Tuttolibri, 14 gennaio 2024
Fitzgerald scrive a Zelda, Zelda scrive Fitzgerald
Estate 1930
Parigi o Losanna
Scritta quando Zelda era entrata in clinica
minutaFrancis Scott FitzgeraldAllora questo lo so – che quei giorni quando siamo tornati dal Sud, da Capri, sono stati tra i più felici per me – ma tu stavi male e in casa non c’era la felicità. Ero infelice da tanto tempo – la mia commedia aveva fatto fiasco un anno e mezzo prima, avevo lavorato tanto per un anno, dodici racconti e il romanzo e quattro articoli in quel periodo, senza nessuno che credesse in me e senza vedere nessuno salvo te prima che finisse il tuo cuore mi ha tradito e allora sono rimasto veramente solo senza nessuno che mi piacesse. A Roma eravamo tristi e io dovevo ancora lavorare alle bozze e agli altri tre racconti e a Capri tu stavi male e sembrava che non restasse al mondo nemmeno un po’ di felicità dovunque guardassi.Poi siamo venuti a Parigi e improvvisamente mi sono reso conto che non era stato tutto inutile. Avevo successo – il massimo nella mia professione –, tutti mi ammiravano e io ero fiero di aver fatto così bene. Conobbi Gerald e Sara che ci presero come amici ed Ernest che era un mio simile e proprio il mio genere d’idealista. Mi ubriacavo con lui nei piccoli caffè della Rive Gauche e bevevo con Sara e Gerald nel loro giardino a St. Cloud, ma tu stavi continuamente male e a casa tutto era triste. Andammo ad Antibes e io ero felice ma tu stavi ancora male e per tutto quell’autunno e quell’inverno e primavera eri sempre in cura e io restavo tutto il tempo solo e dovevo ubriacarmi per poi poter uscire e lasciarti in quelle condizioni senza preoccuparmi e riuscivo a essere felice soltanto per un poco, prima di essere troppo ubriaco. Dopo c’era il solito scotto da pagare per essermi ubriacato.Finalmente tu sei stata meglio a Juan-les-Pins e sono arrivati un sacco di soldi e io ho fatto uno di quegli errori che fa la gente di lettere – ho pensato di essere un uomo di mondo – che tutti mi apprezzassero e ammirassero per me stesso: ma a me piacevano solo poche persone come Ernest e Charlie McArthur e Gerald e Sara, perché erano come me. Il tempo passa alla svelta in quegli stati d’animo e non si combina mai niente. Allora pensavo che le cose venissero facili – mi ero dimenticato di come il grande Gatsby me l’ero tirato fuori dalla bocca dello stomaco in un periodo d’infelicità. A Hollywood mi sono svegliato che non ero più il solito egotista ma un misto di Ernest con abiti eleganti e di Gerald con una professione – e di Charlie McArthur con un passato. Chiunque fosse capace di farmelo credere, come me lo faceva credere Lois Moran, mi andava benissimo.Ellerslie, la gente del polo, Mrs. Chanler, la festa per Cecilia, erano tutti tentativi di compensare da fuori il fatto che ora mancava nutrimento da dentro. Qualunque cosa pur di piacere, pur di essere rassicurato che non ero solo un uomo con un po’ di genio ma che ero un uomo di grande successo. Nello stesso tempo sapevo che non aveva senso – quella parte di me che lo sapeva ci ha fatti finire in Rue Vaugirard.Ma adesso tu eri sprofondata in te stessa come avevo fatto io quattro anni prima a St. Raphael – e poi c’erano tutte le conseguenze degli appartamenti scadenti a causa della tua impazienza ("Be’, se vuoi un appartamento migliore perché non fai un po’ di soldi"), del personale scadente a causa della tua indifferenza ("Be’, se lei non ti piace perché non mandi Scottie in collegio"). La tua antipatia per Vidor, la tua indifferenza per Joyce le potevo capire – condividere il tuo entusiasmo e impegno incessante per la danza no. Lì in qualche maniera avevo la sensazione di essere sfruttato, non da te ma da qualcosa che mi offendeva terribilmente senza nessuna felicità. Certo meno di quanta ce ne fosse mai stata in casa – tu eri un