90, è il cosiddetto “virtue signalling”, ovvero “l’ostentata aderenza a temi etici": invocare il rispetto dell’ambiente (Leonardo di Caprio, 2016), sostenere la causa vegana (Joaquin Phoenix, 2020), salvare i delfini (Fisher Stevens, 2009) o sarà il tormentone della prossima edizione, il 10 marzo – supportare la visibilità di una comunità sottorappresentata. LA SFIDASu questo piano si giocherà la sfida tra le migliori attrici Emma Stone e Lily Gladstone, i cui discorsi agli scorsi Golden Globe sarebbero serviti, secondo gli analisti, a posizionarle nella corsa agli Oscar: Stone che sostiene la causa femminile («Sbaglia chi dice che per le donne la carriera sia uno sprint e per gli uomini una maratona»), Gladstone l’orgoglio indigeno. Per entrambe, vale una regola: «Dare a intendere che Hollywood stia facendo tanto per la causa – spiega Steven Gaydos, giornalista di Variety, la bibbia del cinema per poi aggiungere che c’è ancora molta strada da fare». È l’approccio usato l’anno scorso da Michelle Yeoh, che a furia di discorsi inclusivi sui palchi minori vinse su Cate Blanchett agli Oscar, ma non ha sempre funzionato. Per le sue parole sul “gender gap” salariale, Patricia Arquette ammise di aver perso «molti lavori». Ma era il 2016, un anno prima del metoo: Harvey Weinstein faceva ancora paura e lo si poteva persino citare fra i ringraziamenti (lo fece Benigni, subito dopo il celebre scavalcamento di poltrone, agli Oscar 1999). Le regole codificate sono poche, 45 secondi la durata (il record: Greer Garson nel 1943, sette minuti) mai esagerare: nel 2018 Lady Gaga rischiò di giocarsi l’Oscar parlando per 13 minuti di fila al gala del National Board of Review. Ma chi li scrive, i discorsi? Uno “speech writer” professionista non scende sotto ai 500 dollari per tre minuti di testo, e le agenzie specializzate si moltiplicano: la più richiesta è la Fenways Strategies di Jon Favreau, che dopo aver scritto i discorsi per Obama ha aperto una filiale a Hollywood. Il motto: «A differenza dei politici, gli attori sanno come dire la battuta». LO SHOWTra chi si scrive i discorsi da solo, la più brava era la principessa Leila Carrie Fisher, ghostwriter per gli amici. Il più rapido, Clark Gable («Thank you»), la più divertente Meryl Streep («Lo so che state dicendo: ancora lei?»). Il più cattivo sarebbe certamente Ricky Gervais: dopo aver umiliato la platea di super ricchi ai Golden Globe nel 2020, salirebbe sul palco degli Oscar «solo se potessi scrivere io i miei interventi». Non succederà. E in Italia? La pratica del discorso – nella quale eccelleva Ettore Scola – è percepita, fondamentalmente, come una scocciatura. Pochi gli interventi memorabili, tra cui il flusso di coscienza scombinato di Valeria Bruni Tedeschi ai David di Donatello del 2017. Il testo originale fu ritrovato il giorno dopo nella stanza d’albergo dell’attrice, «scritto con mano tenue e preciso come un atto notarile», racconta la direttrice dei David Piera De Tassis, che promette: «Stiamo lavorando per rendere i discorsi, che sono i momenti più belli ed emotivi, parte integrante del prossimo show».IL CONTROLLONessun controllo viene esercitato sui testi dei nostri artisti: unica eccezione, il discorso del premio alla carriera alla Mostra di Venezia, per consentirne la sottotitolazione. Del resto quasi nessuno lo prepara, il discorso. E in caso se lo scrive da solo: lo fa Paolo Sorrentino (che ringraziò Maradona agli Oscar) e il disciplinato Pierfrancesco Favino. Spesso, sul palco, al momento di parlare gli artisti “mollano” i premi a terra o li affidano a qualcun altro: «In Italia la liturgia del palco è un po’ scombinata racconta Laura Delli Colli, presidente dei Nastri D’Argento il tema classico è il ringraziamento alla famiglia, il “mi supporta e mi sopporta”, e il “si è fatto tardi, andiamo a cena"». Durata media dei discorsi: un minuto (record di Emanuela Fanelli ai David, tre). A favorire l’atteggiamento è un pizzico di snobismo, «tenere il basso profilo racconta Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice -, come fosse da sfigati scriversi il discorso», ma anche un altro fattore molto mediterraneo: la scaramanzia. «Io il discorso ai David nel 2020 me lo sono scritto. E mio marito, subito: “ma sei pazza? Porta sfortuna"». Per la cronaca: ha vinto.