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 2024  gennaio 17 Mercoledì calendario

La lezione di Umberto Eco


Alcuni di noi, ragazzi liberi del 1945, non sono mai passati per l’infatuazione, l’entusiasmo o la fede comunista. Non abbiamo neanche avuto il problema di come fare le cose insieme ai nostri amici (“compagni” era la parola, scolastica, non politica, perché tutto ciò che sto raccontando era prima dell’università) perché il legame forte dei nostri gruppi, nei vari licei del tempo, era “antifascismo”, spesso con la partecipazione degli insegnanti. Eravamo intransigenti perché tutti noi (tutti) avevamo visto (cito i primi due versi della poesia di Fortini, copiando da Eco): “Sulla spalletta del ponte le teste degli impiccati”.
E non ci appassionavano le avventure di un partito tormentato dai due amori, per l’Unione Sovietica e per la democrazia italiana, ma piuttosto il patto firmato dai nostri morti per la forza, la coerenza e la continuità dell’Antifascismo italiano.
Quando, un 25 aprile del 1997, quattro di noi si sono incontrati alla Columbia University, a New York (Umberto Eco, Giorgio Strehler, Vanessa Redgrave e io) è stato facile e spontaneo seguire subito il suggerimento della grande attrice, amica e appassionata antifascista: celebrare a New York la liberazione italiana.
Columbia era la mia università, Eco era stato invitato per una lectio magistralis, ed era già stata riservata l’aula magna (il pubblico di Eco era sempre grandissimo) e il direttore del Piccolo Teatro era ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di New York che io dirigevo.
Abbiamo chiesto alNew York Times di ospitare nelle pagine metropolitane del giornale l’annuncio che il 25 aprile, giorno della liberazione americana e partigiana dell’Italia dal fascismo, l’Istituto Italiano di Cultura di New York sarebbe stato aperto dalle 8 del mattino alle 8 della sera, con i microfoni che avrebbero registrato e diffuso la memoria di coloro che erano in Italia quel giorno e lo volevano raccontare. Si sono presentate più di mille persone, quasi tutti ex soldati liberatori che gli italiani di allora avevano abbracciato con felicità e gratitudine.
C’era, fra coloro che sono venuti, Luciano Rebay, comandante di una eroica formazione partigiana nei giorni della Resistenza, che adesso era professore di Poesia alla Casa Italiana della Columbia University.
Eco aveva appena pubblicato il suo testo destinato a diventare celebre Ur-fascismo (Il fascismo eterno ) su una rivista, ma questa (la conferenza alla Columbia) era la sua prima versione in forma di lezione, colma delle sue qualità retoriche e pedagogiche che ne avevano fatto un maestro.
La conferenza ha lasciato la sua traccia che dura tuttora in quella università, ma anche su vari giornali di cultura americani e nelle innumerevoli edizioni del mondo. Eco aveva premesso la sua scoperta: fate tutte le celebrazioni che vorrete, ma il fascismo torna. Torna perché porta in sé la convenienza di negarsi appena necessario (“Io fascista?”) e di celebrarsi senza pudore alla prima buona occasione. “Il fascismo è italiano. Tutti gli altri ci hanno imitato”. Qui entra in scena l’italianità esclusiva di tutto ciò a cui vogliamo dare valore. Noterete che nellapubblicità visiva diventa “esclusivamente italiano” persino ciò che l’Italia non produce o non produce a sufficienza.
Cito da Eco (cambiando solo il tempo dei verbi, dal passato della sua visione di allora, pessimista ma vincitore, al radicale cambiamento delle sorti politiche di oggi): “Il fascismo è un totalitarismo fuzzy. Non è una ideologia monolitica ma piuttosto un alveare di contraddizioni”. Continua la citazione: “Il che non significa che il fascismo italiano fosse tollerante.
Gramsci morì in prigione. Matteotti e Rosselli vennero assassinati, la libera stampa soppressa, i sindacati smantellati, i dissidenti politici confinati su isole remote. Ma tutto ciò in nome della tradizione. Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. È sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori, tradizionalisti, la più importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei savi di Sion, l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il tradizionalismo è camuffato come una condanna del modo di vita capitalistico, l’illuminismo, l’età della ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna. In questo senso l’ur-fascismo può venire definito come irrazionalismo. L’irrazionalismo dipende dal culto dell’azione per l’azione. L’azione è bella di per sé dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione. In questa prospettiva ciascuno è educato per diventare un eroe. L’eroe è un essere eccezionale.
Nell’ideologia ur-fascista l’eroismo è la norma. L’eroe ur-fascista gioca con le armi che sono il suo Ersatz fallico”.
Umberto Eco ha scritto molto prima dell’era Meloni, ma in tempo per sentire l’odore del fascismo, che non è l’accusa a qualcuno ma la constatazione dei fatti. E chi ha vissuto quei fatti non può non riconoscerli. Ma persino i giovani e i contemporanei capiscono che la fraterna amicizia di Meloni con Orbán è un patto d’acciaio di chi respinge l’Antifascismo e che ha bisogno di azioni per mostrarsi e di un linguaggio per comunicare l’evento.
Le azioni arrivano con le leggi di Orbán che abolisce la magistratura (non nel 1944, ma nel 2020, e mentre è uno Stato dell’Unione Europea) e circonda la sua parte di Europa di mura e filo spinato affinché non passino gli stranieri mentre divampano guerre. E arrivano con l’infinita guerra di Meloni e Salvini a chiunque cerchi di mettersi in salvo. Si buttano avanti inesistenti piani Marshall che salveranno l’Africa a cura della “nazione” più indebitata del mondo. Ma alla fine i “patrioti” consegnano Cutro come prova di superiorità e di valore.
Come vedete il testo di Eco si trasforma in profezia se sovrapposto all’era Meloni e al suo linguaggio. E offre, già anni prima, la spiegazione del gioco delle armi. Come tutti i “patrioti”, Pozzolo, al momento dello sparo, stava mostrando agli altri patrioti la sua pistola, forse per un confronto fra le varie dotazioni degli altri patrioti.