Domani, 19 gennaio 2024
L’inutilità di Davos
Cosa ci aspetta nel 2024? Il Wef di Davos, spesso utilizzato come una specola astronomica per prevedere il futuro, non ha azzeccato nessuna previsione significativa in passato sul futuro dello stato del mondo: non ha visto, dopo il fallimento di Lehman Brothers, la recessione globale avvicinarsi nel 2008 fino a creare la crisi dei debiti sovrani in Europa e la possibile fine dell’euro, mentre sia l’isolazionismo di Donald Trump che la Brexit erano assenti nel suo Global Risk Report di 96 pagine nel 2016.
Quest’anno tutti a Davos sembrano rassegnati al fatto che Donald Trump, dopo la vittoria nelle primarie dello Iowa, tornerà alla Casa Bianca.
Ma per Anthony Scaramucci, ex consigliere di Trump che venne catapultato nel 2019 tra le nevi svizzere praticamente da solo e sconosciuto ai più a rappresentare l’amministrazione repubblicana, si lancia in una previsione: la lezione tra le nevi della “Montagna incantata” è chiarissima quest’anno.
«Ci sono tre ragioni per cui Trump non sarà presidente, e la prima è che tutti qui a Davos pensano che tornerà a essere presidente», ha detto ironico a Semafor. «Non preoccupatevi per le altre due».
Ma, come dicevamo, Davos non è mai stata forte nelle previsioni, ma ha sempre creduto di poter aiutare a indirizzare o plasmare per il meglio il destino del mondo favorendo il dialogo tra la politica e il mondo economico.
Ma quest’anno è diverso dagli anni precedenti. Certo, il colosso obbligazionario Pimco ha affermato che la Turchia del presidente Erdogan è sulla buona strada per ottenere il rating investment grade, il premier cinese Li Qiang ha assicurato ai presenti che la Cina è cresciuta del 5,2 per cento nel 2023, sebbene molti siano i dubbi per la situazione del suo mercato immobiliare pesantemente indebitato, e la governatrice della Bce, Christine Lagarde, non ha escluso, in estate, un possibile taglio dei tassi.
Ma le parole della governatrice, ex ministra dell’Economia ai tempi di Nicolas Sarkozy, hanno fatto crollare le borse europee che speravano in un allentamento più vicino, e l’amministratore delegato di Saudi Aramco, Amin Nasser, ha affermato che i mercati petroliferi globali faranno fronte alle interruzioni del mar Rosso nel breve periodo, anche se attacchi prolungati da parte degli Houthi alle navi nel Mar Rosso potrebbe portare a una carenza di petroliere a causa dei viaggi più lunghi e di un ritardo nelle forniture.
Il che significa nuove fiammate inflazionistiche. Ma anche in questo caso si tratta di previsioni a breve che i 2.800 partecipanti sanno prendere con le molle e con la massima cautela.
Le crisi si moltiplicano
A preoccupare di più l’uomo di Davos, l’araldo della globalizzazione, è il fatto che le crisi geopolitiche si moltiplicano senza sosta e a una velocità maggiore di quanto i pompieri (tra cui lo stesso Wef) riescano a spegnere le fiamme: Ucraina, Medio Oriente, Taiwan, e da ultimo Iran e Pakistan.
Ha fatto scalpore il fatto che il primo ministro ad interim del Pakistan, Anwar-ul-Haq Kakar, abbia dovuto interrompere in fretta e furia il suo viaggio al Forum di Davos (Svizzera) dopo l’annuncio degli attacchi pakistani contro i “nascondigli terroristici” in Iran. Ma anche la richiesta del premier iracheno, Mohamed Chia al-Soudani, a un panel di Davos di porre fine alla presenza della coalizione internazionale antijihadista guidata da Washington, ritenendo che porre fine alla missione di queste truppe straniere sia «una necessità per la sicurezza e la stabilità» del paese. Un nuovo focolaio in vista in un paese produttore di petrolio?
In conclusione, si può dire che il mondo di oggi è così complicato da crisi sovrapposte che ora, finalmente, vediamo che l’idea della guida globale della “Superclass” era assurda e impraticabile, forse anche negli anni Novanta delle belle illusioni. Figurarsi oggi.