il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2024
Nazismo: bordello di stato
Che bordello il nazismo: la più moderna industria della morte fondata sul più antico mestiere del mondo, la prostituzione. Ovviamente forzata, ma ben organizzata e democratica: di puttane ce n’è per tutti, per gratificare gli ufficiali delle Ss come per incentivare la produttività dei lavoratori nei lager. L’orrore si consuma fino in fondo dentro il corpo delle donne.
Nella pletora di proposte editoriali a ridosso del Giorno della Memoria (il 27 gennaio), torna in una nuova edizione I bordelli di Himmler di Baris Alakus, Katharina Kniefacz e Robert Vorberg, una accurata ricostruzione della “schiavitù sessuale nei campi di concentramento”, rimasta per decenni un tabù storiografico. Anche la violenza e lo stupro sono strumenti di tortura sistematica da parte dei nazisti: il bordello diventa così una delle “istituzioni bio-politiche” del Reich per sorvegliare e punire fin nelle mutande. Il casino pubblico fa dello Stato un legale “pappone”, che però continua a perseguire penalmente chi si prostituisce per strada: il decoro urbano non si tocca. È la stessa ideologia nazista a violare la donna e l’idea di donna: madre e madonna, esclusa dalla politica e dalle professioni. A scuola, la bambina ariana studia poco o niente, a parte economia domestica ed educazione fisica per irrobustirsi in attesa delle future gravidanze: almeno quattro, per legge. Tutte le altre non sono donne: lesbiche, femministe, attiviste, ebree, sinti, rom, afro-tedesche, “asociali”, criminali, malate a vario titolo, dalla cecità all’alcolismo, ragazze “a rischio”, “che cambiano spesso lavoro” o con “mancanza di ambizioni” o “intenzioni libidinose”… Il catalogo è questo, madamine, prime vittime di Hitler e sodali, sottoposte ad arresto preventivo, detenzione, sterilizzazione forzata, aborto (che resta però vietato ai privati cittadini, pena la pena di morte), divieto di sposarsi.
Già nel 1933, poco dopo la presa del potere, i nazisti iniziano a legiferare per mantenere intatta l’“igiene della razza” e nascono 70 campi di concentramento “precoci” per gli oppositori politici. Seguirà la “Soluzione finale della questione ebraica”. A riorganizzare ed efficientare i lager ci pensa, dal ’35 in poi, Heinrich Himmler, uomo precisissimo, che intende finanche contrastare l’omosessualità, “qualità propriamente giudaica”, con accoppiamenti forzati con le meretrici: vuole “curarli e ristabilire l’equilibrio sessuale maschile”; dopotutto, il suo “è un trattamento magnanimo-germanico”. Nel 1939 riaprono i bordelli, col “concentramento (!) delle prostitute in aree riservate”, e tra il 1940 e il 1943 sorgono le prime case chiuse per lavoratori stranieri, anche nei territori occupati e nei pressi dei lager, da Buchenwald a Mathausen, da Dachau ad Auschwitz.
L’exploit dei campi di lavoro e di sterminio, e della connessa prostituzione concentrazionaria, si deve proprio alla guerra: alla Germania serve manovalanza a basso costo, pure per le aziende private. I deportati vengono così ri-deportati in campi satellite costruiti fuori dalle fabbriche: arriveranno a rappresentare il 60-80% della forza lavoro totale per l’economia tedesca, bellica e no. Nel 1943, sempre su idea di Himmler, si introducono benefit (!) per incentivare la produzione: detenzione meno dura; vettovaglie extra; mance in denaro; sigarette; buoni premio. Per il sesso nelle alcove. “Ritengo necessario – dice il precisetto Heinrich – che all’internato che lavora in modo diligente si debbano fornire donne di cui fruire liberamente nei bordelli”. La corsa alla produttività, poi, è incoraggiata e lautamente foraggiata dalle industrie tedesche: operai-schiavi sottopagati, senza diritti e a cottimo, sono il sogno degli imprenditori-prenditori. Il nome in codice del bonus è “FFF: Fressen, Ficken, Freiheit; Mangiare, Scopare, Libertà”.
Case chiuse lo sono davvero, tra i container più nascosti e protetti del lager, dotati però di una stanza medica, bagni e lavatoi d’eccezione e persino, talvolta, di fiori alle finestre. Le schiave sessuali, perlopiù provenienti dal campo femminile di Ravensbrück, sono scelte tramite accurata selezione; sennò che nazisti sarebbero: le belle vanno alle Ss, le belline ai soldati semplici, le bruttine agli internati, a eccezione di russi, slavi ed ebrei e previa compilazione e approvazione di un “modulo per la monta”. Le ragazze, età media 25 anni, devono essere in buona salute: vengono precedentemente testate da un medico e da un ufficiale “in sala operatoria”, ovvero violentate. All’inizio si dà precedenza alle “asociali, ex criminali o ex prostitute”, ma quando la carne viene a mancare, e l’offerta invece sale, non si disdegnano schiave rom ed ebree: la razza, sotto le lenzuola, non si vede. O almeno non la vedono 40 uomini al giorno ogni benedetta domenica. Quando Dio si riposa, ma le donne no.