la Repubblica, 19 gennaio 2024
Da Diabolik ad Alex la scia di sangue nella Roma criminale che non vuole re
ROMA – È un Risiko. Un equilibrio precario, sempre sul punto di crollare. A Roma, tutti desiderano il controllo, la possibilità di spacciare la merce che rende ricchi: la coca. La battaglia per conquistare i territori per venderla ha le sue conseguenze: spargimenti di sangue, rapimenti lampo, bombe, incendi. E, adesso, anche l’uccisione di un adolescente.
C’è una geopolitica del crimine, nella città eterna, che capisce solo la lingua della violenza e il peso del piombo. E che sembra aver messo da parte il dialogo, facendo precipitare la capitale in una semianarchia. Una condizione così delicata da spingere il prefetto, Lamberto Giannini, a convocare un Comitato per l’ordine e la sicurezza con il sindaco Roberto Gualtieri: «Massima attenzione», dice l’ex capo della polizia. Che conosce bene la Suburra. E le periferie. Anche le più estreme, come Pantano. Proprio lì, al capolinea della metro C, sono stati esplosi i primi colpi del 2024. È il 13 gennaio e l’ultima metro è arrivata da poco. A bordo ci sono solo i rider e le loro biciclette. La Casilina è deserta. Ma si incendia all’improvviso. Nel parcheggio della stazione, alle 2 e 25, un adolescente apre il portabagagli e afferra un bastone. Un’auto si avvicina, spari. Alexandru Ivan muore così a 14 anni. Torna la teoria dei gruppi criminali, riecco la cocaina. A sparargli sono stati gli uomini di un clan sinti: avevano avuto uno screzio con il patrigno che aveva spacciato per loro in passato.
Passano poche ore e, mentre i compagni di scuola piangono Alex, Cristiano Molé viene assassinato sotto casa sua, di fronte ai mille occhi del Serpentone. Siamo a Corviale. Da queste parti si spara. Almeno 15 colpi per un “pesce piccolo”: furti, rapine, spaccio. I solitiimpicci della vita di strada da regolare con modalità di cui Alfonso Sabella, magistrato e assessore alla Legalità ai tempi di Marino sindaco, ha dato una definizione calzante: «la camorrizzazione di Roma». La malavita della città somiglia sempre più alla camorra: imprevedibile, mutevole, in perenne in conflitto. Una condizione che sdogana l’uso della forza a tutti livelli, dai vertici alle ultime file.
L’ultimo ad avviare una trattativa per cercare di pacificare una fetta della capitale, la turbolenta Ostia, che nel 2017 era contesa dagli Spada e dai loro rivali, capeggiati da “Barboncino”, era stato Fabrizio Piscitelli, Diabolik: lo storico capo ultrà degli Irriducibili della Lazio, la frangia di ispirazione neofascista del tifobiancoceleste. Piscitelli, dopo aver scalato la gerarchia della Curva Nord, si era messo in testa di diventare il nuovo re del crimine capitolino. E forse proprio la sua smania di potere lo ha portato sulla strada della morte. Il suo omicidio porta la data del 7 agosto 2019 al parco degli Acquedotti, a Roma Sud. È una data da tenere a mente. Perché c’è un “prima” e un “dopo” Diabolik.
La sua uccisione ha generato il terremoto di cui Roma paga ancora gli effetti: si spara con facilità, sino a uccidere un ragazzino di 14 anni. Dopo la morte di Piscitelli è arrivato l’arresto del “dio degli albanesi”, ElvisDemce. Prima, c’era stata la cattura del boss Michele Senese e quella dei suoi figliocci, come Giuseppe Molisso, il “re” di Tor Bella Monaca. E ancora: colpito il clan degli Spada, colpiti pure i Casamonica, i Fasciani, i Gambacurta. La procura, grazie a pm coraggiosi come Ilaria Calò, Giovanni Musarò, Mario Palazzi, Francesco Cascini e Francesco Mìnisci ha fatto piazza pulita.
Il vuoto, però, è stato rapidamente riempito dagli appetiti dei nuovi gruppi: bande rimaste in ombra fino a quel momento che hanno pensato di potersi prendere Roma. Questa, però, è una città che non vuole re. Ela parabola di Piscitelli ne è la prova: si fa male chi prova a scardinare la precaria stabilità dell’Urbe. Chi si inserisce nei canali di rifornimento della droga, ormai in mano alle mafie. Rischia chi si propone di mettere mano con la violenza al sistema dello spaccio, gestito dalla malavita locale. Diabolik aveva pensato di diventare il broker della cocaina approfittando dell’arresto dei Senese, e poi di primeggiare in casa sua, a Roma. Un progetto (fallito) che però ha rimescolato le carte, ridisegnando a suon di piombo i confini dei regni.
Omicidi, gambizzazioni, incendi o attentati scandiscono infatti il “post” Piscitelli. Come le tre bombe piazzate in altrettanti ristoranti a Ostia, solo nel 2023. C’è il rapimento di Danilo Valeri a Ponte Milvio: un commando di italo-dominicani lo porta via da un ristorante di sushi davanti agli smartphone degli influencer di Roma Nord, la “Roma bene”. È il 27 dicembre 2022, e il sequestro segna l’inizio di dodici ore di paura. Si scopre in fretta che il padre di Valeri è il “Sorcio” di San Basilio, quartiere noto come la più grande base dello spaccio d’Europa. Da quelle pa rti non si scherza: i pusher di San Basilio non parlano. Sparano.
Lo insegna la vicenda di Luca Sacchi, ucciso a 24 anni senza sapere perché. Ottobre 2019: aveva accompagnato la fidanzata e un amico a comprare 15 chili di marijuana per 75mila euro davanti a un pub all’Appio Latino. Ma non c’è pietà per gli improvvisati. Né per gliinfami che non pagano la roba.
Come Francesco Vitale, il pr morto di buffi.Febbraio 2023, vola giù da un quinto piano alla Magliana. Era stato sequestrato da un commando che aveva comprato il suo credito dai narcos albanesi in carcere. Sì, i rapimenti sono tornati di moda. Novembre 2022, Gualtiero Giombini viene portato in una baracca e torturato con la fiamma ossidrica. Morirà una settimana dopo il rilascio. Il boss di Primavalle Leandro Bennato gli aveva affidato 107 chili di cocaina, ma il “il Vecchio” era stato derubato.
Gli anni “dopo” Piscitelli sono filati via veloci. Rapidi come i cambiamenti di Roma criminale. Una città parallela, abituata a calpestare i suoi boss per cercare nuovi equilibri. Intanto, la Nord dell’Olimpico sventola in curva una bandiera nera con il suo nome in rosso: Diablo. Un mito del male. Una bandiera che nessuno vuole ammainare, ma di cui lamala si è già disfatta.