il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2024
La lettura è “mistero” da Weil
Pubblichiamo un estratto del capitolo “Sulla nozione di lettura” all’interno del libro di Simone Weil “Attenzione e preghiera” edito da Meltemi, da domani in libreria.
Questo è il tentativo di definire una nozione che non ha ancora ricevuto un nome adeguato e alla quale si potrebbe forse dare il nome di “lettura”. Nella lettura c’è un mistero, un mistero la cui contemplazione può aiutare non tanto a spiegare, ma a cogliere altri misteri nella vita di tutti i giorni.
Tutti sappiamo che la sensazione è immediata, brutale, e ci coglie di sorpresa. (…) Il mistero risiede nel fatto delle sensazioni di per sé quasi indifferenti ci colgono allo stesso modo tramite il loro significato. Pochi tratti neri su carta bianca sono cosa ben diversa da un pugno nello stomaco. Ma, talvolta, l’effetto è il medesimo. Tutti abbiamo provato le conseguenze di certe cattive notizie lette in una lettera o in un giornale. Ci sentiamo colpiti e scossi, prima ancora di capire di che cosa si tratti e, in seguito, l’aspetto doloroso continua e perdura. A volte, quando il tempo ha sopito un poco il dolore, se d’improvviso la lettera riappare fra le carte che teniamo nelle mani, sorge un dolore più vivo, anch’esso improvviso e pungente come un dolore fisico.
(…) Due donne ricevono ciascuna una lettera che annuncia a entrambe la morte del figlio: una di loro, al primo sguardo gettato sul foglio, sviene, e mai più fino alla morte i suoi occhi, la sua bocca, i suoi movimenti saranno gli stessi di prima: l’altra resta la stessa, il suo sguardo, il suo atteggiamento non cambiano: non sa leggere. Più che dalla sensazione, la prima donna è stata colpita dal significato che l’ha raggiunta immediatamente, brutalmente, senza la sua partecipazione, così come fanno le sensazioni. Tutto avviene come se il dolore risedesse nella lettera e dalla lettera saltasse sul volto di chi la legge. Quanto alle sensazioni vere e proprie, quali il colore della carta, dell’inchiostro, esse non appaiono. Ciò che si dà alla vista è il dolore.
È così che in ogni momento della vita siamo raggiunti come dal di fuori da quei significati che noi stessi leggiamo nelle apparenze; possiamo discutere all’infinito sulla realtà del mondo esterno. Perché ciò che chiamiamo mondo è un significato che noi leggiamo, dunque qualcosa che non è reale. Ma ci cattura come se fosse esterno a noi, dunque come qualcosa che è reale. Perché voler risolvere questa contraddizione, quando il compito più alto del pensiero, su questa terra, è quello di definire e contemplare le contraddizioni insolubili che, come dice Platone, tirano verso l’alto? È singolare che non ci siano forniti sensazioni e significati: ci è dato soltanto ciò che leggiamo; noi non vediamo le lettere. Lo hanno chiaramente dimostrato, in particolare, alcuni studi sulla testimonianza. Correggere bozze è difficile perché, leggendo, il più delle volte vediamo le lettere che i tipografi hanno omesso tanto quanto le lettere che hanno stampato. Bisogna costringersi a leggere un altro significato, non più quello delle parole e delle frasi, ma quello delle lettere dell’alfabeto, senza dimenticare del tutto il primo. Quanto poi a non leggere, è cosa impossibile. Non è possibile guardare un testo stampato in una lingua nota, collocato in modo opportuno, e non leggervi niente. Vi sono forse possibilità di riuscirci solo al termine di un lunghissimo esercizio.
Il bastone dei ciechi, esempio trovato da Cartesio, fornisce un’immagine analoga a quella della lettura. Chiunque maneggi una penna può convincersi che il tatto sia come trasferito sulla punta del pennino. Se il pennino urta contro qualche irregolarità della carta, l’urto è immediatamente rilevato, mentre le sensazioni delle dita della mano, attraverso cui lo leggiamo, neppure appaiono. Tuttavia, l’urto del pennino è soltanto qualcosa che noi leggiamo. Così pure il cielo, il mare, il sole, le stelle, gli esseri umani, tutto quanto ci circonda è qualcosa che leggiamo. Ciò che chiamiamo una corretta illusione sensoriale è una lettura modificata. Se di sera, su un sentiero solitario, credo di vedere un uomo nascosto anziché un albero, mi si impone una presenza umana minacciosa che, come nel caso della lettera, mi fa fremere ancor prima di sapere di cosa si tratti. Mi avvicino e all’improvviso tutto cambia, non fremo più, leggo un albero e non un uomo. Non c’è un’apparenza e un’interpretazione. Attraverso i miei occhi era penetrata fino alla mia anima una presenza umana e poi, improvvisamente, la presenza di un albero. Se odio qualcuno, non c’è lui da una parte e il mio odio dall’altra. Quando egli avanza verso di me, è qualcosa di odioso che mi viene incontro. Così la perversità della sua anima è per me più evidente del colore dei suoi capelli. Per altro, se è biondo sarà un biondo odioso, e se è bruno sarà un bruno odioso. Esther che avanza verso Assuero non avanza verso un uomo che, come ben sa, può farla uccidere. Esther avanza verso la maestà stessa, il terrore stesso, che attraverso la vista raggiungono la sua anima e proprio per questo lo sforzo di camminare la fa venir meno. D’altronde è lei stessa a dirlo: ciò che contempla con timore non è la fronte di Assuero, ma la maestà che vi è impressa e che ella vi legge. In simili casi si parla per lo più di effetto d’immaginazione, ma forse converrebbe di più usare il termine “lettura”. Questa parola implica che si tratta di effetti prodotti da apparenze, ma apparenze che non appaiono o appaiono appena. Ciò che appare è qualcos’altro, che sta alle apparenze come una frase sta alle lettere. Ma questo appare come un’apparenza, d’improvviso, brutalmente, dal di fuori, e quasi inoppugnabile per la sua evidenza.