la Repubblica, 14 gennaio 2024
Salvini subisce pure il no al terzo mandato e rischia la resa dei conti dopo il voto Ue
ROMA – Superate le bizze sulle Regionali in Sardegna, un match che i più nel Carroccio danno ormai per perso, dentro la Lega temono che i Fratelli d’Italia stiano cucinando un altro boccone amarissimo per Matteo Salvini. L’affossamento del terzo mandato, agognato dai governatori del Nord, a partire da Luca Zaia (che in realtà quanto a legislature regionali è già alla numero tre). Chi pensava che Giorgia Meloni in conferenza stampa, era il 4 gennaio, avesse concesso un’apertura, avrà modo di ricredersi a stretto giro. La premier ha sì affidato la pratica al Parlamento, perché non è un tema su cui il governo intende intervenire, ma non l’ha fatto per concedere qualcosa all’alleato leghista. Semmai il contrario: per lasciare morire la proposta lì, senza intestarsi un diniego.
Il dispaccio non è stato diramato ufficialmente da via della Scrofa, ma basta sentire i ragionamenti di diversi parlamentari meloniani di rango per capire che l’ordine di scuderia è già arrivato alle truppe di Montecitorio. E suona così: la legge non si farà mai. Di sicuro non in tempo per le regionali del Veneto, nel 2025. Il Carroccio, per stanare FdI, questa settimana ha fatto la mossa, presentando una proposta per introdurre il tema. E da via Bellerio trapela che il segretario veneto Alberto Stefani abbia discretamente sondato gli altri partiti, anche fuori dalla maggioranza, raccogliendo la disponibilità a ragionarci da un pezzo di Pd. Per dire: Piero De Luca, figlio del governatore della Campania Vincenzo, un altro che briga per restare governatore «nei secoli dei secoli» (parole sue, di ieri), si dice «assolutamente favorevole» alla proposta leghista. E non è «questione di personalismi», giura, ma di «superare un meccanismo obsoleto. Nel Pd dobbiamo discuterne». De Luca jr non parla più solo in quota “figlio di”: èappena stato nominato coordinatore nazionale di Energia Popolare, il correntone di Stefano Bonaccini, anche lui alla fine del secondo giro da presidente dell’Emilia Romagna.
Ma la manovra leghista pare destinata ad avere vita brevissima. Anzi, probabilmente l’operazione è già abortita. Perché appunto da via della Scrofa, informalmente, hanno fatto capire che non si arriverà a dama, a un voto della pdl, in tempi utili. Sicuramente per il Veneto, dove i meloniani spingono per il senatore Luca De Carlo. Come dire: capitolochiuso. Tanto più che la premier, su questo, può giocare di sponda con l’altro vice, il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, che anche ieri ribadiva il concetto: «Il terzo mandato non è nel programma di governo», insomma «nulla di vincolante». Tajani ormai lo dice anche in chiaro: «Va mantenuta la legge attuale».
Un’altra sberla, per Salvini. Dopo la Sardegna. Che rende il clima nel Carroccio più che mai tormentato, anche se per ora regge la disciplina di partito. Ma se questa doppietta deludente fosse accompagnata daun risultato stentato alle Europee di giugno (cioè con una Lega sotto all’ 8,8% delle Politiche), tanti sbuffi ancora sotterranei verrebbero a galla. E la resa dei conti nel partito sarebbe inevitabile.
Capendo che la posta in gioco di giugno va oltre il mero riequilibrio dei rapporti di forza in maggioranza, Salvini ha chiesto ai tre governatori del Nord – cioè oltre a Zaia, il lombardo Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga del Friuli Venezia Giulia – di correre per Bruxelles. Profili popolari, rodate macchine di preferenze che potrebbero regalare un po’ di ossigeno al Carroccio. Peccato che dagli interessati non siano arrivate risposte elettrizzate. Anzi. «Non li posso obbligare – ha spiegato pubblicamente Salvini in questi giorni – ma vorrei fossero in corsa». In realtà, servirà probabilmente proprio un ordine del “capo” per far sì che i presidenti di Regione si gettino nell’agone. Una corsa che non ha molti precedenti, per chi ha ancora davanti almeno un anno di mandato che intende completare.
C’è poi un’altra questione che inizia a farsi largo nei ragionamenti di Lega e FdI. Il profilo del nuovo commissario italiano in Ue, che Meloni proporrà dopo il voto. Qualche leghista (ma senza l’imprimatur del segretario) sta provando a inserire il tema nella trattativa in corso su Regionali ed Europee. Richiamando la famosa “logica di pacchetto”. Ma FdI non intende affrontare il dossier oggi. Anche perché intorno a Meloni per ora girano due ragionamenti opposti. Chi vorrebbe che la nomina fosse comunque appannaggio di FdI – a maggior ragione se nelle liste saranno candidati i ministri – e chi invece non esclude che l’incarico possa finire ai leghisti. Costringendo Salvini a votare per la nuova commissione Ue, senza superare Meloni a destra.