Il Messaggero, 18 gennaio 2024
Biografia di Afrodite
Quale vita più, quale gioia, senza l’aurea Afrodite? Ch’io muoia, se un giorno non avrò più nel cuore un amore segreto e i doni più dolci del miele e il letto, fragili fiori di giovinezza da cogliere in fretta. Subito incombe dolorosa vecchiaia, che rende l’uomo amaro e sgradevole...». Così scriveva il lirico greco Mimnermo, nato nel 670 a.C. E dai versi traspare non tanto la paura dell’invecchiamento, quanto della sua più amara conseguenza, la perdita dell’amore e del piacere, di quella “Afrodite dorata” senza la quale non vale la pena vivere. Le parole possono assurgere a paradigma di una certa idea di Afrodite, quale simbolo e metafora dell’amore. Tale è, da sempre, il suo potere.L’INVOCAZIONEAnche la poetessa Saffo la invoca. «Afrodite immortale, che siedi sopra il trono intarsiato, figlia di Zeus, tessitrice d’inganni, ti supplico: non domare il mio cuore con ansie, tormenti, o divina, vienimi accanto, come una volta quando udito il mio grido mi hai ascoltata: giungesti lasciando la casa d’oro del padre, aggiogasti il tuo carro...»Cambiando epoca, così scrive Foscolo in A Venere: «E te, leggiadra Venere, te canteremo ancora, o Dea, più fresca e rosea della serena Aurora... A te ricorro io, supplice, o tra le belle bella...». Mentre l’americano Francis Scott Fitzgerald, in Belli e Dannati, si lancia in una suggestiva descrizione del suo attributo, la bellezza: «La bellezza, che nasceva ogni cento anni, stava seduta in una specie di sala d’aspetto all’aperto... Le stelle ammiccavano confidenzialmente mentre passavano e i venti le smuovevano teneri e incessanti i capelli. Ella era incomprensibile, perché in lei l’anima e lo spirito erano una cosa sola: la bellezza del corpo era l’essenza dell’anima. Era l’unità cercata dai filosofi per secoli e secoli. In questa sala d’aspetto di venti e di stelle, ella stava seduta da cento anni, tranquilla nella contemplazione di sé stessa».Si potrebbe continuare così, a ripetere versi e parole – di poesie, di romanzi, di canzoni, di opere liriche, di film – per decine di pagine. O fare ricorso a pitture, statue, arazzi, oggetti, persino fumetti che raffigurano la divina. Infinite sono infatti le raffigurazioni della dea. A cimentarsi nell’antichità sono stati per esempio scultori come Fidia e Prassitele. Celebre è anche la Venere di Milo, nonché la Venere callipigia (dalle belle natiche), che si trova al Museo Archeologico di Napoli.IL POMOPerché nessuna, fra le dee dell’Olimpo, ha destato tanta attenzione, ha suscitato tante brame, è stata implorata quanto lei. Afrodite (Venere per i Romani), dea dell’amore e della bellezza, ma anche della forza vitale, della fecondazione, dell’istinto. A cui non a caso Paride dette il pomo fatale che avrebbe portato alla guerra di Troia.Secondo una delle leggende che la circondano, Afrodite nacque nelle acque dell’isola di Citera da Urano e dalla spuma del mare. O meglio, come narra Esiodo nella Teogonia, dai genitali di Urano – spesso il mito parla per storie cruente – evirato dal dio Crono, che aveva poi gettato in acqua gli attributi virili. Il nome della divinità significa più o meno «colei che è nata dalla spuma (afròs) del mare», e spesso viene chiamata Anadiomene, «che sorge dal mare». É una genesi che ha colpito l’immaginazione di molti artisti: basti pensare alla Venere di Botticelli. Secondo altri, però, «la più bella fra le divinità dell’Olimpo» (così dice Omero) è figlia di Zeus e di Dione, ed è chiamata spesso “aurea” e “urania”. Il filosofo Platone fa ampi riferimenti a lei, distinguendo fra “Afrodite Urania” (cioè celeste) ovvero quella dell’amore puro e idealizzato, e “Afrodite Pandemia”, dell’amore sensuale. «Afrodite rappresenta la potenza irresistibile dell’amore e l’impulso alla sessualità che stanno all’origine della vita stessa... Perché quando si ama, ognuno sembra perdere la ragione e si lascia trascinare dalla passione». Fra i suoi attributi ci sono il mirto e la mela, oltre ad animali come la colomba. Suo sposo è lo zoppo Efesto, il “fabbro degli dei”, che lei tradisce con il dio della guerra, Ares (almeno a sentire Omero). Per altri miti, invece, è proprio Ares il marito. LE PASSIONIDiverse, comunque, sono le passioni che la dea si concede, fra cui quella con il troiano Anchise. Vanesio e pettegolo come a volte sanno essere gli uomini, Anchise ha la pessima idea di gloriarsi di quell’amante così illustre e Zeus lo punisce, azzoppandolo. Da quell’amore nasce Enea, che fugge da Troia in fiamme con il padre Anchise in spalla e il figlioletto Ascanio per mano. E che sarà alla radice della fondazione di Roma. Da Venere quindi discenderebbe la città eterna e tutta la sua gloriosa stirpe. A volte la dea tanto invocata sa anche essere gelosa, come nel caso della bella Psiche, che Afrodite fa perseguitare da suo figlio Eros (lo avrebbe avuto da Ade). Questi, però, si innamora di Psiche, che verrà sottoposta a una serie di prove da Afrodite stessa prima di poter coronare il suo sogno d’amore. Ma sono solo quisquilie: perché l’amore, in fondo, resta «il più saggio degli dei». Colui che, secondo Dante, «move il sole e le altre stelle».