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 2024  gennaio 20 Sabato calendario

DITE AI SINISTRATI CHE FU PALMIRO TOGLIATTI A SPIEGARE CHE IL SALUTO ROMANO NON DEVE ESSERE CONSIDERATO REATO – FABIO MARTINI: “NELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE L’ALLORA SEGRETARIO DEL PCI INSISTETTE PER NON INTRODURRE UN PERICOLOSO REATO DI OPINIONE. TOGLIATTI SI BATTÉ PER INSERIRE NEL DETTATO COSTITUZIONALE UNA FATTISPECIE PARTICOLARE: IL DIVIETO PRECISO DI RIORGANIZZARE IL DISCIOLTO PARTITO FASCISTA.... -



Ripubblichiamo a seguito della sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione sul saluto romano questa riflessione di Fabio Martini)

L’adunata di Acca Larentia con quella tetra coreografia in chiaroscuro è culminata in saluti romani corali, ripetuti e “organizzati” che potrebbero costar caro ad alcuni dei camerati presenti e tuttavia nella consolidata giurisprudenza italiana quel gesto nostalgico non sempre è stato considerato reato: dipende dalle circostanze. Uno scrupolo garantista che, può sembrare paradossale, si deve ad una battaglia condotta dal segretario generale del Pci, Palmiro Togliatti, non certo sul saluto romano ma sui reati di opinione

Un paradosso, ma sino ad un certo punto: durante i lavori dell’Assemblea Costituente, il segretario del Pci riuscì a convincere gli altri leader democratici su un punto delicato: istituzionalizzare i reati di opinione era assai rischioso, anche per i futuri nostalgici di Benito Mussolini. Togliatti si batté per inserire nel dettato costituzionale una fattispecie particolare: un divieto non generico, ma preciso: riorganizzare il disciolto partito fascista.

Lo spirito di quella norma ha vissuto per 76 anni, è stata assunta dalla Corte costituzionale, dalla Cassazione e dai tribunali italiani, che hanno via via emesso sentenze che, ad accezione di alcuni casi specifici, non hanno perseguito né il semplice elogio del regime e neanche le manifestazioni più esteriori di nostalgia. Ma quelle che, appunto, potevan portare, o portavano, alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.

Una storia interessante perché racconta di un’altra Italia, un’Italia che pensava lungo. Nell’Assemblea Costituente, che iniziò a riunirsi quando il trauma del fascismo era ancora recentissimo, si accese un dibattito nel corso del quale fu decisivo l’intervento di Palmiro Togliatti, che convinse gli altri padri costituenti – personalità come Aldo Moro, Lelio Basso, Giuseppe Dossetti e leader come Alcide De Gasperi e Pietro Nenni – a non forzare la mano nei divieti.

In quella circostanza Togliatti chiese di "non formulare un articolo che possa fornire pretesto a misure antidemocratiche, prestandosi ad interpretazioni diverse". E si spiegò così: "Se in Italia nascesse domani un movimento nuovo, anarchico, lo si dovrebbe combattere sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee, ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché si rifiutano alcuni dei loro principî".

Con questa premessa propose di circoscrivere il divieto ad una fattispecie molto precisa. E infatti per la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, "è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista", ma quello che "prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943".

La successiva legge Scelba, del 1952, istituì il reato di “apologia del fascismo”, ma con una attenzione a circoscrivere l’intervento della magistratura, tanto è vero che la Corte costituzionale, successivamente interpellata, segnalò che il reato non si configura allorquando l’apologia consista in una mera “difesa elogiativa” del regime e invece si persegue davanti ad una "esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista", cioè in una "istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente". E quei principî hanno poi ispirato le sentenze su alcune manifestazioni, più o meno esteriori, operate da movimenti neofascisti.



La Costituzione ha dato la sua impronta alle leggi Scelba del 1952 e a quella Mancino del 1993 che puniscono con la reclusione fino a tre anni chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori proprie di organizzazioni aventi tra i loro scopi quello di incitare all’odio, tenendo atteggiamenti riconducibili al partito fascista o nazista, compreso il “saluto romano”. Che però, durante un comizio pubblico non è da considerarsi reato se non è ritenuto in grado di determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste. La Cassazione ha escluso il reato di apologia di fascismo quando il “saluto romano”, la chiamata del presidente e le croci celtiche, pur essendo certamente di carattere fascista, siano espresse esclusivamente come omaggio ai defunti commemorati, non avendo alcuna finalità di restaurazione fascista.

Distinzioni sottili ma significative nel ripudio dei reati di semplice opinione, che si devono, come effetto indiretto, a un personaggio come Palmiro Togliatti: lui che era appena tornato dall’esilio vissuto per lunga parte nella ferocissima Russia staliniana, in quel frangente ebbe un riflesso squisitamente liberale. Certo, il segretario del Pci pensava a mettere in sicurezza la libertà del suo partito, ma in quella e in altre scelte contenute nella Costituzione, dimostrò una lungimiranza che molti anni dopo avrebbe indotto Silvio Lanaro, uno dei più autorevoli storici del dopoguerra, non certo di cultura comunista, a definire De Gasperi e Togliatti personalità di “immenso carisma”