il Fatto Quotidiano, 16 gennaio 2024
“Sono diventato mimo per far sorridere 90 bambini orfani”
Anticipiamo stralci de “La mia vita” di Marcel Marceau, finora inedita in Italia, in libreria con Carocci da venerdì.
Nonostante il mio spirito romantico, sono nato esattamente come milioni di neonati, in un letto d’ospedale, dal grembo di mia madre, il secondo giorno di primavera del 1923… Le fantasie d’infanzia rimangono le più belle, perché sono visioni di poeti, e la realtà, per quanto dolce, non vale un sogno, come dice il poeta Calderón: “Che è la vita? Un’illusione, un’ombra, una finzione. E il più grande dei beni è poca cosa, perché tutta la vita è sogno”. Ho sognato per tutta la vita e forse ho scelto la strada del teatro proprio per questo… Silenzioso, timoroso e chiuso in me stesso, ero sempre sull’orlo delle lacrime. Mi piaceva la solitudine, dove potevo finalmente dare ordini a uomini che vedevo nell’immaginazione: Napoleone, Robinson Crusoe, Guglielmo Tell, il Cristo lapidato, tutti gli eroi venivano evocati e altrettanto in fretta liquidati; Cesare, Antonio e Alessandro Magno erano già in pensione. Avevo bisogno di altri dei. Affamato di miti, mi rifugiavo nel mondo dei pesci, degli uccelli, dei fiori; temevo il cielo, le stelle sembravano troppo lontane. Ricreavo un universo in cui stabilivo io i valori e di cui ero leader indiscusso. Un giorno una nuova divinità è entrata nella mia vita; sconvolse ogni cosa e decise la mia carriera; si chiamava Charlot. La mia vocazione si è cristallizzata: ho deciso di fare l’attore.
Il 4 febbraio 1944 ci telefonarono: “Tuo padre ha avuto un incidente”; capimmo. Non tornò mai. Dieci anni più tardi, Alain (suo fratello, ndr) venne a sapere da un sopravvissuto di Auschwitz che nostro padre era stato torturato dalla Gestapo, che ci cercava. Lo avevano preso in ostaggio, ma lui non aveva parlato. Uomo integro e coraggioso, aveva sempre vissuto per noi, alieno da ogni compromesso, convinto che i tedeschi avrebbero perso la guerra; ciò che era necessario, diceva, era resistere… Mio padre è stato senza dubbio inviato alla camera a gas con gli ultimi convogli arrivati ad Auschwitz nel marzo 1944 e diretti a Treblinka… Io stavo per tornare in Dordogna e mi sarei unito alla Resistenza e ai miei compagni che mi stavano aspettando. Gabbiano (la direttrice della maison d’enfants di Parigi, dove Marceau si era rifugiato portandovi due orfani, ndr) mi convocò nel suo ufficio: “Rimanga; tutto è stato pianificato, abbiamo bisogno di un maestro… I bambini si affezioneranno”; coraggioso Gabbiano, cuore nobile, balbettai qualche scusa. Mi rassicurò dicendomi che mio cugino le aveva chiesto di nascondermi per un po’. Mio fratello mi aveva procurato documenti falsi. Oggi mi rendo conto che, se me ne fossi andato, la mia vita avrebbe potuto seguire un altro corso. Così ho potuto realizzare il mio sogno a teatro e lo devo in gran parte a questi esseri eccezionali… A volte mi vergognavo di essermi nascosto lì, mentre migliaia di combattenti della Resistenza davano la vita perché potessimo vivere liberi; in questi momenti decisi allora di combattere con le mie giovani forze per assicurare ai bambini giorni felici. Avrei realizzato i loro sogni, trasmesso loro il mio entusiasmo, il teatro si sarebbe aperto sotto le mie mani, avrei affrontato con loro la tempesta, innalzato bandiere sopra i castelli di cartone, avrei insegnato loro a sognare, a costruire, ad amare. Avrebbero dimenticato di essere i figli della vergogna, ebrei o apatridi; avrei creato con loro un’umanità a nostra misura e lì, nel mezzo della bufera, in pieno tumulto, nel cuore di Parigi, avrei insegnato loro l’unica religione possibile, quella dell’amore per la vita e per tutte le creature. Nei mesi precedenti la Liberazione, novanta bambini cristiani ed ebrei vivevano insieme; alcuni legalmente, altri clandestinamente sotto falso nome. Tuttavia, mai fu detta una parola di troppo che potesse ricordare la loro origine; tutto sembrava al riparo dalla grande tempesta, ma la sera, nei loro lettini, mi è capitato di sentire i singhiozzi e più di una volta ho tenuto una manina stretta nella mia e il bambino si addormentava fiducioso.
Quando iniziarono le prove del Re Lear nel dicembre 1944, ricevetti la lettera di appello alle armi. Mi arruolai, lasciandomi così sfuggire un ruolo che tanto avevo accarezzato… Lasciai Charles Dullin, gli assistenti e gli altri attori. Dissi addio ai bambini e a Decroux e ci giurammo che presto il teatro del mimo avrebbe forzato le porte del destino. Mentre guidavo con i miei compagni verso l’Alsazia, sentivo la voce del mio maestro: “Approfondisca il suo stile”. Tenevo tra le mani una sua fotografia che mi aveva regalato. Sul retro si leggeva: “A Marcel Marceau, sconosciuto nel 1944, Étienne Decroux predice una vita felice e prospera; l’Arte lo conserverà per sempre giovane”.