Corriere della Sera, 20 gennaio 2024
La colonna sonora dem
ROMA Il precedente cinematografico – si era in Bianca di Nanni Moretti, anche lì l’allegra comitiva che attraversava l’Umbria a bordo di un autobus si sarebbe messa a cantare – avrebbe suggerito Dieci ragazze di Lucio Battisti. E invece la delegazione dei deputati del Pd diretta al conclave di Gubbio, forse perché già in clima Sanremo, ha preferito intonare Perdere l’amore di Massimo Ranieri, vincitrice del Festival del 1988 (curiosità: Ranieri è il cantante preferito di Andrea Orlando, anche se l’ex ministro non era a bordo del bus).
Un’assoluta novità per il Pd e anche per i partiti che l’avevano generato nel 2007, Ds e Margherita, figli a loro volta di tradizioni in cui i momenti musicali, a cominciare dai congressi, erano all’insegna di un cantautorato decisamente più impegnato, italiano e straniero, e di un messaggio in linea a quello che si voleva dare all’elettorato: Ivano Fossati e la sua canzone popolare (l’Ulivo prodiano del 1996 e a seguire anche i Ds), Rino Gaetano e il suo cielo sempre più blu (Ds ma anche la prima assemblea del Pd, quella fondativa), la One degli U2 (congresso di scioglimento della Margherita nel partito unico, quindi One, 2007), Mi fido di te di Jovanotti (scelta da Walter Veltroni per la campagna elettorale del 2008), senza per forza andare troppo indietro nel tempo, a quando i comunisti aprivano le loro assise con l’Internazionale e i democristiani si mettevano la mano sul cuore intonando O bianco fiore, la canzone preferita da Don Sturzo.
A proposito di Prima repubblica, c’è un momento in cui torna ad affacciarsi nella playlist del Pd. In una delle assemblee più drammatiche della sua storia, quella successiva alla sconfitta di Renzi nel referendum del dicembre 2016, il presidente del Consiglio dimissionario chiama Checco Zalone per chiedergli di poter usare la sua La Prima repubblica, dal film Quo vado. Ottenuta l’autorizzazione, Renzi con perfidia la fa sparare a tutto volume nella sala dell’hotel Ergife di Roma e la cita nella relazione: «Eravamo quasi alla Terza repubblica, siamo tornati alla Prima».
Persino più sfortunato l’utilizzo di Inno, di Gianna Nannini, come colonna sonora della campagna per le Politiche del 2013, quelle della tragica «non vittoria» di Pier Luigi Bersani. La rocker senese aveva mandato tre pezzi; Aldo Biasi, che curava la campagna, pescò questa (ancora oggi permane il mistero su quali fossero le altre due). La passione di Bersani per Vasco Rossi s’era vista nella campagna per il congresso del 2009 con la scelta di Un senso, che fino ad allora era incastonata nell’immaginario collettivo per essere stata la colonna sonora di uno dei film più drammatici di inizio millennio (Non ti muovere, di Sergio Castellitto, tratto dal libro di Margaret Mazzantini): per il politico di Bettola, però, il congresso finì meglio del film.
Nell’attesa di capire quale messaggio (se ce n’è uno) si nasconda dietro il Perdere l’amore che la comitiva del Pd ha cantato a squarciagola nel viaggio verso Gubbio, e se avranno ragione i maligni che già vi intravedono un nesso con Elly Schlein alla prova delle Europee, si può sfogliare l’album dei ricordi, e ripensare a quando Una vita da mediano venne scelta dal centrosinistra per riaccogliere in patria il «federatore» Romano Prodi (Politiche del 2006). Due anni prima, la lista Uniti nell’Ulivo, embrione del Pd, aveva osato l’inosabile: farsi scrivere una canzone ad hoc. Nel testo c’erano «una strada sconquassata e lunga», tanta «pazienza», «testa dura e cuore sulla bocca» (sic!); la melodia, invece, ricordava pericolosamente Ci vuole un fiore di Sergio Endrigo. Tanto pericolosamente che, dopo un paio di assemblee, il pezzo venne mandato in soffitta e non se ne seppe più nulla.