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 2024  gennaio 17 Mercoledì calendario

La luce di Napoli al tempo di Napoleone

LA LUCE DEL SUD Ai TEMPi DI NAPOLEONENapoli. La rassegna alle Gallerie d’Italia spiega come il sole avvolse Murat e la moglie Carolina Bonaparte: così sentirono di essere sovrani e Joseph Rebell portò quella pienezza sulle teleLuigi Mascilli MiglioriniNessuno lo sapeva. Di certo non Giuseppe Bonaparte, che la volontà di un fratello sempre irrequieto aveva sottratto alla tranquillità della bella tenuta di Mortefontaine e messo a fare il re a Napoli. E neppure Gioacchino Murat, deluso che sul trono di Madrid gli fosse stato preferito proprio Giuseppe e a lui fosse toccato quello di Napoli, troppo piccolo ai suoi occhi. E neppure Carolina, che allo scontento del marito aggiungeva il rimpianto dell’Eliseo, dove aveva abitato e diventato, grazie a lei, il palazzo più elegante della capitale francese. Parigi, dunque, si allontanava sempre più mentre la carrozza su cui viaggiava correva verso il fondo dello stivale italiano, verso una città sconosciuta alla quale uno scrittore, francese anche lui, aveva reso, qualche anno prima, un omaggio impietoso: «L’Europa finisce a Napoli, e vi finisce anche male».
Fu quando la coppia entrò nel Palazzo Reale che finalmente capirono. Quella reggia che da un lato si apriva – come tutte le grandi dimore dei sovrani europei – su una piazza ampia e sufficientemente maestosa, ma dal lato opposto si affacciava, in maniera inattesa, sul mare, da dove si poteva scorgere la costa della penisola di Sorrento e avere davanti a sé il profilo di Capri, non parlava il linguaggio di una periferia. Carolina e Gioacchino sentirono subito di essere diventati sovrani, di un irripetibile crocevia: tra un passato spinto fin nel cuore dell’Antico e un presente inquieto di futuro, tra Europa e Mediterraneo, tra le opere dell’uomo e quelle della natura. Tutto, insomma, tranne che una precaria frontiera della civiltà, ma la capitale, piuttosto, di un regno che superava, perfino, il disegno dei suoi confini, capace, dunque, di misurarsi con Parigi e con il sogno universale che abitava nella mente dell’Imperatore.
Ed era anche – lo capirono in quello stesso momento – una capitale della luce. Di una luce che essi non avevano mai visto: non Carolina nelle albe timide di Aiaccio e neppure Gioacchino nei tramonti del Périgord dove era nato o tra le sabbie egiziane dove aveva combattuto. Era la luce morbida ma non languida, dalle tonalità dominanti ma non invasive dell’azzurro e del rosa, che aveva colpito Goethe, ed era pronta ora ad affascinare tutti i pittori che essi avrebbero chiamato per rendere il loro regno ancor più incantato di quanto già non cominciasse loro ad apparire.
Collezionisti appassionati e committenti esperti già per il loro Eliseo, fu facile alla giovane coppia far arrivare a Napoli una generazione di artisti che, attraversata la Rivoluzione, condivideva anche il fascino della stagione napoleonica. Gioacchino si preoccupò di abbellire le due residenze principali – il Palazzo Reale di Napoli e Caserta – con opere destinate a celebrare le glorie della nuova dinastia. Fece arrivare a Napoli, insieme al suo autore, il quadro della Battaglia di Abukir e lo volle collocare nell’anticamera del Palazzo Reale, perché fosse chiaro che quella vittoria gli apparteneva e non era in nulla inferiore a quelle del suo ambizioso, e geloso, cognato.
Poi sempre a Gros, ordinò un ritratto equestre che non avrebbe dovuto sfigurare con il Napoleone al San Bernardo di David. Carolina preferì, invece, inseguire il sogno della luce nella piccola Reggia di Portici, dalle proporzioni adatte al moderno gusto borghese di quella sovrana, sulle rive del golfo al punto che la regina prese l’abitudine di immergersi in acqua inaugurando – si racconta – anche la prima moda dei costumi da bagno.
Tra i tanti ad accompagnarla in questo sogno ci fu Joseph Rebell, un giovane pittore austriaco che aveva già sperimentato le luminosità italiane nelle assai più tenui coloriture dei laghi lombardi, da lui dipinti tra il 1810 e il 1813. Si può dire, però che a Napoli egli imparò veramente cosa fosse la luce. Lo dimostrano le vedute esposte ora nella splendida mostra che di Rebell e della “luce del Golfo” fa gli incontrasti protagonisti della «Napoli al tempo di Napoleone». I palazzi che è chiamato a raffigurare – dal Palazzo Reale alla villa d’Elboeuf con il porticciolo del Granatello, alla Villa Favorita lungo il Miglio d’Oro, attraversate da ombre e colori che Rebell seppe, come pochi, acciuffare, perdono ogni solennità del potere e rivaleggiano, nella grazia dei pomeriggi mediterranei, con le vere e proprie pitture di paesaggio: i Campi Flegrei, Castellammare, Ischia, Atrani.
Per la tappa napoletana di questa mostra (nata a Vienna nel 2022 nell’Orangerie del Palazzo del Belvedere) voluta e ospitata dalle Gallerie d’Italia nell’edificio piacentiniano già sede del Banco di Napoli, i curatori hanno saggiamente deciso di accostare a queste immagini opere come la Presa di Capri di Schmidt, il Gioacchino Murat ritratto da Gerard, quello di Carolina con i suoi figli, ancora di Gerard, più noti ma capaci di restituire al visitatore tutta la felice duplicità di anni nei quali la costruzione di una dinastia avveniva attraverso la scoperta della bellezza e la natura dei luoghi si imponeva con forza non minore delle armi sguainate dall’irruento re-cavaliere.
Di quella duplicità, che era nella storia lunga di Napoli e che appartenne alla storia breve dei Murat a Napoli, fu poi Ingres, anche lui venuto qui a lezione di luce, a fotografare l’ultimo attimo di felicità. Nel 1814, mentre crolla l’Impero a Parigi, ritrae Carolina vestita di nero e appoggiata a una scrivania sulla quale è poggiato un campanello (ultimo segno di un’autorità sul punto di smarrirsi). Dalla finestra alle sue spalle si intravede un magnifico Vesuvio che saluta, eruttando, la propria, eterna e personale, vittoria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Napoli al tempo
di Napoleone. Rebell
e la luce del Golfo
Napoli, Gallerie d’Italia
Fino al 7 aprile
Catalogo a cura di S. Grener,
L. Martorelli F. Mazzocca, G. Toscano, Edizioni Gallerie
d’Italia/Skira, pagg. 250, € 35