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 2024  gennaio 18 Giovedì calendario

Norberto Bobbio L’etica del labirinto


Venti anni fa moriva il grande filosofo. L’allievo di una vita lo ricorda con una lectio magistralis in cui ne traccia valori, metodo e pensiero
Vieni a trovarmi! Molte volte, negli ultimi anni, quando viveva ormai ritirato dalla scena pubblica, il professor Bobbio ha detto o scritto queste parole. Oggi possiamo solo più “andare a trovarlo” o nei ricordi personali o attraverso lo studio del suo pensiero, consolidato in un’opera sterminata. Un dono che contiene molte cose.
Homo dicotomicus
Questo, in sintesi, per me è stato Norberto Bobbio. Idem nel metodo concettuale; novus nei risultati pratici. Fermo l’approccio, variabili gli approdi. Rigore e flessibilità convivono perché il metodo è aperto ai problemi. Il problema accende il metodo; il metodo non spegne il problema. Ora, consideriamo che i problemi sono dati dall’esterno, dai sempre nuovi casi della vita, mentre il metodo siamo noi a dovercelo dare e possiamo tenerlo fermo se è un modo d’essere morale. Come il linguaggio rivela il mondo interiore del parlante, così il metodo esprime e rivela il mondo interiore dello studioso.
Una caratteristica, forse quella saliente, è l’attrazione esercitata dalle dicotomie, anzi dalle “grandi dicotomie”, sul pensiero, anzi sulla forma mentis del professor Bobbio: giovane e vecchio, buongoverno e malgoverno, pace e guerra, democrazia e autocrazia, fascismo e antifascismo, stato di natura e stato civile, uguaglianza e gerarchia, lex e ius, destra e sinistra, pubblico e privato, eccetera. In nessun caso può sperarsi in sintesi definitive ma solo in tecniche di convivenza per conciliarle o evitare che scoppino. Delle dicotomie si possono fare usi diversi: per iniziare a conoscere e per iniziare a dare un giudizio, cioè per “prendere posizione”. La pienezza sta nella coppia, pur se, anzi proprio perché, genera contrasto. L’un lato conferma il significato o il valore dell’altro. Per esempio, se non ci fosse la guerra, perché parlare di pace? E viceversa. «Di giustizia il nome nemmeno si saprebbe, se non ci fossero le cose ingiuste», disse Eraclito. La duplicità, dunque, non è un’anomalia. È anche la premessa di completezza perché l’un lato delle cose illumina, per opposizione, l’altro.
Chi sa che la realtà non è semplice, ma può essere vista da più d’un lato, anzi deve esserlo a pena di parzialità, è portato naturalmente a concludere che la verità non può perseguirsi se non da plurimi punti di vista. È, il pluralismo, un concetto che riguarda innanzitutto l’oggetto e poi i soggetti che sostengono uno o un altro dei possibili punti di vista. Il pluralismo nella conoscenza degli oggetti si risolve in pluralismo nei rapporti tra i soggetti, cioè nella tolleranza degli uni nei confronti degli altri.
Tolleranza
Tolleranza, in questo senso, non è una “formula pratica e contingente”. È, invece, una via sempre aperta per avvicinarsi alla conoscenza. Va da sé che la tolleranza implica di non usare violenza né fisica né morale contro l’altro che non la pensa come te. Naturalmente, la condizione di questa concezione della tolleranza aperta al dialogo è che non si oppongano concezioni originarie di partenza radicalmente incompatibili. Può esserci tolleranza tra il razzista che milita per la sottomissione o lo sterminio delle “razze inferiori” e lo stoico, il cristiano, l’umanista che milita, al contrario, per l’unità del genere umano? Evidentemente no. Tolleranza sì, d’accordo, ma si può tollerare l’intollerante? Di fronte a un regime che nega la libertà, che fare? La risposta di Bobbio, che nonera pacifista gandhiano non è perentoria: «Non è detto che l’intollerante, accolto nel recinto della libertà, capisca il valore etico del rispetto delle idee altrui. Ma è certo che l’intollerante escluso non potrà mai diventare un leale osservante della tolleranza. Può valer la pena mettere a repentaglio la libertà accogliendo nel nostro seno il nemico, se l’unica alternativa è di restringerla fino a soffocarla. Meglio una libertà in pericoloma che si espande, che una libertà protetta che si chiude in séstessa».
