Corriere della Sera, 19 gennaio 2024
Intervista a Enzo D’Alò
Il regista napoletano Enzo D’Alò
Ascolta l’articolo7 miniNEWE nzo D’Alò, una parola per definire Napoli.
«Nostalgia».
Eppure lei è nato lì, nel 1953.
«Ma tre anni dopo la mia famiglia si è trasferita a Torino. E da allora con Napoli è cominciato un lungo rapporto d’amore e mancanza. I miei ritorni, i sogni che faccio e in cui abito nella Piazza degli Artisti, dove effettivamente avevamo casa, i fantasmi».
PUBBLICITÀI «munacielli», gli spiritelli domestici della tradizione napoletana?
«Fantasmi buoni, di quelli che ti fanno compagnia e non ti spaventano. Io sono un regista di film d’animazione, faccio film non per i bambini ma con i bambini: lascio parlare loro, le loro fantasie».
La «Freccia Azzurra» nel 1993, due anni dopo «La gabbianella e il gatto». «Successi internazionali ma nessuno sa che dietro ci sono quattro o cinque anni di lavoro di gruppo, nessuno opera in modo isolato. Per esempio quando faceva il dottor Scarafoni Dario Fo era sempre in studio con noi».
Com’era Fo?
«Un genio. Pensi che ci vedeva poco e allora si faceva trascrivere il copione in fogli con scritte gigantesche. Vede, la mia napoletanità è anche in questi rapporti stretti che cucio con le persone con cui lavoro, non ce la faccio a essere, come si dice, “formale”».
Un destino, il suo, che può dirsi condiviso con Paolo Conte, il «piemontese più napoletano» che esista.
«È così. Paolo, che ha scritto le musiche per La Freccia Azzurra, è l’uomo più visionario che io abbia mai conosciuto, ma anche il più perfezionista. Una volta, durante una registrazione che stava quasi per raggiungere le 24 ore di durata, fece ripetere non so quante volte il pezzo al sassofonista perché non gli piaceva».
Fece un commento musicale al film?
«Gli avevo chiesto dieci secondi di musica per la scena del sonno di Francesco, ma lui fece un minuto e mezzo. Era una musica bellissima. E sa io che feci? Feci allungare il film!».
Ma no.
«Sì, aggiunsi una scena, il sogno di Francesco. E pensare che nacque proprio qui una delle più grandi incazzature della mia vita».
Racconti.
«Mi arrabbiai con Harvey Weinstein».
Quello di Miramax, arrestato per violenze sessuali?
«Proprio lui. Quando Weinstein, alla guida di Miramax, comprò La Freccia Azzurra cambiò la musica, tolse Paolo Conte e inserì un insulso coro di bambini, questo nella versione americana naturalmente. Mi arrabbiai e cercai di fargli cambiare idea, ma avevo poco margine di trattativa, per via del contratto firmato».
I vostri rapporti poi si sono rotti?
«Mi invitò a sue spese a New York per vedere di persona i test in sala del film, quelle prove che si fanno prima del lancio. Ecco la cosa che mi fa arrabbiare di più: una persona così competente che poi si rovina con atteggiamenti di arroganza e abuso di potere».
Le capita spesso di arrabbiarsi?
«Praticamente mai. E se succede, come molti napoletani, mi faccio una risata».
Chi è che l’ha fatta ridere di più, pescando tra i tanti artisti con cui ha lavorato?
«Dario Fo occupa un buon posto, però anche Pino Daniele non scherzava. Le racconto questa: stavamo lavorando alla colonna sonora di Opopomoz, il mio film del 2003. Parentesi: nei film di animazione i musicisti lavorano di pari passo con gli altri, anzi, certe volte se non ho la musica non posso fare lo storyboard. Comunque io e mia moglie Maricla andammo a casa di Pino, al mare. La mattina dopo, all’alba, fummo svegliati dalla musica: era lui che suonava la chitarra in terrazza, e ancora non faceva giorno!».
Dolce e intelligente, Daniele.
«Ma sapeva incazzarsi con stile. Una volta, in sala registrazione, a un mio montatore arrivavano troppi sms che disturbavano la concentrazione. Pino si avvicinò e gli disse: “Ti abbraccio forte... alla gola!”. Ci mettemmo a ridere».
Qual è la favola che ancora oggi la commuove?
«Pinocchio, ma più che commuovermi mi spaventa perché ancora oggi, a sessant’anni, mi sogno Mangiafuoco».
E ancora oggi, dopo una vita a Torino, lei ha le inflessioni napoletane.
«Me lo diceva anche Cecchi Gori».
Che tipo era?
«Uno che un bel giorno mi chiamò e mi disse: “Enzo, dai, fammi un film di Natale”. Io gli feci Opopomoz, un Natale al rovescio perché è visto dai diavoli. Però lui e Rita Rusic nei film d’animazione ci credevano tanto. Pensi che quando feci la Gabbianella vollero a tutti i costi lanciarlo insieme ai grandi film americani – vale a dire con i veri campioni d’incasso del Natale – e poi la storia ha dato loro ragione».
«La gabbianella e il gatto» ha incassato oltre 12 miliardi di lire, il più alto incasso per un cartone italiano nel mondo.
«Lavorare con Luis Sepúlveda è stata una delle cose più belle della mia vita. Intanto perché lui accettava anche delle piccole enfasi che io mettevo su personaggi poco rilevanti nel libro, per esempio i topi. Ma poi, sa che cosa vuol dire trascorrere una serata con uno che ti racconta dei suoi innumerevoli viaggi in giro per il mondo, della prigionia in Cile e di tutte le cose che ha visto?».
Siete diventati amici?
«Molto, negli anni abbiamo continuato a parlarci, a sentirci, è venuto nel 2013 a vedere il mio Pinocchio a Barcellona, venne apposta dalle Asturie per vederlo con me».
Se le dico Lucio Dalla che cosa le viene in mente?
«Un grande affetto e una grande tristezza, perché la colonna sonora del mio Pinocchio è stato il suo ultimo lavoro, prima dell’infarto che lo colse in Svizzera. Aveva appena consegnato l’ultima parte della canzone finale e partì per quella che sarebbe diventata l’ultima tournée. Ci salutammo con calore, era un poco stanco ma sempre pieno di vita».
«Mary e lo spirito di mezzanotte» è il suo ultimo lavoro e questa volta accanto a lei c’è un grande scrittore irlandese, Roddy Doyle.
«Roddy lo ha visto, amato, e mi ha ringraziato. Per lui è una vicenda autobiografica che riguarda la scomparsa della nonna, vittima dell’influenza spagnola. Il messaggio forte del libro e quindi del film è legato al raccontare il cerchio della vita, il rapporto che si vive con i genitori».
Si parlava dei munacielli napoletani, ma – come grande regista di animazione – qual è il suo potere magico?
«Devo proprio dirlo?».
Certo.
«Io sono convinto di saper volare».
Ha mai provato?
«No, per fortuna, mi faccio bastare la convinzione».