Corriere della Sera, 17 gennaio 2024
Intervista a Pieraccioni
ROMA «È la prima volta che lascio il cabaret, io ero attaccato al giullarismo», dice Leonardo Pieraccioni. Nel suo film on the road, Pare Parecchio Parigi (da domani in 450 sale per 01), fa un’inversione a U verso l’agrodolce, ma è più «agro» che dolce.
Una sterzata perché la commedia non tira più?
«Il pubblico si è disaffezionato. La finestra per vederli si è accorciata, dopo tre mesi li hai comodo in casa, i film comici sono quelli che ne soffrono di più, perché si pensa che i supereroi o le inondazioni rendano di più sul grande schermo. Ma anche una risata da solo o tra 500 persone è un’altra cosa».
È un Pieraccioni diverso perché è a ridosso dei 60 anni?
«Ho sempre avuto paura dei sentimenti e del sentimentalismo. Invece mi sono emozionato. Ho scritto la sceneggiatura con Alessandro Riccio proprio perché non ha mai visto un mio film».
Dopo quindici film…
«Ho esordito trent’anni fa con I Laureati, raccontando le paturnie di un 30enne che si dichiara fuori corso nella vita, e forse ne farò il sequel per vedere che fine ha fatto, lui e gli altri. Poi le belle storie d’amore dei 40enni con porte che si chiudevano e ti domandavi, ma vivranno felici e contenti? A 50, Martina la mi’ figliola mi diceva: sei stato un babbo che poteva dare di più».
E ora c’è un padre aspro, cinico.
«…Nino Frassica, professore in pensione. Assente, burbero, quasi cieco, al terzo infarto, mezzo morto. E allora prende corpo l’idea di un viaggio a Parigi con i tre figli che si erano persi di vista, un viaggio tutti insieme, io Chiara Francini e Giulia Bevilacqua, su un camper. Ma non escono dal mio maneggio. Il padre di notte vede le lucine di Pisa e dice: Parigi è sempre bellissima. Non si sa se ci creda oppure no, non è importante. La cosa bella è che finalmente si aprì a un sorriso».
E le acredini fra loro si smussano.
«Un amico mi ha detto dopo l’anteprima: ma lo sai che devo ricominciare a parlare con la mi’ sorella? Se questo film serve per ripartire in famiglia dopo un Natale andato male, avrò fatto il film più bello della mia vita. Mia figlia adolescente ieri mentre si lavava i denti prima di andare a dormire con lo spazzolino in bocca m’ha detto: guarda che io per te ci sarò sempre. Il film è ispirato a una storia vera degli anni ’80. L’avevo archiviata in un cassetto come soggetto ardito. Ma se non avessi fatto questo film, mi sarebbe andato di traverso».
È una storia sui rimpianti e sul non detto di una famiglia. A casa sua com’è andata?
Quando smisi
di studiare feci il magazzinie-re per 5 anni. Poi mio padre mi trovò
un posto da usciere in una banca: gli dissi
che facevo fatica
a indossare la divisa
e mi capì
«Anche quando smisi di studiare, molto presto, i miei mi videro come un bravo ragazzo. Feci per cinque anni il magazziniere, poi lavorai in una falegnameria. Era un modo per farmi capire che la vita del non laureato era difficile. Nel mezzo il mi’ babbo mi aveva trovato un lavoro da usciere in banca. Per chi veniva da una famiglia umile il posto fisso era il massimo. Gli dissi che facevo fatica a immaginarmi con la divisa da usciere e mi capì».
Quando cominciò a fare l’attore...
«I miei non hanno mai sottolineato che avessi vinto il mio Superenalotto. Mi hanno sempre fatto sentire con i piedi per terra. Ora ho mia mamma, che continua a guardarmi come se avessi 14 anni, mi giudica per come mi comporto con la mia figliola e con Laura, la madre della mia figliola».
È stato fortunato.
«In casa si rideva tanto, abitavamo in un quartiere popolare di Firenze, per tutta la vita ho cercato di riprodurre il suono di quelle risate. Sembrava di stare sul set di Amici miei».
Nino Frassica non è il primo a cui si pensa per un padre burbero e cinico.
«Se uno nasce cabarettista, soffre come una bestia a non farlo. Gli ho chiesto: ma tu c’hai voglia di stare sdraiato su un camper tutto ingrugnato? I comici hanno i colori del dramma, mentre non avviene il procedimento contrario. Il risultato è che quando De Niro, uno dei cinque attori più bravi al mondo, fa il gangster comico, non è più lui, perde naturalezza. Sordi per Un borghese piccolo piccolo o Detenuto in attesa di giudizio meritava due Oscar».
Ceccherini è il cattivo.
«Ora è diventato una specie di prete laico, se ne sta arrampicato in un paesino sopra Pistoia, beve quasi solo acqua e vive in simbiosi col cane, ci dorme pure insieme. Siccome ha lavorato con Garrone alla scrittura di Io Capitano, è terrorizzato dal fatto che dovrebbe lasciare il cane per non poterlo portare sul tappeto rosso a Hollywood».
La commedia deve tener conto del politically correct?
«È diventata una cosa folcloristica. Il montatore pensava di tagliare la scena dello scappellotto a una sorella. Gli ho spiegato che lo scappellotto li unisce, e lei ne ride».
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