Dialogo
Mentre la tolleranza, secondo ciò che si è detto, è la virtù che arricchisce la conoscenza, il dialogo, che della tolleranza è figlia, è la via della convivenza. La violenza e la guerra iniziano quando cessa il dialogo, e la pace inizia con il dialogo. Il “colloquio” presuppone certe condizioni. Innanzitutto, non può essere una via per “onorare” l’abiezione e gli abietti, ammettendoli a un tavolo di discussione paritaria. Viene in mente l’idea del “comitato per la riconciliazione” proposto al tempo di Norimberga da gerarchi nazisti responsabili dei massacri a rappresentanti delle vittime. Tutto ha un limite, anche il dialogo. In secondo luogo, il dialogo deve avvenire a certe condizioni di natura culturale, quelle che vengono indicate da Bobbio in un passo citatissimo, tempo fa proposto come “traccia” all’esame di maturità: «misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, non pronunciarsi e non decidere mai come oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva». (…)I diritti
Al tema dei diritti umani Bobbio ha dedicato numerosi scritti, a iniziare dal 1951 fino al fondamentale L’età dei dirittidel 1990. Ma, mezzo secolo dopo lo scritto del 1951, il giudizio si rovescia, a contatto con la cruda realtà. Bobbio stesso pronuncia parole che hanno il significato di una resa: «Tutte le nostre proclamazioni di diritti appartengono al mondo dell’ideale (…) Il nuovo ethos mondiale dei diritti dell’uomo risplende soltanto nelle solenni dichiarazioni internazionali e nei congressi mondiali che li celebrano e dottamente li commentano, ma a queste solenni celebrazioni, a questi dotti commenti corrisponde in realtà la loro sistematica violazione in quasi tutti i paesi del mondo (forse potremmo anche dire tutti senza timore di sbagliare), nei rapporti tra potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra chi sa e chi non sa». Se avessi tempo ed energie, disse, oggi scriverei piuttostoL’età dei doveri.
Rimpiangiamo la voce del professor Bobbio. Avrebbe tanti problemi d’importanza capitale su cui indagare ancora e ancora: la pace e la guerra di fronte alle nuove forme di violenza cui assistiamo sgomenti; il sovranismo e il nazionalismo risorgenti, le sfide agli Stati nazionali dellemigrazioni di massa che premono alle frontiere degli Stati; il futuro della vita sul pianeta e i cosiddetti diritti delle generazioni future; la disobbedienza civile in nome dei diritti umani; la libertà del pensiero e della cultura e le nuove forme di omologazione e massificazione. Lui, che ha salutato il riscatto del mondo femminile come la più importante e profonda rivoluzione del nostro tempo, non si sarebbe sottratto alla sfida che lenuove e complesse tematiche “di genere” rivolgono alle categorie filosofiche, politiche e giuridiche. Ci avrebbe aiutati ad andare nel profondo di tanti interrogativi, dove si annida la causa del malessere del nostro tempo, da cui le inquietudini per il futuro dipendono. (…)Il labirinto
In un passo della sua AutobiografiaBobbio s’interroga sulle prospettivedella vita individuale e collettiva per mezzo di tre immagini tratte da Wittgenstein. Le immagini sono la bottiglia nella quale la mosca vola a casaccio, la rete in cui si dibatte il pesce, il labirinto dal quale ci si dà da fare per trovare la via per uscirne. La mosca uscirà dalla bottiglia solo per un colpo di fortuna. La sorte del pesce è invece segnata e il suo dibattersi non farà che impigliarlo sempre di più, mentre chi è perso nel labirinto può tentare di uscirne con il suo ingegno: «chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca». L’etica del labirinto è quella del dubbio metodico. Richiede che «non ci si butti mai a capofitto nell’azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d’ipotesi, mete intermedie, salvo a correggere l’itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute». Inutile dire che l’immagine più vicina alla sua situazione esistenziale è la terza, il labirinto.
Epilogo
Più e più volte, nei suoi scritti vediamo ripetere che viviamo nel mistero: non sappiamo da dove veniamo e dove andiamo; non sappiamo spiegare, ma solo constatare il male del mondo, la violenza, l’odio, le guerre, la brama di sopraffazione; non sappiamo neppure se siamo mossi da un determinismo invincibile. Non sono, allora, per nulla sorprendenti le parole molto umane alle quali il professor Bobbio si aggrappava nell’ultima fase della sua vita: «più che i concetti, contano gli affetti». Richiamano alla mente quelle che concludono ilDialogo di Plotino e di Porfirio nelle Operette morali di Giacomo Leopardi, un autore ch’egli amava. Il maestro si rivolge così al discepolo che, stanco di vita, voleva farla finita: «Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita».