la Repubblica, 17 gennaio 2024
Intervista ad Augusto Barbera
Lei, presidente Barbera, viene dalla politica, cinque legislature sono tante, e nessuno meglio di lei può cogliere i segnali di una possibile regressione democratica che si determina quando il potere politico soverchia quello delle Corti…
«D’accordissimo, ma è vero anche l’inverso: le Corti non devono soverchiare il potere politico.
Anche la Consulta. I giudici costituzionali sono collocati – siamo collocati! – su un crinale delicatissimo, costretti a sindacare atti legislativi posti in essere da Parlamenti che esprimono la sovranità popolare. Non a caso fra i più contrari in Assemblea costituente ci furono Vittorio Emanuele Orlando e lo stesso Palmiro Togliatti, un vecchio liberale e un comunista. Mantenersi in equilibrio su questo crinale non è sempre facile. Pensi al sempre più necessario uso di criteri di interpretazione quali la ragionevolezza e la proporzionalità, in cui talvolta legittimità e merito possono intrecciarsi».
Deputato dell’allora Pci e del Pds. Nel 1979 ha votato Iotti come presidente della Camera. Oggi, di fronte a evidenti rigurgiti fascisti, la nostra Repubblica rischia il declino?
«L’elezione di Nilde Iotti rappresentò la fine, o meglio l’inizio della fine, della conventio ad excludendum nei confronti dei comunisti e oggi non posso che essere favorevole al superamento di analoga conventio a destra».
Cosa prova, personalmente, a vedere quelle braccia alzate che fanno il saluto romano ad Acca Larentia?
«Per fortuna non le ho viste… Non spetta ai giudici costituzionali occuparsene ma semmai alle procure. Le ho però viste negli stadi, esprimono a mio avviso una profonda insicurezza identitaria, la ricerca ossessiva di un nemico, la paura del diverso».
Su Repubblica l’ex presidente Giuliano Amato ha evocato lo spettro di Corti – Polonia e Ungheria ad esempio – che rischiano di perdere la loro autonomia. E molti altri costituzionalisti sono d’accordo.
Può avvenire in Italia?
«Non condivido l’accostamento, questo risultato non sarebbepossibile in Italia. Non lo consentirebbero le nostre norme costituzionali ed ordinarie. In Polonia l’occupazione della Corte è stata possibile perché i giudici sono eletti dal Parlamento senza la necessità di una maggioranza qualificata, fino a consentire all’esecutivo di non pubblicare in Gazzetta ufficiale le sentenze della Corte sgradite al governo. In Ungheria i giudici sono eletti sulla base, è ben vero, di una maggioranza amplissima, ma dopo la riforma del 2010, la commissione incaricata di sottoporre all’assemblea i candidati non è più formata da tutti i gruppi politici su base paritaria».
Il premierato. Un premier più forte oscura, anche per il voto differente – il popolo per il primo, il Parlamento per il secondo – il Capo dello Stato, finora figura di garanzia. Un altro segnale della deriva antidemocratica?
«Non posso esprimermi su una riforma che vede aspramente impegnate su fronti opposti le forze politiche. Posso solo auspicare che nel dibattito si tenga conto di quanto deciso con la sentenzanumero 1 del 2014: i premi di maggioranza sono costituzionalmente legittimi, non sono – ricorda la battaglia del 1953? – una “truffa”. Ma, cito un passaggio della decisione, “pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare”, non possono essere fissati “in misura sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito” e senza avere “predeterminato una base minima di voti per la lista o le liste che beneficerebbero del premio”».
Vede? La sproporzione c’è…
«Un’altra cosa mi sento di dire: quale che sia l’esito o il contenuto di questo ddl, non va abbandonato il tema delle riforme. Non è un caso se da quarant’anni si susseguono tentativi di revisione. Alcune pagine erano state volutamente lasciate aperte dal Costituente, altre chiuse in fretta; ciascuno schieramento politico temeva la vittoria dell’altro alle successive elezioni. Una prima correzione si era avuta nel 1963 equiparando ladurata di Camera e Senato. Pensi all’ingovernabilità derivante dalla diversa durata delle due Camere!
Altri risultati erano stati raggiunti per via referendaria con le riforme elettorali in senso maggioritario, fino all’introduzione nella scheda elettorale del nome del candidato alla presidenza del Consiglio. Una sobria legittimazione elettorale, se non proprio la più audace elezione diretta».
Comunque, lei dice, una riforma è necessaria.
«Per le virtualità multiple dei suoi principi la Costituzione italiana è fra le migliori al mondo – onore dunque ai Costituenti – ma non sempre fornisce a governo e Parlamento, al potere politico, quegli efficaci strumenti decisionali che, come recita l’articolo 3 della Costituzione, possano consentire agli stessi di “eliminare gli ostacoli di carattere economico e sociale che limitano di fatto libertà ed eguaglianza”».
L’autonomia differenziata produrrà un’Italia diseguale in cui i cittadini avranno diritti diversi, chi più e chi meno. Tocca alla Corte il riequilibrio?
«Noi dobbiamo limitarci agli aspetti legislativi e non sempre siamo in grado di intervenire sugli effetti economici. E comunque su questo tema, in questi giorni in esame al Senato, non posso ovviamente esprimermi».