fantasma sempre a lavare i panni, a chiacchierare in francese di sciocchezze con Lucien o con Delplangue – ricordo gite desolate a Versailles, a Reims, a LaBaule fatte per la pura e semplice noia di stare a casa. Ricordo che mi chiedevo perché continuassi a lavorare per pagare i conti di questo ménage desolato. Mi ero evoluto. Per disperazione andavo dall’estremo dell’isolamento, cioè l’isolamento con Mlle Delplangue, al bar del Ritz dove riacquistavo per mezz’ora la stima di me, spesso con qualcuno che non conoscevo quasi. La sera a volte tu e io ci recavamo al Bois in taxi – dopo un po’ preferivo andare al Café des Lilas e restarmene seduto da solo a ricordare i momenti felici che avevo passato lì con Ernest, Hadley, Dorothy Parker + Benchley due anni prima. Durante tutto questo tempo, ricordo di non aver incolpato altri che me stesso. Mi lamentavo quando la casa diventava insopportabile, ma dopotutto non ero John Peale Bishop – pagavo con il lavoro, che odiavo appassionatamente e che mi diventava sempre più difficile fare. Il romanzo era come un sogno, ogni giorno più lontano.A Ellerslie è stato meglio e peggio. L’infelicità è meno acuta quando si vive con una certa sobria dignità, ma lo sforzo economico era troppo. Da quando siamo andati via da Parigi in settembre a quando siamo arrivati a Nizza in marzo, abbiamo vissuto a un costo di quarantamila dollari l’anno.Ma in qualche modo ero più felice. Un’altra primavera – avrei visto Ernest che avevo lanciato, Gerald + Sara che per mio tramite aveva potuto tentare con il cinema. Finalmente la vita pareva meno grigia; ci sarebbero state feste con gente che offriva qualcosa, conversazioni con persone che avevano qualcosa da dire. Poi nuotare, essere giovani e abbronzati e stare in riva al mare. Funzionò a meraviglia, vero? Gerald e Sara non si facevano mai vedere. Ernest lo incontravo ma era un Ernest più irritabile, che mi raccontava pieno di apprensione le sue mosse per paura che arrivassi sbronzo e gli guastassi la festa. La scoperta che una mezza dozzina di persone erano di casa lì non aiutava certo la mia autostima. Al momento del nostro arrivo nella bella Costa Azzurra avevo sviluppato un tale complesso d’inferiorità che non riuscivo a tener testa a nessuno a meno di essere ubriaco. Laggiù lavoravo anche, peraltro, e questa insolita combinazione mi ha schiantato i polmoni.Tu ormai eri andata – quasi non mi ricordo di te quell’estate. Non eri altro che una delle tante persone che provavano per me antipatia o indifferenza. Non mi piaceva pensare a te. Non avevi bisogno di me ed era più facile parlare con Madame Bellois o meglio sparlare di lei ed essere sempre pieno di vino. Mi sentivo riconoscente quando sei venuta con me dai medici un pomeriggio, ma dopo una settimana a Parigi non mi sforzavo più né di vivere né di morire. Le cose erano sempre le stesse. Gli appartamenti che facevano schifo, le domestiche che puzzavano – il balletto sempre davanti agli occhi, il guadagno d’un racconto buttato per portare a cena i Troubetzkoy, un viaggio in Africa rovinato. Tu impazzivi e lo chiamavi genio – io andavo in rovina e lo chiamavo come capitava. E penso che chiunque fosse abbastanza distante da vederci al di fuori del nostro modo superficiale di presentarci indovinava il tuo egoismo quasi megalomane e il mio insano eccesso nel bere. Verso la fine nulla importava più sul serio. Il momento in cui sono stato più vicino a lasciarti è stato quando mi dicesti che ero una checca a Rue Palatine, ma a quel punto qualunque cosa tu dicessi mi suscitava una specie di pietà distaccata. Con tutte le tue doti superiori di osservazione e la tua intelligenza più concreta, ho una capacità di indovinare, senza prove anzi perfino con una certa meraviglia, come e perché è successo quel cortocircuito mentale. Vorrei che Belli e dannati fosse un libro scritto con più maturità perché era tutto vero. Ci siamo rovinati da soli – non ho mai pensato onestamente che ci siamo rovinati a vicenda.Traduzione di Marina Premoli©Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano.Prima Edizione in «Le Comete» gennaio 2024•••Da Zelda (57)
