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 2024  gennaio 20 Sabato calendario

Kate, antitesi della schiappa


Dio è morto, Marx pure, Kate Middleton è in ospedale e anche noi non ci sentiamo molto bene. In un mondo che elargisce quotidianamente ben altri motivi di angoscia, la notizia del ricovero della principessa del Galles per un intervento chirurgico inquieta più di quanto sia lecito aspettarsi. E non è solo un problema di sudditi e tabloid britannici perché lo scoramento coglie anche parecchi di noi ferventi repubblicani, in lotta contro il mito aspirazionale della principessa, spettatori reticenti di The Crown, indicibile guilty pleasure delle nostre serate in incognito. Qualche giorno fa una nota coronata e candida di Kensington Palace, asciutta e cortese come la sua latrice, nata borghese ma aristocratica da sempre, comunicava il ricovero di Sua Altezza, il successo dell’avvenuto intervento all’addome, la lunga convalescenza («Fino a Pasqua? Siamo impazziti?») e il riserbo sulla causa di tutto ciò.
Gli ospedali ci deprimono, l’incertezza ci macera; è stato allorache abbiamo cominciato a vacillare. E a domandarci il perché di tanta accorata partecipazione.
Cosa rappresenta Catherine Middleton, che ci ostiniamo a chiamare Kate? Perché smuove le corde della nostra empatia, lei, prodotto di un privilegio che disapproviamo? La principessa del Galles è ipnotica. Lo è visivamente, per la grazia da giunco, per la bellezza radiosa di chi ce l’ha fatta e per la sfacciata fortuna di poter indossare haute couture o stracci e farsi comunque icona di stile, mentre noi sembriamo sacchi, scope, clown. Ma invece di detestarla per questo, la osserviamo con rapita ammirazione. E se fosse,la sua, una funzione sociale?
Kate è ipnotica anche dal punto di vista prestazionale. E non solo perché, programmata per scalare, ha magistralmente raggiunto la vetta, e nemmeno perché ha dato un contributo decisivo all’evoluzione della specie reale, fornendo geni di qualità a una famiglia di tradizione endogamica, ma soprattutto perché è l’antitesi della schiappa che alberga in ognuno di noi. Mentre, durante le lezioni di ginnastica a scuola, noi facevamo tappezzeria a bordo palestra, inchiodati alla nostra inettitudine, lei era capitana della squadra di hockey su erba, senza disdegnare la versione su ghiaccio.Mentre noi siamo fatti di una pasta accidiosa e friabile, lei vince regate in catamarano, si tuffa in acque ghiacciate («William dice che sono matta»), affronta pareti di roccia, scia, corre, fa canottaggio, tira con l’arco come un’amazzone. Presiede innumerevoli società sportive e, tra un evento e l’altro, palleggia sul campo da tennis insieme al gigante Federer, con la naturalezza con cui noi giochiamo a racchettoni sul bagnasciuga.
Kate vince tutto e lo fa con il rigore e la determinazione di un soldato e con il sorriso raggiante di chi si trova esattamente dove si sognava da piccola. E, per tutto questo, ci mette di buon umore. Conimplacabile discrezione, ha scalato il palazzo reale e ne è divenuta l’architrave, speranza di un futuro sostenibile. Kate non è una di noi ma ci piace immaginarla alter ego infallibile, plausibile e supereroic o.
La pensavamo solida ed eterna, come i protagonisti dei cartoni animati della nostra infanzia. La volevamo disponibile, graziosa, inaffondabile scialuppa sulla nostra nave in tempesta. Non chiedevamo granché: saperla lì, brava in tutto, regina in pectore, campionessa di cricket, baseball e pallavolo, deus ex machina di una monarchia appannata, ci bastava per stare tranquilli. Volevamo per lei solo un corpo infrangibile, al riparo degli acciacchi e dei mali che affliggono noi che, del cricket e del baseball, non sappiamo nulla. E invece no.
Biancaneve non esiste e anche la principessa del Galles può ammalarsi. Che delusione, che seccatura. Avessimo almeno una diagnosi, potremmo, per imitazione, allenare un po’ la nostra ipocondria.