Corriere della Sera, 20 gennaio 2024
Intervista a Sigfrido Ranucci
Roma «Una notizia o è vera o è falsa. Non ci sono questioni di opportunità politica da considerare». Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione d’inchiesta Report (Rai 3), si difende. I parlamentari di Fratelli d’Italia hanno presentato un’interrogazione in commissione di Vigilanza contro le puntate sulla famiglia del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e sul padre della premier Giorgia Meloni.
Santanchè, La Russa e ora Meloni. Ha messo FdI nel mirino?
«Le notizie non hanno colore, né seguono ragioni di opportunità. Sono notizie o non lo sono».
Secondo i suoi accusatori c’è un accanimento.
«Nell’ultima convocazione in Vigilanza ho portato la lista degli ultimi 12 anni di inchieste, dimostrando che hanno riguardato tutti i partiti: abbiamo lavorato su Vincenzo De Luca (Pd) e su Giuseppe Conte ai tempi della pandemia (M5S). È logico che se un partito governa e amministra, riceverò più segnalazioni».
L’interrogazione le attribuisce l’uso ricorrente di pentiti di mafia giudicati inattendibili dalla magistratura, che dopo qualche decennio fanno rivelazioni su persone decedute.
«Nell’inchiesta sulla famiglia di La Russa non si tratta di un pentito ma di Michele Riccio, un ex ufficiale che sul tema trattato non è mai stato giudicato inattendibile. Quanto a Luigi Ilardo, le cui dichiarazioni vengono riportate da Riccio, è uno dei pentiti di mafia più importanti dopo Buscetta, ha consentito molti arresti di capi mafia sconosciuti ad Agrigento, Catania e Caltanissetta».
È morto nel 1996.
«Sì, ucciso pochi giorni prima di ufficializzare la propria collaborazione».
Quale interesse ha parlare oggi delle sue rivelazioni?
«L’interesse c’è. E lo dimostra il fatto che se ne parli da più di una settimana. Piuttosto è strano che ci si concentri sulle dichiarazioni di un ex ufficiale e non su quello che abbiamo raccontato sulla famiglia La Russa».
Poi c’è l’inchiesta sui traffici di droga del padre di Giorgia Meloni, che però la premier non frequenta da quando aveva 11 anni.
«L’ho detto subito che le sorelle Meloni non hanno mai avuto a che fare con le vicende del padre».
Avrebbe dato la notizia anche se Meloni non fosse stata a Palazzo Chigi?
«Certo, perché si tratta di un personaggio pubblico. Se non l’avessi data, qualcuno avrebbe potuto accusarmi di autocensura. Chi segnala a volte lo fa».
E in questo caso da dove veniva la segnalazione?
«Dal camorrista pentito Nunzio Perrella. Che ha riconosciuto Franco Meloni nella foto pubblicata a ottobre dai quotidiani spagnoli: era la persona che gli aveva fornito ingenti partite di droga e che il boss Michele Senese aveva definito “un mio uomo”».
Domani tornerà sul padre di Meloni?
«No, parleremo ancora di droga a Roma e di Senese. L’inchiesta è su di lui».