Corriere della Sera, 21 gennaio 2024
Il ritorno di Palonara
Achille Polonara, all’improvviso il buio: diagnosi di tumore a un testicolo. Poi lo stop al basket, la lotta alla malattia, infine la ripresa. Il ritorno alla normalità ha un gusto speciale?
«Molto. Ripenso a due mesi tosti: non sapevo a che cosa sarei andato incontro, in 32 anni non ero mai finito sotto i ferri. L’operazione mi metteva ansia, ma tutto è andato per il meglio: ho ripreso un paio di settimane prima del previsto, il 3 dicembre ero di nuovo in campo».
Un tumore scoperto grazie all’antidoping.
«Ero stato sorteggiato dopo la finale della Supercoppa a Brescia. Il 6 ottobre la Procura antidoping ha notificato un’anomalia nel valore dell’HCG (gonadotropina corionica umana, ndr). C’era da verificare se dipendeva dal mio corpo o da qualcosa di estraneo; in soldoni, se avevo qualcosa dentro di me o se avevo assunto sostanze illecite».
Che cosa si pensa quando piomba addosso un macigno del genere?
«Lì per lì ero tranquillo: non avevo preso nulla di strano. Però non sapevo nemmeno che cosa augurarmi: un problema di salute è perfino peggio del doping. Ho convissuto con una strana situazione: sereno da un lato e preoccupato dall’altro».
È stato l’inizio di un «viaggio» speciale.
«Mi sono documentato ed è spuntata la storia di Francesco Acerbi, il calciatore dell’Inter e della Nazionale che anni fa ha avuto la stessa cosa. Quando sono andato dai medici ero insomma preparato».
Che cosa ha detto alla famiglia?
«I figli sono piccoli: la femmina ha 3 anni, il maschio 16 mesi. Hanno visto che il papà perdeva i capelli – ma ora stanno ricrescendo, ndr – e che andava all’ospedale: ma non credo che abbiano capito. Mia moglie è stata vicina come sempre: un grande aiuto, il suo; in questi casi l’aspetto mentale è fondamentale».
Due mesi durissimi, i miei figli troppo piccoli per capire e mia moglie è stata vicina, fondamen-tale come sempre
Bisogna entrare subito in modalità «battaglia».
«Sì. E a casa l’abbiamo presa con ottimismo».
Com’è andato il dialogo con i medici?
«Li ho riempiti di domande, sono stato “pesante”. Ma sono stati straordinari, l’operazione me l’hanno fissata in quattro giorni».
A Gianmarco Pozzecco, c.t. ma prima di tutto suo amico, ha confidato che se la faceva sotto…
«Confermo. Come detto, era per me qualcosa di inedito e l’ansia cresce quando sai che l’intervento è correlato a un tumore».
Ripresa più complicata sul piano psicologico o fisico?
«La chemioterapia mi ha buttato giù. I dottori mi hanno invitato ad allenarmi, ma bastava una serie di addominali a distruggermi».
Ha mai temuto di dover rinviare l’uscita dal tunnel?
La cura mi ha buttato giù. Tutti i dottori mi hanno invitato ad allenarmi ma solo gli addominali bastavano
a fermarmi
«No perché dopo mille domande ricevute i medici mi avevano rassicurato: zero rischio di morte e di lasciare lo sport».
Luca Banchi, il coach….
«È stato sempre vicino, anche quando non mi allenavo. Abbiamo parlato parecchio, con me è stato paziente».
In un percorso complicato c’è l’esigenza di essere trattati normalmente?
«Il desiderio è stato proprio di essere considerato alla stregua di uno che non ha avuto nulla. Al rientro sapevo che l’esplosività era calata e che il recupero doveva essere graduale: mi scocciava. Volevo spaccare il mondo, ma non era possibile. Ho faticato, poi il minutaggio è cresciuto e così pure la considerazione di tutti».
L’abbiamo già vista dare un contributo importante, ad esempio nel successo sul Villeurbanne.
«Spero che entro un mese si possa rivedere il miglior Polonara. Sono venuto alla Virtus per crescere ancora: sono felice di farne parte, voglio riprendere il percorso rimasto in sospeso».
Nazionale, vorrà esserci.
«La maglia azzurra è un orgoglio. Se Pozzecco mi chiamerà già per le prime partite di qualificazione all’Europeo 2025, il 22 febbraio a Pesaro contro la Turchia e il 27 in Ungheria, sarò disponibile».
Spero che entro un mese si possa rivedere il miglior Polonara Sono a Bologna per crescere ancora
Ottimista sulla qualificazione ai Giochi di Parigi?
«Sì, negli ultimi due anni ce la siamo giocata con tutti, a parte gli Usa al Mondiale: non dobbiamo spaventarci di nessuno».
Il basket ritrovato è più bello di quello vissuto prima?
«In questa avventura ho capito che ogni momento è prezioso e che si deve apprezzare qualsiasi cosa: perfino una corsetta era una vittoria rispetto ai momenti a casa, con la nausea per la chemio».