Corriere della Sera, 9 dicembre 2023
Lo strano caso di Lida Taffi Pamio, uccisa due volte
Un giallo rimasto irrisolto per quasi un anno, il caso dell’efferato omicidio che ha scioccato Mestre — quello dell’ottantasettenne mestrina Lida Taffi Pamio uccisa a pugnalate e strangolata nella sua abitazione di viale Vespucci il 20 dicembre 2012 — e, a vicenda giudiziaria conclusa, due colpevoli. Susanna «Milly» Lazzarini, rea confessa e Monica Busetto che, invece, si è sempre dichiarata innocente. Entrambe condannate (rispettivamente a 20 e 25 anni di carcere) in processi separati, entrambe per aver compiuto l’atto da sole. Ed è proprio per l’incompatibilità tra le due sentenze che, a distanza di undici anni dall’omicidio, il caso potrebbe essere riaperto. Con l’obiettivo, da parte degli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, di scagionare la loro assistita, l’assistente sanitaria Monica Busetto, di cui fin dal primo giorno hanno sostenuto la totale estraneità ai fatti.
Ora l’udienza, alla Corte d’appello di Trento dove è stata depositata la richiesta di revisione della sentenza, è stata fissata: mercoledì 24 gennaio alle 13 Doglioni e Busetto ripercorreranno la vicenda per tentare di ribaltare la condanna che la sessantenne mestrina sta scontando nel carcere di Verona, a Montorio. Alla base della richiesta di revisione ci sono appunto le sentenze incompatibili, ma all’attenzione dei giudici saranno ricostruiti tutti i fatti a partire dai mille dubbi sulla consistenza delle prove a carico di Busetto (una collanina della vittima trovata nella casa della donna su cui al secondo esame sono state trovate tracce infinitesimali di Dna, 3 picogrammi di materiale genetico), che di Taffi era vicina di casa, contestate in aula dalla difesa e denunciate in oltre 600 pagine di inchiesta giornalistica nel libro «Lo Stato italiano contro Monica Busetto» (Cronos) del giornalista Massimiliano Cortivo e del docente di Statistica per l’investigazione criminologica Lorenzo Brusattin (Università Pompeu Fabra di Barcellona).
I fatti: alle 17 del 20 dicembre 2012 il nipote della vittima arriva alla sua abitazione in viale Vespucci per accompagnarla in ospedale. L’anziana non risponde e, preoccupato, chiama la moglie per farsi portare le chiavi. Entrato in casa, la scena da film dell’orrore: Leda Taffi Pamio era stata accoltellata, strangolata con un filo elettrico e l’abito le era stato alzato fino al volto. Dentro l’appartamento nessuna traccia di effrazione, né della presenza di altre persone. Gli inquirenti indagano ma l’omicidio sembra destinato a diventare uno di quei cold case irrisolti. Un anno dopo, emerge la collanina nella casa della vicina Busetto, con cui Leda non era in buoni rapporti e sottratta dalla casa della vittima: nel primo esame a tampone, a Padova, non si trovano tracce di dna. Spediti a Roma tutti i campioni raccolti nelle indagini, con un altro test (tecnicamente, a liquido) ecco che il dna compare. Busetto viene arrestata, condannata a 24 anni e mezzo dalla Corte d’assise, all’ergastolo in appello, infine a 25 anni con un doppio passaggio in Cassazione.
Tra i due gradi di giudizio, però, il 29 dicembre 2015, un’altra anziana di Mestre, l’ottantunenne Francesca Vianello, viene strangolata nella sua casa di corso del Popolo: due giorni dopo, l’arresto di Susanna «Milly» Lazzarini, la cui madre era amica di entrambe le vittime. Il periodo natalizio, le modalità dell’assassinio e i legami con le due anziane hanno quindi spinto Doglioni e Busetto a chiedere nuovi accertamenti alla procura. Arrivando a scoprire che l’unica impronta trovata nell’appartamento di viale Vespucci era riconducibile a Lazzarini. Che ha poi confessato il delitto, prima sostenendo di avere fatto tutto da sola, quindi cambiando versione affermando che c’era anche Busetto (che le avrebbe poi promesso soldi per scagionarla), complice dell’accoltellamento. Una versione confermata di fronte alla Corte d’assise d’appello. Nella cui condanna le sue dichiarazioni sono ritenute inverosimili. I due procedimenti penali tuttavia «non si parlano». «Nel giudizio di condanna di Busetto, Lazzarini non esiste processualmente — sottolineano gli avvocati — o comunque non contribuisce a spostare minimamente la ricostruzione dei fatti né il giudizio sulla responsabilità dell’imputata». Contestualmente, nel processo contro Lazzarini, l’imputata è stata ritenuta inattendibile nell’affermare che Busetto era con lei: «Il giudizio di condanna nega in modo consapevole e maturo il fatto storico posto in modo ingenuo ed astratto alla base della condanna di Busetto», continua la difesa. Un’analisi che, il 24 gennaio, Doglioni e Busetto porteranno in tribunale. Intanto, Monica ha scontato un terzo della pena, l’anziano padre l’ha vista una sola volta e guadagna qualcosa lavorando nella sartoria del carcere.