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 2024  gennaio 20 Sabato calendario

Intervista a Eva Robin’s

L’attrice Eva Robin’s
Ascolta l’articolo7 miniNEWEva Robin’s, che effetto fanno questi tempi genderless a lei che diventò famosa come ermafrodito?
«Quella era una notiziona inventata per vendere più giornali e rendere meno crudo un argomento raro negli anni ’80: la transizione fra i sessi. A ricordare oggi lo stupore che ispiravo quando posavo nuda su Playmen mi viene da sorridere».
La sua era fluidità in anticipo sui tempi?
«Sono più solida che fluida, l’ambiguità non mi appartiene, ho sempre parlato del mio pene in modo disinvolto: ci tengo a ricordare che, sotto l’apparenza femminile, c’è».
Eva, all’anagrafe Roberto Coatti, è nella sua casa bolognese tutta stucchi, atmosfere alla Tim Burton «a metà fra sogno e incubo», quadri, suoi, che dal 2 febbraio saranno esposti in una personale a Arte in Fiera. Esce da un anno di tournée teatrali, prima con Eve di Jo Clifford, diretta da Andrea Adriatico, dove Gesù s’incarna in una trans, poi, con Le allegre comari di Windsor di William Shakespeare in cui è stata Miss Quickly. Ora, è sfinita dalle prove delle Serve di Jean Genet con la regia di Veronica Cruciani, che debutta l’1 febbraio all’Arena del Sole di Bologna. Ha 65 anni, dice: «Devo far fronte a questo corpo che, non è più quello di una volta, il teatro non è sempre una passeggiata. Anche gli amori non sono più gli stessi: uno deve uscire la sera per avere occasioni».
Il primo amore?
«In collegio. Maschile, ovviamente. La notte, tendevamo il braccio nel vuoto da un letto all’altro. Conservo la foto di gruppo di un saggio, tutti vestiti da tarantella, dove mi si identifica subito nel bimbetto che fa un gioco di mani incrociate che un maschietto non avrebbe mai fatto».
Come avviò la transizione?
«Per errore. Non avevo la vocazione di essere donna. Amavo i travestimenti, tutti. Amavo essere qualcun altro. È la storia di tutte noi, di un ciclo di esperienze che può portare da una parte o da un’altra: la storia dei vestiti della mamma, delle bambole sul letto».
Se non voleva essere donna perché prese gli ormoni?
«Mi sono approcciata ai farmaci incautamente, pensando fosse un gioco, non immaginavo che mi avrebbero portato a una condizione quasi femminile. Mi dava gli ormoni un infermiere vicino di casa, io volevo solo somigliare a Tadzio di Morte a Venezia, a Björn Andrésen. Ero una ragazzina cinefila: mamma, che si guadagnava la pagnotta giocando a carte, non sapendo dove mettermi, mi mandava sempre al cinema».
Cosa le piaceva di Andrésen?
«Era glabro, gentile. Presi gli ormoni per bloccare la crescita pilifera e i caratteri maschili più duri. Mi ritrovai con due seni, due bocciuoli. Mi piacqui. Non ho mai messo le protesi né esagerato con le forme muliebri e non ho mai vissuto il dilemma di cambiare definitivamente sesso».
Perché quell’infermiere sventatamente la aiutò?
«Era un uomo po’ bizzarro, ma accolse una mia richiesta. Si chiamava Angelo e io, allevata da suore e preti, lo vidi come una figura dell’Annunciazione, un angelo che mi portava la risposta. A 15 anni, mi sono trovata a essere chiamata signorina, ad apparire donna e mi accorsi che ero attratta più dagli uomini. Delle donne mi piacevano solo i vestiti e il fatto che non pagassero loro al ristorante».
Tornava tutto, all’incirca.
«In quel nuovo corpo, potevo avere le attenzioni maschili, servigi, gentilezze, un’adulazione che mi gratificava».
In tutto ciò, sua madre?
«Era una donna con quattro figli di padri diversi, ma sola, additata, che si affidava ai servizi sociali per sopravvivere. Era una pecora nera e io ho seguito il suo esempio».
Costruiamo la nostra vita su ciò che conosciamo?
«Io però mi sono sempre sentita libera, la discriminazione non mi è pesata, mi sentivo bene interpretando una donna manovrata da una centralina maschile».
La sua prima volta?
«Il primo approccio precoce: io undici anni, lui forse 50 o 40. Era un archeologo. Oggi lo definisco pedofilo, allora, non lo vissi come un trauma».
L’amore più grande?
«Tutte le storie con le compagne che ho avuto».
Non ha detto che era attratta dagli uomini?
«Le mie esperienze più lunghe sono state con donne. In loro, ho sempre trovato più sfaccettature in cui identificarmi, cullarmi, essere trattata come figlio, amante giocoso, amico, mentre gli uomini sono stati più monocordi. Ho avuto ustioni sentimentali più con gli uomini».
Perché sono stati gli uomini a farle più male?
«Mi faceva soffrire il fatto che guardassero le donne, fossero attratti da qualcosa che io non ero. Dopo anni di psicanalisi, ho capito che il confronto con le donne era una terribile esperienza di perdita del mio centro. E gli uomini sono più ipocriti, mi tenevano nascosta, si vergognavano di me».
Quante compagne ha avuto?
«Tre. L’attuale resiste da quasi trent’anni. Una è morta, una è felicemente sposata con un’altra donna, perché grazie al mio passaggio si è liberata dai tabù, veniva dall’eterosessualità, stava con me, ogni tanto, aveva rapporti col mondo maschile».
Subire l’infedeltà la faceva soffrire?
«No perché non conosco il senso di possesso esclusivo ed eravamo infedeli entrambe, era un rapporto senza canoni borghesi anche se lei era laureata e di famiglia borghese. Io volevo spaziare, poi, vengo da una libertà sessuale grandiosa, quasi da essere considerata una poco di buono. Ho sperimentato tanto, ho avuto un’epoca in cui stavo eretta poche ore al giorno».
Sperimentato fin dove?
«Fino al punto di capire che era meglio darmi una regolata perché iniziava ad arrivare una malattia pericolosa».
Per due volte annunciò le nozze, ma non si sposò.
«Due mie compagne volevano sposarsi e io potevo farlo perché all’anagrafe sono uomo, ma non ho voluto coinvolgerle in un caso mediatico, fare di un amore un pettegolezzo».
L’unico uomo che ha ammesso di essere stato un suo flirt è stato Sgarbi.
«Vittorio non conosce la vergogna».
Chi era il famoso politico che fu suo amante?
«Resterà famoso nel suo anonimato, ma per quel che ne capisco io, era un pezzo grosso. Non farò mai i nomi degli uomini che ho avuto».
Ha fatto quello di Paolo Villaggio.
«Ma lui era carino, un grande intellettuale, non si offese. Avemmo una notte in Sardegna, dove a una sua festa c’erano da Bianca Jagger agli industriali più in vista e io feci uno spogliarello che mi trasformò nella personalità più invitata sulle barche quell’estate. Lì conquistai la moglie di un armatore tedesco miliardario che mi portò a Parigi e nei posti più mondani. Avevo vent’anni, venivo dalla provincia, cominciava la mia vita incredibile. Andavo in giro con Grace Jones. Ci sono foto dove ci facciamo linguina. Mi seguì nei primi concerti che facevo. Mi rubò due fidanzati. Uno glielo portai io e glielo lasciai molto volentieri. Uno me lo sgraffignò lei con maestria, ma sono generosa, non me ne feci un problema».