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 2024  gennaio 14 Domenica calendario

Meloni vuol rifare la Thatcher

Almeno cinque anni fa, Giorgia Meloni già studiava da leader: e la «scuola» che frequentava era quella di Margaret Thatcher. Il retroscena lo rivela Lord Charles Powell, per anni braccio destro della Lady di Ferro e suo principale consigliere diplomatico: 82 anni, Powell è uno degli ultimi Grandi Vecchi della politica britannica, un personaggio che ha visto la storia mondiale passargli davanti agli occhi. Da sempre interessato alle vicende italiane – è sposato da una vita con l’esuberante Lady Carla, di solide origini piemontesi – incontra «la Lettura» alla buvette della Camera dei Lord: «Mettiamoci al tavolo di Maggie, lei si sedeva sempre qui – fa strada – così vedeva chi entrava e veniva a omaggiarla».
Lord Powell, lei dice di avere incontrato Giorgia Meloni già diversi anni fa: di che cosa avete parlato?
«Era una fan di Margaret Thatcher: voleva sapere come aveva governato la Gran Bretagna e come aveva disegnato le sue politiche. Quando ha incontrato il premier Rishi Sunak, l’anno scorso, hanno preparato per lei lo studio della Thatcher a Downing Street, con le foto – molte con me —, la sedia, la postazione di lavoro: come una visita a Madame Toussaud! (il museo delle cere di Londra, ndr)».
A quali aspetti del thatcherismo guardava Giorgia Meloni?
«Ha un interesse per lo stile, per il metodo: era affascinata dalla sua abilità, come donna, di controllare un governo. Meloni ha una sorta di volontà thatcheriana, che vede cruciale per la sua operazione: devi essere in grado di affermare la tua autorità, la tua personalità sopra tanti uomini che pensano di essere molto importanti, in modo da gestire il governo. È difficile, siamo ancora una società abbastanza maschilista».

Che la Thatcher in realtà non fece molto per scalfire.
«Non aveva alcun interesse a far avanzare gli interessi delle donne: ebbe soltanto una donna nel suo governo e solo per pochi mesi. Le piaceva dominare quel gruppo di uomini: le dava una grande visibilità e la gente si focalizzava su di lei. Mi disse più volte che tutti, uomini o donne, devono dare prova di sé tramite il loro sforzo e il talento: se le donne vogliono arrivare al top, devono essere migliori degli uomini. Lei odiava l’idea delle quote, era un anatema assoluto per lei».
E la Meloni è riuscita a fare sua la lezione di Maggie?
«Vedo un po’ dello stile della Thatcher nella sua determinazione a prevalere. Ma la Meloni era interessata anche a cosa succedeva nella politica britannica attuale, specialmente a Boris Johnson: voleva venire a Londra a incontrarlo già prima che lui diventasse premier, ma io glielo sconsigliai!».
Altri che hanno provato a copiare lo stile della Lady di Ferro?
«Non credo che molti lo vorrebbero; era considerata molto esigente e volitiva. Non aveva la migliore relazione con i suoi colleghi, era sempre dominante nelle discussioni: il suo modo di condurre una riunione era quello di annunciare il risultato all’inizio e poi sfidare gli altri a ribattere. Aveva ferme opinioni e principi, una solida base ideologica e morale. Margaret ruppe il consenso dominante, che allora accomunava conservatori e laburisti, e fu una cosa difficile: non le importava essere popolare, sapeva cosa fare, non andava in giro a supplicare il consenso degli altri. È qualcosa che sarebbe importante anche nel sistema italiano».
Può la Meloni svolgere questo ruolo?
«Per me, che guardo da fuori, mi sembra un fenomeno abbastanza nuovo nella politica italiana. Parla anche un buon inglese, mentre quasi nessun premier italiani che incontravamo lo parlava».
C’erano problemi a intendersi?
«Ricordo un incontro con De Mita a Bruxelles. Facevo io da interprete, ma quando Ciriaco De Mita si lanciò nelle sue osservazioni, non capii una parola di quello che diceva: allora ho guardato verso l’interprete italiana che era con lui e anche lei ha alzato le spalle. Quindi ci siamo inventati di sana pianta il suo discorso: tanto in ogni caso alla Thatcher non importava molto quanto De Mita diceva».
Come erano i rapporti con i nostri leader di allora?
«Con Bettino Craxi andava d’accordo più di quanto mi sarei aspettato, ma quello che davvero le piaceva e che le mandava mazzi di rose in giro per il mondo era Francesco Cossiga. Io dicevo a suo marito: stai attento, sono arrivate altre 50 rose...».
Dennis Thatcher geloso di Cossiga?!
«Gli dissi che avrebbe fatto bene a esserlo!».
Di recente perfino il leader laburista Keir Starmer ha lodato la Thatcher.
«Anche Tony Blair l’aveva fatto, la invitava di frequente a Downing Street. Cose che succedono: a volte la reputazione declina dopo avere lasciato la carica e poi risale. Lei è in questa fase ora. C’è stato un periodo in cui era molto impopolare».

Com’è diventata una simile icona?
«La cosa notevole è che all’inizio non c’era nulla di notevole in lei, veniva da una piccola città come me. Ma era una studentessa diligente, riuscì ad andare a Oxford dove si impegnò a fondo studiando chimica; lì si interessò di politica diventando la presidente dell’associazione conservatrice di Oxford. Ma dopo una breve esperienza di lavoro nel settore chimico decise di studiare legge: questa fu la sua strada verso la politica. Fu importante il sostegno finanziario del marito: non era un uomo ricco, ma benestante sì. Eppure che cosa l’abbia trasformata da politica diligente a leader eccezionale non lo abbiamo mai afferrato. Aveva un complesso da messia: voleva fare risalire la Gran Bretagna dal punto più basso raggiunto a metà degli anni Settanta. Riuscì a convincere la gente che lei era in grado di farlo».
Anche adesso la Gran Bretagna sembra attraversare uno dei suoi momenti difficili: ma sono i laburisti che si apprestano a vincere le elezioni.
«Starmer è riuscito a proiettare l’immagine di un ritorno a Blair: non usa il termine blairismo, ma è quello che in realtà sta facendo. Quando la gente perde la paura dei laburisti, allora i conservatori sono in difficoltà: e al momento non si vede una ragione per temere i laburisti. Per perdere le elezioni dovrebbero fare qualcosa di catastrofico, mentre non vedo che cosa possano fare i conservatori per vincerle».
La Gran Bretagna svolta a sinistra mentre l’Europa vira a destra.
«Siamo diversi dal resto d’Europa, la Francia ha avuto un presidente socialista, François Mitterrand, mentre noi avevamo la Thatcher. Siamo eccentrici».
Una delle ragioni per cui la Brexit era inevitabile?
«Sarebbe stato meglio rimanere dentro la Ue, influenzarla senza aderire alle cose che andavano troppo oltre, come la moneta unica. Anche la Thatcher credeva che si potesse usare l’appartenenza all’Europa per il proprio vantaggio: tagliarsi fuori dal più grande vicino è un nonsenso economico e sociale».
I laburisti riporteranno Londra nell’Unione Europea?
«Non oserebbero dirlo: la cosa che faranno è migliorare i rapporti con l’Europa in maniera graduale. Ci sarà un tentativo di riparare parte dei danni, anche perché tutte le promesse sui vantaggi della Brexit non si sono materializzate».
Un giorno allora la Gran Bretagna rientrerà in Europa?
«Lo ritengo l’esito più probabile. Non possiamo allontanarci oltre, l’unica strada è il rientro, in una certa misura. È una possibilità, in un certo periodo di tempo.