Giugno 1930
Clinica Prangins, Nyon, SvizzeraZelda SayreCaro Scott,
non è difficile rispondere sollecitamente alla tua lettera dato che da qualche tempo non ho fatto altro che rimuginare sulla causa e gli effetti. Il tuo modo di presentare la situazione è pure poetico, anche se non ha niente a che fare con la realtà: tu che lavori per preservare la famiglia e io che lavoro per abbandonarla. Se così descrivi lo sforzo assolutamente minimo che mettevi sia nel tuo lavoro sia nel nostro reciproco benessere, senza alcuna speranza o progetto per il futuro salvo i vaghi capricci che ti spingevano da un posto all’altro, ti invidio i processi mentali capaci di distorcere così le condizioni reali in un atteggiamento di rettitudine a tuo favore. Mi hai sempre detto che non avevo alcun diritto di lamentarmi finché ti prendevi cura materialmente di me, sicché ricava qualunque consolazione tu possa trovare da qualunque autogiustificazione che riesci a fabbricare. E poi, capisco bene l’irrequietezza insoddisfatta che ti spinge via dalle condizioni esistenti dato che ci sono passata anch’io, fino al punto di essere totalmente dipendente da una mentalità che non aveva né il desiderio né il bisogno di toccare la mia per quelle piccole briciole di bellezza che ho scoperto di dover avere per tirare avanti. Questo non è un trattato di recriminazione, ma mi piacerebbe farti capire perché ci sono certe scene, non solo verso la fine, che non si potranno mai cancellare dalla mia mente. Sono qui, e siccome non ho scelta, cercherò di chiamare a raccolta la grazia di riposare in pace come dovrei, ma la nostra divergenza, come devi renderti conto, è troppo grande perché noi si possa essere altro che un pasticcio insieme, e siccome non abbiamo mai trovato aiuto o soddisfazione l’uno nell’altra la cosa migliore è cercarlo separatamente. Tu puoi benissimo cominciare quello che ti pare giusto cominciare per un divorzio immediatamente.Quando a Parigi hai visto che ero malata, che andavo a fondo – quando sapevi che andavo avanti giornate intere senza mangiare, incapace di sopportare il contatto perfino coi domestici – tu stavi seduto in bagno a cantare Play in your own Backyard. Purtroppo, non c’era nessun cortile dietro casa: a quanto pare era un giardino pubblico. Mi hai presentato Nancy Hoyt, un momento mi hai fatta sedere accanto a Dolly Wilde e il momento dopo hai disprezzato e umiliato le poche amiche nei cui occhi la tenerezza veniva almeno da cose che capivo. Una qualche giustificazione è sempre stata indispensabile per me, e non sono mai riuscita a funzionare per la semplice necessità di funzionare, neppure per salvarmi, come una volta il re di Grecia ha detto a Ernest Hemingway che questa è la cosa più importante di tutte, come tu mi hai raccontato in maniera così illuminante.Avrai tutte le cose che vuoi senza di me, e io troverò altro. Avrai una ragazza carina che non si curerà delle cose di cui mi curavo io e sarai più felice. Per noi, non c’è la minima possibilità, anche se volessimo provarci, cosa che ti assicuro non farò – nemmeno per sogno. Elencando le tue qualità non riesco a trovarne nemmeno una su cui fondare una qualunque possibile relazione salvo il bell’aspetto, e ci sono dozzine di persone che ce l’hanno: il capocameriere al Plaza del Funti e il mio parrucchiere a Parigi – come sai, i miei ricordi perlopiù si perdono nei suoni e negli odori, sicché non c’è nemmeno quello. Mi dispiace. A Parigi, spero che porterai via Scottie dal caldo della città ora che ha finito la scuola.Zelda