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 2024  gennaio 14 Domenica calendario

Intervista ad Andrea Carnevale


Giorni esaltanti, giorni difficili. E un giorno per cui non esistono parole. In 63 anni, Andrea Carnevale da Monte San Biagio (Latina), ha vissuto molte vite: «Da bambino sono stato un uomo, forte e responsabile. Da grande sono stato un bambino e ho pagato tutte le mie ingenuità».
Si racconta così, il capo scouting dell’Udinese, l’ex compagno di Maradona. Con parole che cercano di racchiudere il grande dolore della sua vita: quando Andrea aveva 13 anni il padre Gaetano, ex manovale delle Ferrovie dello Stato, uccise la moglie Filomena, da cui aveva avuto sette figli, mentre lavava i panni nel fiume che sfocia nel lago di Fondi. Gaetano, anni dopo, si suicidò nel manicomio criminale di Aversa.
«Mi fa male quando leggo dei femminicidi, di queste donne picchiate, violate. Mi ricordo di quando, in paese, parlavamo con i carabinieri di quello che succedeva a casa e ci dicevano: “Se non vediamo il sangue….”. Cosa potevo, cosa potevamo fare? Poi, quel giorno, il fiume si è colorato di rosso. Ho detto al maresciallo: “Questo è il sangue che volevi”. Ma non sono morto. Non sono morto. Ho fatto la mia vita».
Volgendo lo sguardo, cosa vede?
«Un bambino povero, orfano, destinato a fare il muratore. Un ragazzino che, dopo sei chilometri di bici, andava a lavorare dal fabbro o in segheria. Io devo ringraziare il pallone e il campo da calcio vicino casa. È stata quella la mia scuola. Oggi mi sento ancora un ragazzino e mi ritengo un uomo fortunatissimo».
Una fortuna per cui però ha dovuto spesso lottare.
«Una vita di alti e bassi. Mi sentivo onnipotente, bello, ricco. E per i miei errori sono caduto».
Come ai Mondiali del ’90. Vicini la sostituisce nella partita con gli Stati Uniti, il suo ‘vaffa’ entra nelle case degli italiani.
«Giocai bene ma non segnai. Biscardi fece rivedere le immagini della telecamera puntata su di me. Vicini mi chiamò: “Andrea, ma mi hai mandato affanculo?”. Mi scusai, gli spiegai che era solo un’imprecazione ma da lì mi lasciò in tribuna fino alla fine del Mondiale. Poi ci chiarimmo nel ‘93, quando venne ad allenare l’Udinese, dove giocavo. Perché io sono esuberante ma buono, ammettoi miei errori. Un anno non andai in ritiro col Napoli, pensavo che l’allenatore, Bianchi, ce l’avesse con me. Adesso con Ottavio, che ha 80 anni, ci sentiamo o ci mandiamo messaggi una volta a settimana».
A Italia ’90 prese il suo posto Totò Schillaci.
«Nel ritiro di Marino lo chiamavo “tiroide”: ogni tiro un gol. Con Vialli e Baggio era spesso in camera mia: una sigaretta, quattro chiacchiere. Nel 1992 mi voleva l’Inter, ma non ci accordammo. Ci andò lui: anche lì Schillaci prese il mio posto».
Prima, a ottobre 1990, il doping e la squalifica con Peruzzi per l’assunzione di uno stimolante, la fentermina, presente nel Lipopil, che si prendeva per perdere peso.
«Me ne assumo la responsabilità totale. Ero capocannoniere delcampionato, 5 gol in 4 partite, quando mi dissero del doping caddi dalle nuvole. Dalla Federazione mi rassicurarono: “Prenderai uno o due mesi di squalifica”, la quantità era irrisoria, zero virgola. Invece mi diedero un anno, una mazzata. Mi perquisirono, ci fu il processo penale. Il pm disse: “Abbiamo trovato a casa sua questo prodotto”. E il giudice:“Ah, quelle vitamine, le prendo anche io”. Fui assolto».
Nel 2002 l’arresto con l’accusa di detenzione e spaccio di cocaina.
«Una telefonata che non dovevo fare, un millantatore che mi accusò, la mia solita ingenuità. Ma figuriamoci se mi mettevo a spacciare droga. Un periodo tremendo: un mese ai domiciliari, anni di processi. Volevoliberarmi e chiesi di patteggiare al mio avvocato, Franco Coppi: “No, Andrea, non hai fatto niente, devi uscire innocente dal tribunale”.
Aveva ragione, fui assolto. Devo ringraziare lui e la famiglia Pozzo, che mi ha voluto all’Udinese: la mia salvezza. È stato come rinascere, perché mi ero perso e avevo perso una moglie e i miei due figli».
Parla del matrimonio con Paola Perego, da cui sono nati Giulia nel 1992 e Riccardo nel 1996.
«In questi anni lei ha parlato in pubblico dei miei tradimenti, della depressione. E io sempre zitto, non sono tipo da gossip. A giugno scorso ho affrontato l’argomento con Giulia e Riccardo, non volevo pensassero che ho abbandonato lei a 4 anni e lui a 4 mesi. Sono andato a Udine perché in un momento drammatico ho trovato i Pozzo, che mi hanno dato una possibilità. Sì, ho commesso i miei sbagli, ma non sono stato l’unico a sbagliare in quel matrimonio. Non voglio che i miei nipoti leggano che il nonno è stato il più grande puttaniere d’Italia. Io non ho lasciato, sono stato lasciato. E tradito».
Nel 2005 si è risposato.
«Con Beatrice, donna splendida con cui ho avuto Arianna, che ora va all’università. Vivo a Udine da 23 anni. Amo le grandi città della mia vita, come Roma e Napoli, ma dopo due giorni ritorno nel mio paradiso».
Napoli vuol dire Maradona.
«Il più forte calciatore di tutti i tempi.
Lo vedevo ogni giorno, eppure avevo la tremarella, perché Diego era immenso, emozionante. Quando arrivava, si fermavano aeroporti, alberghi e stadi. Lo marcavano in tre ma con lui partivamo sempre dall’1-0. Ci siamo voluti un bene pazzesco, quando tornava in Italia ci vedevamo sempre. Diego mi ha reso ricco di animo, di cuore e di soldi».
La sua maglia del primo scudetto del Napoli è stata battuta all’asta per 9.000 euro.
«Non ho più niente di quei tempi, regalavo tutto per il sorriso di un bambino. La maglia dell’ultimo scudetto del Napoli me l’ha data Zielinski, che portai in Italia a 16 anni.
Un talento straordinario, poteva fare molto di più in carriera, secondo me».
Dicono sia troppo buono.
«Non ha la cazzimma di Carnevale. Se nella vita sono stato un coglione, incampo ero un bastardo. Giocavo per il piatto della sera. Oggi i ragazzi, i genitori, i procuratori guardano ai soldi. Fanno i loro interessi, certo, ma se giochi per fame è un’altra cosa».
Ora scopre talenti nell’Udinese.
«Handanovic il mio più bel colpo: lo prendemmo per 40.000 euro. Ora abbiamo Simone Pafundi, 17 anni: gli voglio bene, abbiamo una foto insieme quando aveva 10 anni.
Quando sarà pronto, giocherà. Sarà titolare fisso in Nazionale».
Si volti ancora una volta indietro. Il momento più felice?
«Natale. Noi sette fratelli in una taverna, il caminetto acceso. Vedere la tavola imbandita, sorelle e fratelli sistemati grazie anche all’aiuto che il calcio mi ha permesso di dargli. Io sono nato per stare in famiglia».