il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2024
Il killer che voleva tanto andare in pensione
È un killer. Ha un problema: vuole andare in pensione. Ma non può. E la legge Fornero non c’entra, perché Kabuto vive e lavora in Giappone. Ora, non è che nel Sol Levante le norme sul ritiro dall’attività professionale siano più accessibili delle nostre; ma la questione, per Kabuto, è anche di carattere morale, se di tale condizione si può parlare per un personaggio che ammazza a contratto. Eppure, un conflitto interiore l’assassino lo ha: “Comunque la si vedesse, il fatto che io, colpevole di aver messo fine a tante vite, desiderassi che solo la mia fosse lunga e pacifica, non era davvero leale”. Così si arrovella il protagonista del romanzo Il sicario che non voleva uccidere di Isaka Kotaro (Einaudi), che con questo volume aggiunge un terzo scritto a una sorta di “trilogia degli assassini”, dopo I sette killer dello Shinkansen – da cui è stato tratto un film con protagonista Brad Pitt – e La vendetta del dottor Suzuki. Il filo conduttore delle narrazioni non è tanto un personaggio unico, quanto il mondo di questi sicari giapponesi sui generis.
Kabuto, immaginiamo, più che l’espressione fiera e corrucciata di un Toshiro Mifune o di un samurai di Akira Kurosawa, ha il volto malinconico di Takeshi Kitano di Hana-bi, pellicola che in Italia nel 1997 uscì con il titolo Fiori di fuoco. Kabuto ha due vite; quando uccide, così lo chiamano nella sua cerchia. Quando non è Kabuto, il nostro killer è l’innocuo signor Mitake, impiegato in una ditta di prodotti di cancelleria; non ha amici, se non i contatti sporadici coltivati in palestra, dove si dedica all’arrampicata. Kabuto e Mitake coesistono anche nella valanga di attitudini contrastanti; Kabuto è tra i professionisti più efficienti e freddi, ma in casa, quando torna a tarda notte dopo aver ammazzato a mani nude, sta molto attento a non svegliare la moglie, di cui teme le reazioni negative e i malumori. Nonostante tutto, Kabuto tiene tantissimo a lei, e al figlio – attento osservatore della dinamica di coppia – che si appresta ad andare a vivere da solo come studente universitario. Proprio per tutelare i suoi affetti, Kabuto vuole uscire dal giro. C’è un ostacolo non di poco conto: il Medico, colui che gli comunica le “diagnosi” e gli interventi da eseguire, non è intenzionato a lasciarlo andare; perderebbe uno dei suoi collaboratori più letali e remunerativi.
Il romanzo di Kotaro, di cui si può apprezzare la traduzione, non sempre efficace quando si tratta di proposte che arrivano dall’Estremo Oriente, si muove su due piani – gli omicidi e la vita in famiglia – mescolando le carte in un mix tra Quentin Tarantino, senso dell’onore tramandato dall’Hagakure, momenti di umanità che non sono intensi quanto le Ricette della signora Toku di Durian Sukegawa (sempre Einaudi), ma spezzano comunque il ritmo di una vicenda che altrimenti potrebbe risultare già vista. Kotaro, inoltre, sovverte lo schema della donna giapponese totalmente alle dipendenze del consorte e della figura maschile, e traccia un personaggio che impone ritmi ed esigenze al marito; lui, per meglio assecondarla, ha elaborato una serie di norme comportamentali da tenere tra le mura domestiche, per non farla mai innervosire.
Lo stile narrativo è quello dell’intrattenimento, dunque molto fruibile, per un romanzo che può far trascorrere momenti di svago, e si inserisce bene in questo momento di interesse per la narrativa giapponese, che siano le storie di Sukegawa, come I gatti di Shinjuku (altro Einaudi) o la raccolta di racconti Il teatro fantasma (Sellerio) con un investigatore svagato e “stropicciato”, ma capace di fini analisi. Stiano in guardia gli appassionati di Murakami e i suoi percorsi introspettivi, saranno certamente più attratti coloro che si stanno godendo la serie Blue Eye Samurai (Netflix).
Nel panorama editoriale nostrano – in cui il romanzo dedicato al mercato popolare è pieno di funzionari di polizia e delitti da risolvere – i dubbi esistenziali, le peripezie da marito timoroso e i combattimenti letali di Kabuto possono costituire una valida alternativa, rifuggendo da finali “telefonati”. Riuscirà il sicario a lasciare il mondo della violenza in cui è immerso da anni, per godersi la pensione? Come si diceva all’inizio, se fosse in Italia, con le promesse di un sistema più accessibile irrealizzate dal governo Meloni, il signor Mitake avrebbe dovuto riporre le sue speranze: ma Kabuto vive in Giappone, secondo un codice personale, e ha deciso, nonostante le insistenze del Medico, di porre fine alla sua carriera. I soldi li ha, ma deve essere pronto a tutto. Il risultato non è scontato.