Giuseppe Antonio Perrelli per la Repubblica - Estratti, 13 gennaio 2024
“PAPÀ UCCISE MAMMA MENTRE LAVAVA I PANNI AL FIUME E ANNI DOPO SI SUICIDO’ NEL MANICOMIO CRIMINALE DI AVERSA” – ANDREA CARNEVALE RACCONTA LA SUA VITA, DALLA TRAGEDIA FAMILIARE ALLE NOTTI MAGICHE DI ITALIA ’90 COL 'VAFFA' A VICINI, LO SCUDETTO CON MARADONA, LA SQUALIFICA PER DOPING E L’ARRESTO PER COCAINA (“FIGURIAMOCI SE MI METTEVO A SPACCIARE DROGA”) – IL MATRIMONIO CON PAOLA PEREGO? LEI HA PARLATO PUBBLICAMENTE DEI MIEI TRADIMENTI. NON SONO IL PIU’ GRANDE PUTTANIERE D’ITALIA. SONO STATO LASCIATO. E ANCHE TRADITO. NELLA VITA SONO STATO UN COGLIONE, MA IN CAMPO ERO UN BASTARDO. IO GIOCAVO PER LA FAME...” – VIDEO
Giorni esaltanti, giorni difficili. E un giorno per cui non esistono parole. In 63 anni, compiuti il 12 gennaio, Andrea Carnevale da Monte San Biagio, provincia di Latina, ha vissuto molte vite: “Da bambino sono stato un uomo, forte e responsabile. Da grande sono stato un bambino e ho pagato tutte le mie ingenuità”.
Si racconta così, il capo dello scouting dell’Udinese, l’ex compagno di Maradona. Con parole che cercano di racchiudere il grande dolore della sua vita: quando Andrea aveva 13 anni, il padre Gaetano, ex manovale delle Ferrovie dello Stato, uccise la moglie Filomena, da cui aveva avuto sette figli, mentre lavava i panni nel fiume che sfocia nel lago di Fondi. Gaetano, anni dopo, si suicidò nel manicomio criminale di Aversa.
“Mi fa male quando leggo dei femminicidi, di queste donne picchiate, violate. Mi ricordo di quando, in paese, parlavamo con i carabinieri di quello che succedeva a casa e ci dicevano: ‘Se non vediamo il sangue….’. Cosa potevo, cosa potevamo fare? Poi, quel giorno, il fiume si è colorato di rosso. Ho detto al maresciallo: ‘Ora vedi il sangue che volevi’. Ma non sono morto. Non sono morto. Ho fatto la mia vita”.
Come nei Mondiali del ’90. Vicini la sostituisce nella partita con gli Stati Uniti, le telecamere intercettano il suo labiale, un vaffa che entra nelle case degli italiani. “Avevo appena vinto lo scudetto col Napoli, mi ero preparato perfettamente. Ho giocato bene con gli austriaci, ma mi sono mangiato due gol, e pure con gli americani. Biscardi fece rivedere le immagini di quella telecamera puntata su di me. Vicini mi chiamò: ‘Andrea, ma che mi hai mandato affanculo?’. Io mi scusai, gli spiegai che era solo un’imprecazione ma dalla partita successiva mi lasciò in tribuna, fino alla fine del Mondiale.
Poi ci chiarimmo nel 1993, quando Vicini venne ad allenare l’Udinese, dove giocavo. Perché io sono esuberante ma buono, so ammettere i miei errori. Un anno non mi presentai al ritiro del Napoli perché pensavo che l’allenatore, Bianchi, ce l’avesse con me. Adesso con Ottavio, che ha 80 anni, ci sentiamo o ci mandiamo messaggi almeno una volta a settimana”.
A Italia ’90 prese il suo posto Totò Schillaci, l’uomo delle notti magiche. “Nel ritiro di Marino lo chiamavo ‘tiroide’: ogni tiro un gol. Ci ridevamo su, un ragazzo simpaticissimo, ci vogliamo bene. Era spesso in camera mia, con Baggio e Vialli: una sigaretta, quattro chiacchiere. Nel 1992 mi voleva l’Inter, ma non ci accordammo sulla durata del contratto. Alla fine ci andò lui. Anche lì Schillaci prese il mio posto”.
Prima, però, a ottobre 1990, il doping e la squalifica con Angelo Peruzzi per l’assunzione di uno stimolante, la fentermina, presente nel Lipopil, che si prendeva anche per perdere peso. “Colpa mia, me ne assumo la responsabilità totale. Ero capocannoniere del campionato, 5 gol nelle prime 4 partite, quando mi dissero del doping caddi dalle nuvole. Dalla Federazione mi rassicurarono: ‘Prenderai uno o due mesi di squalifica’, anche perché la quantità era irrisoria, zero virgola.
