Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  gennaio 14 Domenica calendario

400 milioni per uscire dall’ex Ilva


Come in una partita a poker, ora il gruppo indiano Mittal va a vedere le carte dell’avversario, per scoprire se c’è gioco o se è un bluff. In palio c’è la più grande acciaieria d’Europa, l’ex Ilva, che da circa tre anni vede i suoi due soci, il gruppo franco indiano ArcelorMittal e l’agenzia di Stato Invitalia, battagliare sui soldi che servono per rilanciare il polo produttivo. Nell’ultima riunione dell’8 gennaio, che doveva essere risolutiva, il governo italiano ha chiesto per sé la maggioranza del gruppo; ma voleva che ArcelorMittal fosse ridotta a ruota di scorta, in minoranza e senza neanche un posto in cda. E Adytia Mittal, ceo del conglomerato dell’acciaio, ha detto no.
Quindi si è passati alla fase due: il ministro Adolfo Urso ha messo al bando gli indiani compiacendo i sindacati e minacciando il commissariamento di Acciaierie d’Italia. Ma per escludere Mittal dall’azionariato occorre comprargli le quote e così è stata fatta trapelare l’idea che le due parti stiano cercando una soluzione consensuale, per evitare lunghi contenziosi legali. Secondo questo schema, Invitalia con i soldi del Mef dovrebbe comprare il 40% di Acciaierie d’Italia che sarà in mano a Mittal dopo la conversione in capitale dei 680 milioni che lo Stato ha versato a inizio 2023. E a questo punto, secondo quanto risulta a Repubblica da fonti vicine alle trattative, Adytia Mittal ha detto «vedo»: fateci una buona offerta e ce ne andiamo. Anzi, i suoi avvocati hanno detto alla controparte che in questa trattativa non saranno esosi, potrebbero anche fare uno sconto, segno che gli ultimi sei mesi, passati sui giornali come quelli che non vogliono più mettere un euro nell’ex Ilva portandola al fallimento, hanno lasciato il segno.
Ora bisogna vedere se il governo è disposto a calare le carte, prendere il 100% dell’Ilva e rilanciarla insieme ad altri soci privati, preferibilmente italiani. Ma non è un gioco a costo zero. Il numero che ha in testa Mittal per il suo 40% è di circa 400 milioni, anche qualcosa di meno. Come viene fuori questa cifra? La base di riferimento è la valutazione della società fatta da Enrico Laghi e verificata da Kpmg alla fine del 2020, in occasione dell’ingresso di Invitalia. Il valore dell’equity a quella data era 1,050 miliardi. L’azienda veniva da due anni duri, il 2019 e il 2020 pandemico, con perdite cumulate per 1,1 miliardi che erano andate ad abbattere gli 1,8 miliardi che Mittal aveva versato nella società nel 2018 dopo aver vinto la gara contro la Cdp, l’indiana Jindal e Leonardo Del Vecchio. A fine 2020 il patrimonio netto era così sceso a 731 milioni. Ma subito dopo è risalito grazie ai 400 milioni versati in aumento di capitale da Invitalia (per il suo 38%) e per i 325 milioni di utili realizzati nel 2021, l’anno della forte ripresa dopo il Covid. Nel 2022 le vendite sono salite, ma l’impennata dei prezzi dell’energia – per la guerra in Ucraina – ha gonfiato i costi e così l’utile si è ridotto a 85 milioni. A fine 2022 il patrimonio netto di Acciaierie d’Italia era comunque risalito a 1,5 miliardi, con un debito finanziario di soli 200 milioni perché la società senza la proprietà degli impianti non è bancabile. Nel frattempo, ad agosto 2023, l’azienda ha terminato i 2 miliardi di investimenti per l’ambientalizzazione che sicuramente l’hanno valorizzata, anche se mancano altri 2 miliardi per la decarbonizzazione degli impianti, il tema su cui si è consumato lo scontro tra i due soci.
Ora tocca al governo Meloni e a Giancarlo Giorgetti, titolare del Mef, capire se allo Stato conviene pagare 400 milioni a Mittal, altri 3-400 milioni da immettere nell’azienda per rilanciare la produzione e circa 950 milioni per ricomprare gli impianti. Considerando che 700 milioni dovrebbero tornare indietro, in quanto prestiti che il Mef aveva versato al primo commissariamento. Così facendo eviterebbe un secondo commissariamento, che metterebbe in ginocchio fornitori e indotto.