La Stampa, 20 gennaio 2024
Camera e Senato costano come prima
Uno spoils system profondo, sistematico, quasi vendicativo nei confronti di una burocrazia vista come un ostacolo alle riforme. È il bottino del governo di Giorgia Meloni, nei ministeri come a Palazzo Chigi. Bottino, peraltro, è proprio la traduzione letterale dell’inglese “spoil”, il sistema introdotto vent’anni fa dalla riforma Bassanini che consente all’esecutivo di sostituire funzionari pubblici apicali con persone di fiducia.«Non è solo una necessità momentanea – spiega un autorevole esponente della maggioranza sotto anonimato – quel che vogliamo fare è intervenire nei gangli del deep state per condizionare anche le scelte dell’amministrazione pubblica in futuro, quando a governare ci sarà qualcun altro. La sinistra l’ha fatto per decenni, ora tocca a noi». Un meccanismo denunciato da Sabino Cassese sul “Corriere della Sera”, che in un editoriale uscito giovedì spiegava come il governo non si sia concentrato sul ricambio dei dirigenti apicali, ma stia allungando le mani sui «livelli dirigenziali inferiori». Questo a scapito della terzietà della pubblica amministrazione oltre che dell’equilibrio di bilancio, ma anche a danno del buon funzionamento dell’amministrazione, perché la fedeltà non sempre va a braccetto con la competenza.L’ex ministra della Pa, la deputata del Pd Marianna Madia, invoca «una riforma della dirigenza che consenta percorsi di carriera meritocratici e non automatici, e con una maggiore autonomia dalla politica. Noi ci avevamo provato con il governo Renzi – ricorda – ma la riforma fu bloccata dalla Consulta».Il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi e consigliere dell’allora premier Matteo Renzi, sostiene che «gli alti dirigenti pubblici italiani siano ancora tra i più pagati in Europa, nonostante il tetto al trattamento economico che non può superare i 240 mila euro annui».Detto ciò, lo spoils system «lo fanno tutti», prosegue Perotti, «quello del governo Meloni appare più evidente perché gli ultimi esecutivi avevano una componente di centrosinistra e quindi una buona parte dei funzionari veniva di volta in volta confermata. I governi precedenti erano molto simili, perciò avevano meno bisogno di fare lo spoil system. È normale che ci sia stato un cambiamento così radicale».Con Fratelli d’Italia nelle stanze del potere, però, la decadenza delle figure tecniche è stata strutturale. Basta vedere le nomine a Palazzo Chigi, dove la presidente Meloni ha sostituito 18 dirigenti su 20.Difficile quantificare oggi quanto la sostituzione dei burocrati e la loro moltiplicazione possa impattare sui costi della politica. Quel che invece emerge dai numeri, dopo anni di dibattiti sul taglio delle spese dei palazzi, è che la politica ha sempre lo stesso costo, indipendentemente da misure e riforme votate a furor di popolo. Un caso emblematico è rappresentato dal referendum sul taglio dei parlamentari, battaglia storica del Movimento 5 stelle su cui tutti i partiti si sono allineati. Ebbene, le spese di Montecitorio continuano ad attestarsi intorno al miliardo di euro: i costi complessivi con 400 deputati non sono cambiati rispetto a quando gli onorevoli erano 630. Il consuntivo del 2022 stabilisce per la Camera una spesa di 960 milioni di euro mentre il bilancio di previsione del 2023 si attesta sui 971 milioni di euro. La dotazione nel triennio rimane invariata, cambiano alcune voci, alcune si gonfiano, altre si riducono. Se il taglio di un terzo dei parlamentari fa risparmiare 60 milioni di euro tra indennità e rimborsi, aumentano le spese legate all’inflazione, alle bollette e alla dinamica previdenziale. Stesso discorso per Palazzo Madama, dove i senatori sono passati da 315 a 200. Il rendiconto 2022 del Senato segna spese per 487 milioni, il bilancio previsionale del 2023 stanzia 575 milioni. Da Palazzo Madama fanno notare che il budget è sempre più alto e che il confronto andrà fatto sul rendiconto 2023 per capire l’impatto del taglio dei parlamentari, ma quel che interessa osservare in questo caso è che le spese delle due Camere restano comunque stabili, indipendentemente dal numero di onorevoli e senatori.