Invece mi diedero un anno, una mazzata. Da quel momento in Italia l’antidoping è stato molto più rigoroso. E ci sono andato di mezzo io: mi perquisirono casa, ci fu il processo penale. Ricordo che il pm disse: ‘Abbiamo trovato nella sua abitazione questo prodotto’. E il giudice: ‘Ah, quelle vitamine le prendo anche io’. Fui assolto”.
Non è stata l’unica volta. Nel 2002 l’arresto con l’accusa di detenzione e spaccio di cocaina. “Una telefonata che non dovevo fare, un millantatore che mi accusò, la mia solita ingenuità. Ma figuriamoci se mi mettevo a spacciare droga. Un periodo tremendo: un mese ai domiciliari, anni di processi. Volevo liberarmi e dissi al mio avvocato, Franco Coppi: ‘Perché non patteggiamo?’. ‘No, caro Andrea, non hai fatto niente, devi uscire innocente dal tribunale’.
Aveva ragione: fui assolto. Devo ringraziare lui e la famiglia Pozzo, che in un momento di grande dolore mi ha chiamato e mi ha voluto all’Udinese: la mia salvezza, una gioia che forse non si può comprendere. È stato come rinascere, perché mi ero perso e avevo perso una moglie e i miei due figli”.
Parla del matrimonio con Paola Perego, da cui sono nati Giulia nel 1992 e Riccardo nel 1996. “Ci siamo sposati a Monte San Biagio il 12 luglio 1990, subito dopo la fine di Italia ’90. In questi anni lei ha parlato pubblicamente dei miei tradimenti, della depressione. E tutto questo mi ha danneggiato. Io sono sempre stato zitto, non sono un uomo da gossip. A giugno scorso ho affrontato l’argomento con Giulia e Riccardo, non volevo pensassero che ho abbandonato lei a 4 anni e lui a 4 mesi.
Sono andato a Udine perché in un momento drammatico della mia vita ho trovato i Pozzo, che mi hanno aiutato, mi hanno dato una possibilità. Poi sì, ho commesso i miei sbagli, ma non sono stato l’unico a sbagliare in quel matrimonio. Non voglio che tra qualche anno i miei nipoti leggano che il nonno è stato il più grande puttaniere d’Italia. Io non ho lasciato, sono stato lasciato. E anche tradito”.
Nel 2005 si è risposato. “Con Beatrice, una donna splendida con cui ho avuto Arianna che ora va all’università. Vivo a Udine da 23 anni, ormai sono friulano. Sono affezionato alle grandi città in cui ho lavorato, come Roma e Napoli, ma dopo due giorni scappo e ritorno qui, nel mio paradiso”.
Napoli vuol dire Maradona. “Il più forte calciatore di tutti i tempi. Lo vedevo ogni giorno, eravamo compagni, eppure ogni volta avevo la tremarella, perché Diego era immenso, una personalità emozionante, ero e sono fiero di averlo conosciuto. Quando arrivava lui, si fermavano gli aeroporti, gli alberghi, gli stadi. Lo marcavano in tre ma noi con lui partivamo sempre dall’1-0. Pelé era fortissimo, come Messi, ma Maradona è stato unico. Ci siamo voluti un bene pazzesco, quando tornava in Italia ci vedevamo sempre, come con gli altri giocatori di quella squadra. Diego mi ha reso ricco di animo, di cuore e anche di soldi”.
(...) Nella vita sono stato un coglione, in campo ero un bastardo, calcisticamente parlando. Io giocavo per la fame, per il piatto della sera. Oggi i ragazzi, i genitori, i procuratori a cosa guardano? Ai soldi. Fanno i loro interessi, ci mancherebbe, ma se giochi per fame è un’altra cosa”.
Il suo più grande colpo in questi 23 anni all’Udinese. “Handanovic. Andai a vederlo in una partita in cui subì tre gol, non giocò neanche benissimo ma capii il potenziale. Eravamo tre osservatori, al campo, lo feci prendere all’Udinese per 40.000 euro. Abbiamo scovato tanti giocatori poi diventati famosi in questi anni. Sanchez, Cuadrado, Inler, Quagliarella, Allan, Samardzic. Nel 2023 abbiamo avuto due campioni d’Italia, Zielinski e Meret, e due campioni del mondo, De Paul e Molina. Siamo sempre in Serie A dal 1995 e, nei miei anni da dirigente, abbiamo giocato quattro coppe dei campioni e tre coppe Uefa”.
E ora avete Simone Pafundi, 17 anni, il futuro del calcio italiano, che però fatica a trovare spazio. “Deve solo avere pazienza e ascoltare i consigli di chi gli vuole bene, come me, che ho una foto con lui quando aveva 10 anni e mi arrivava a una gamba. Quando sarà pronto, sarà buttato dentro perché nessun allenatore è masochista. Ce lo teniamo stretto per il suo talento. Il futuro gli appartiene, sarà un titolare fisso della Nazionale”. (…)