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 2024  gennaio 15 Lunedì calendario

Il controspionaggio e i viaggi all’estero di Matteo Messina Denaro


PALERMO A un anno dall’arresto e quasi quattro mesi dalla morte, la caccia al tesoro nascosto e ai complici di Matteo Messina Denaro non è finita. L’indagine per ricostruire le mosse del capomafia in trent’anni di latitanza, le coperture su cui ha potuto contare e i prestanome che gli hanno gestito la cassa milionaria dalla quale ha attinto fino all’ultimo giorno di libertà, è ancora in corso. E passi avanti se ne sono fatti, al di là degli arresti e delle prime condanne per la cerchia più stretta che l’ha protetto nell’ultimo periodo.
Restano da trovare «le persone che mi hanno aiutato, che hanno cose mie», di cui ha parlato lo stesso capomafia nell’interrogatorio davanti al giudice dell’indagine preliminare Alfredo Montalto il 16 febbraio 2023, a un mese dalla cattura. Nomi naturalmente non ne ha fatti: «Io non ho mai infamato nessuno e morirò senza infamare nessuno, questo è Messina Denaro». Un cognome garanzia di mafia e di omertà, un muro che la Procura di Palermo, i carabinieri del Ros che lo hanno preso e gli investigatori della polizia e degli altri Corpi coinvolti stanno cercando di scalfire sulla base di documenti e indizi trovati nel covo di Campobello di Mazara dove il boss ha abitato da ultimo.
Nell’interrogatorio al gip aveva detto di aver vissuto – dal 2005 in avanti, quando il suo nome era balzato in cima alla lista dei ricercati – soprattutto all’estero: «Ogni tanto tornavo, stavo una settimana, 15 giorni, un mese, contattavo la mia famiglia, sapevo dai loro discorsi come stava e me ne andavo di nuovo...». Di tracce ne sono state trovate in Austria (dove tra gli anni Novanta e primi Duemila Messina Denaro ha avuto una fidanzata nota alle cronache), in Germania e in Francia. Ma anche nel Nord Italia, in particolare Lombardia e Veneto, dove potrebbe aver avviato anche attività economiche. Attraverso qualche «testa di legno» o con i nomi di copertura di cui s’è servito nel corso della latitanza, testimonianti dai documenti d’identità falsi trovati nel covo di Campobello. Se fossero furti d’indentità o cessioni volontarie (come nel caso di Andrea Bonafede, l’ultimo alias) non è ancora chiaro per tutti, ma attraverso quei nomi si sta risalendo ai movimenti e alle attività segrete del capomafia. Il quale ha vissuto una latitanza relativamente tranquilla sul «suo» territorio, molto più a lungo di quanto si immaginasse. È quanto emerge dalle indagini, così come dai «diari segreti» trovati nella casa del padrino dopo la cattura.
Sono tre quaderni riempiti nel corso degli anni, destinati alla figlia Lorenza con cui non ha avuto rapporti fino all’arresto ma alla quale inviò alcune foto, risalenti a a maggio 2006, per farle vedere quanto fosse diverso dall’identikit elaborato dalla polizia scientifica: «Sembrava avessi 86 anni e 5 mesi», invece dei 44 appena compiuti. A Lorenza dedicava pensieri d’amore e di rancore, massime di vita attinte qua e là, descrizioni del proprio carattere e di singoli episodi più o meno significativi. Un paio di questi, in cui la ragazza ebbe un ruolo inconsapevole, dimostrano che Messina Denaro, già assurto al ruolo di super-latitante, si muoveva con una certa libertà nei dintorni di casa sua.
Il momento
Lorenza, oggi ti ho conosciuto, alle 18.40
di venerdì 8 aprile 2016 ti ho incontrata, eri
alla guida dell’auto di quella (la madre, ndr ).
Non era mai accaduto che ti incontrassi,
così ho deciso di seguirti. Tu non ti sei accorta
di nulla, il sangue non ti ha chiamata
«Oggi, martedì 28 luglio 2015, sono stato vicinissimo a mia figlia, a meno di 30 metri, non mi era mai capitato – scrive il boss la stessa sera —. Sono andato in un posto per un appuntamento e arrivato là una persona mia mi aspettava all’esterno per avvisarmi. Ovviamente non sono entrato e sono andato via —. Ma non l’ho vista, ci divideva un muro... Naturalmente l’appuntamento è saltato, ma niente ci fa, sono stato più contento così... Averla avuta così vicina!».
Passano nove mesi e sullo stesso quaderno il capomafia annota: «Lorenza, oggi ti ho conosciuto. Alle 18,40 di venerdì 8 aprile 2016 ti ho incontrata, eri alla guida dell’auto di quella (Franca Alagna, la madre di Lorenza con cui viveva dopo aver lasciato la casa della nonna paterna, ndr), con quella al tuo fianco... Non era mai accaduto che ti incontrassi, così ho deciso di seguirti». Poi passa a descrivere ogni mossa della figlia ventenne pedinata dal padre, che si muove da un paese all’altro del circondario accompagnata dalla madre; la vede incontrarsi con un’amica, decide di scendere dalla propria macchina per andarle ancora più vicino: «Ti sono passato accanto a meno di un metro, se allungavo il braccio ti toccavo, tu non ti sei accorta di nulla, il sangue non ti ha chiamato», si rammarica il boss che evidentemente si sentiva sicuro a muoversi anche in maniera apparentemente imprudente per un «super-ricercato».
Nelle pagine del quaderno destinato a Lorenza c’è pure il disegno delle posizioni di lui, lei, la madre e l’amica. E conclude: «Sai, non volevo morire senza averti conosciuta, ora posso morire serenamente, avendoti vista ho visto tutto». Sette anni più tardi, in carcere, Lorenza (divenuta madre di un bambino) è andata più volte a trovare il padre recluso; mentre lui stava morendo ha deciso di prenderne il cognome, e oggi ha riallacciato i rapporti con i Messina Denaro rimasti in libertà.
In un’altra pagina dello stesso diario il capomafia racconta le sue tecniche di «controsorveglianza», come la chiama, per controllare di non essere seguito: «È l’abilità spionistica di coloro che vivono vite parallele, nascoste». Il capomafia la rivendica quasi con orgoglio, così come con orgoglio scriveva il 1° giugno 2014: «C’è voluto uno Stato per distruggermi, la gente comune, chiunque, non sarebbero mai riusciti... Un intero Stato c’è voluto per annientarmi, e nonostante tutto non ho avuto timore a sfidarlo».