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 2024  gennaio 14 Domenica calendario

Un mondo di debiti


Il mondo è sempre più indebitato. Nel 2024 che porterà alle elezioni metà della popolazione mondiale, il rischio è quello di una salita senza controllo del livello di indebitamento degli Stati. Gli occhi, come ricordato dal Financial Times, sono puntati sugli Stati Uniti e sull’Europa. Gli Usa, nell’anno delle elezioni, emetteranno 4.000 miliardi di dollari di titoli di Stato. Tanti, troppi. Ma non solo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Institute of International Finance (IIF), nel secondo trimestre del 2023 il debito mondiale ha toccato la quota record di 307 mila miliardi di dollari. Mai così elevato. Pandemia di Covid-19, guerra in Ucraina, conflitto tra Israele e Hamas, escalation in Yemen: tutti elementi che, secondo gli analisti di Bridgewater, possono essere il detonatore di un ulteriore incremento del debito. A rischio, però, c’è la sostenibilità futura delle nazioni.
E al World economic forum (Wef) che si apre oggi a Davos in molti si chiederanno quale sarà l’impatto futuro di questa spesa pubblica con poco controllo e dal costante ricorso all’indebitamento, come se il debito stesso non esistesse più e non dovesse essere onorato. Nel 2021, l’anno dopo lo scoppio del Covid-19, il debito globale ha raggiunto la cifra record di 303 mila miliardi di dollari dai 226 mila miliardi del 2020. Secondo il Fondo monetario internazionale, si è trattato del più grande aumento dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma l’invasione russa in Ucraina del 2022 e poi il conflitto in Medio Oriente hanno peggiorato la situazione. Entro la fine del 2024 è legittimo attendersi, come rimarcato dal fondo hedge Apollo, che si arrivi a 310 mila miliardi di dollari.
Il Fmi negli ultimi meeting annuali ha rimarcato che un diverso approccio può essere la soluzione. Anche perché, con la crisi energetica e la maxi inflazione, il ricorso al debito pubblico per finanziare la spesa corrente rischia di essere un problema per gli Stati. «I livelli record di debito e gli alti tassi di interesse hanno portato molti Paesi sulla strada della crisi», ha affermato Indermit Gill, capo economista e vicepresidente della Banca Mondiale. Nel 2022, l’ultimo anno di cui sono disponibili dati, secondo la Banca Mondiale, i Paesi a basso e medio reddito hanno pagato 443,5 miliardi di dollari di interessi sul debito.
A rischio non ci sono soltanto i Paesi in via di sviluppo o emergenti. Oltre l’80% dell’accumulo di debito nel 2023 proviene dal mondo sviluppato, spiega l’IIF, con Usa, Giappone, Regno Unito e Francia che hanno registrato gli aumenti maggiori su scala globale. Tra i mercati emergenti, i maggiori incrementi sono arrivati da Cina, India e Brasile.
L’Europa, in questo caso, si deve preoccupare dei collocamenti per il 2024. I dieci maggiori Paesi dell’area dell’euro emetteranno circa 1.300 miliardi di euro. Si tratta di una cifra, secondo gli analisti di Ubs, analoga a quella dello scorso anno. Ma ci sono due aspetti che non possono essere dimenticati. Primo, la mancanza del supporto della Banca centrale europea (Bce) in emissione. Questo perché la stretta sul bilancio di Francoforte esclude la possibilità di rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza. Secondo, l’arrivo della nuova normalità dopo circa un decennio di tassi d’interesse pari a zero se non negativi. Il risultato è che le emissioni nette degli Stati dell’eurozona cresceranno del 18% nel 2024 per una cifra compresa tra i 630 e i 660 miliardi di euro. Il tutto, come evidenzia Ubs, a tassi di mercato. Più oneri, più costi, più indebitamento.
Il risultato di questa strategia è che il rapporto debito/Pil globale – che in precedenza era in calo – è stato del 336% per il secondo trimestre consecutivo nel periodo compreso fra aprile e giugno dell’anno appena trascorso. Un valore destinato a salire, avverte l’Institute for International Finance: «Poiché tassi più alti e livelli di debito più elevati spingono più in alto le spese per interessi pubblici, le tensioni sul debito interno sono destinate ad aumentare». Anche nei Paesi il cui percorso di consolidamento fiscale era su una traiettoria positiva prima di pandemia e guerre, come Italia e Francia.