Lei ha già criticato il governo sui maxiemendamenti. E vogliamo parlare delle fiducie a raffica e della pletora di decreti-legge che finiscono per essere decreti omnibus?
«Ho criticato non solo questo governo ma tutti quelli degli ultimi decenni. E ho tentato di indicarne le cause: in particolare, l’assenza di incisivi strumenti per l’approvazione dei ddl urgenti; assenza che alimenta il fenomeno dei decreti legge, sconosciuti in altre democrazie. E che ha alimentato il ricorso ai maxiemendamenti; unico strumento per contenere le spinte dissipatrici dei micro interessi.
Pratiche inconcepibili nel Regno Unito, patria del sistema parlamentare ove il Cancelliere dello Scacchiere ha robusti poteri di veto, ma analoghi istituti ci sono anche in Francia o in Germania».
Il Parlamento è già stato esautorato dal governo?
«Si è fatto esautorare non avendo messo in cantiere le riforme necessarie, basti ricordarel’accorato discorso di Giorgio Napolitano al momento della rielezione».
Il futuro capo dello Stato avrà assai meno poteri?
«Essi sono preziosi quando il sistema non funziona: non essendo scattato il premio di maggioranza, Einaudi non diede l’incarico a De Gasperi ma a Pella, Napolitano a Monti, Mattarella a Draghi, ma se il sistema elettorale funziona...».
Una Corte sensibile ai temi più caldi che la politica non affronta finisce nel mirino della politica stessa?
«In questi anni mai ho colto pressioni improprie sull’attività della Corte, semmai normale dialettica di opinioni».
Eppure Gasparri dice che le vostre sentenze sono “più simili a un volantino che a una trattato di diritto”.
«Possiamo passare a una domanda successiva…?».
È solo un caso se Meloni sulla Consulta ne faccia solo una questione di nomine? Quattro nuovi giudici per la fine dell’anno. Un bel bottino che vede la maggioranza in difficoltà perchéda soli non ce la fanno.
«Ma questa non è una novità: mai nessuna maggioranza ce l’ha fatta da sola poiché saggiamente le leggi in vigore prevedono che per eleggere un giudice, o una giudice, è necessaria almeno la maggioranza dei tre quinti, cioè 363 voti, mentre l’attuale maggioranza non supera i 350 circa. La condivisione con altre forze politiche è garanzia di un virtuoso pluralismo politico».
La premier dice che “se una maggioranza di centrodestra esercita le stesse prerogative della sinistra è una deriva autoritaria”.
«Se fosse così come darle torto? In realtà nel contesto del discorso spero di sbagliarmi – la presidente Meloni sembra collocare l’elezione dei giudici sullo stesso piano di talune pratiche di spoils system, poste in essere sotto tanti governi.
Ma l’esperienza ci dice che così non è stato per i giudici costituzionali eletti dal Parlamento, mai espressione di una sola forza politica o della sola maggioranza di governo. Essi godono di notevoli prerogative d’indipendenza e sonovirtuosamente condizionati dalla collegialità e dalla riservatezza dei lavori».
Ne è davvero convinto?
«La storia della Consulta ci dice che mai hanno pesato le appartenenze iniziali. Pensi che tra i migliori giudici vengono annoverati alcuni ex segretari di partito, Mauro Ferri già segretario del Psdi, ma anche Oronzo Reale del Pri, o Alberto Malagugini del Pci o, andando ancora più indietro, Giuseppe Cappi segretario della Dc, ed altri».
La Consulta e le donne. La Corte è stata la prima istituzione in Italia con la sua presidenza, a declinare al femminile le qualifiche dei suoi giudici. La “relatrice”, se si tratta di una donna a seguire il caso, e “redattrice” se ne ha scritte le motivazioni. Solo forma o sostanza?
«È forma eppure, dicevano Tommaso e Aristotele, forma dat esse rei.Il diritto non soltanto prescrive comportamenti, ma è anche forma costitutiva di modi di essere».
Morire di carcere, 66 suicidi nel 2023 dopo gli 85 del 2022. Ai suoi tempi in Parlamento si ragionava di amnistia. L’ultima fu nel 1990 quando i detenuti erano 30.700.
Oggi viaggiamo sui 67mila. La Corte è andata nelle carceri…
«È stato un errore aumentare nel 1992 il quorum, fino ai due terzi, per la concessione delle amnistie. Ho visitato le carceri come parlamentare e come docente, ma non ho partecipato al “viaggio nelle carceri” come giudice. Rimango fermo all’idea che la Corte deve parlare attraverso le sue sentenze: e ha parlato efficacemente fino a vincolare il primo atto di questo governo modificando per decreto l’ergastolo ostativo».
Una toga è ancora libera di avere un’opinione politica e di esprimerla in un’assemblea di corrente? O deve stare zitta pena l’accusa di eversione?
«Anche i magistrati sono titolari del diritto di libera espressione delle opinioni, assicurato per tutti i cittadini dall’articolo 21 della Costituzione, ma si tratta di vedere in che modo e in quali occasioni.
Anche la Corte ha già posto paletti».
La Consulta tre anni fa aveva eliminato il carcere per i giornalisti…
«E abbiamo fatto bene perché sanzioni penali così repressive possono condizionarne la libertà a danno dell’intera collettività».