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 2024  gennaio 13 Sabato calendario

1994: B. scende in campo dalla rimessa di Macherio

Trent’anni vuol dire molti mondi e molte repubbliche fa. “L’Italia è il Paese che amo”, scandì Silvio Berlusconi guardando dritto in camera, il sorriso caldo e finto del venditore, le mani appoggiate sulla scrivania, della serie non ho nulla da nascondere. Era il 26 gennaio 1994. A stretto giro Enzo Biagi sul Corriere: “Quando dice Paese, intende l’Italia o Arcore?”.
Era vera una sola delle due risposte. Era finto tutto il resto. A cominciare dal set che un giorno di qualche mese dopo, con un certo orgoglio per l’imbroglio architettato, mi mostrò: “Vuole vedere dove ho registrato quel discorso? Mi segua”. Eravamo a Macherio, reggia bianca su collina verde, la villa teosofica dove vivevano l’annoiatissima Veronica e i tre figli, 600 mila metri quadri di parco, le automobiline elettriche, i cani e le caprette. Uomini armati qua e là. In fondo alla discesa una rimessa degli attrezzi con carriola e penombra. Apriamo una porticina di ferro: “Eccoci qua”.
Entriamo: muri scrostati, pavimento in terra battuta, umidità, una lampadina di servizio. Luce lattiginosa e polvere dappertutto.
Avete davvero registrato qui il discorso? Il Dottore elargì un sorriso: “Laggiù c’erano la scrivania e la libreria. Qui dove stiamo noi, l’operatore con la telecamera. Lì e là le luci”.
Sulle luci si scrissero torrentelli di inchiostro. Riguardavano l’uso della calza. La calza di nylon che, stesa sull’obiettivo, rende calda l’atmosfera, morbido lo sguardo, invisibili le rughe. Disse il Dottore: “Tutte invenzioni, tutte sciocchezze”. E poi: “Basta con questa storia della calza: sembra che abbia fatto il discorso della Befana”. Vero. Non era la Befana, era Babbo Natale che parlava all’Italia dal camino finto di Macherio, annunciava regali per tutti: porterà trent’anni di carbone e bugie.
L’anno 1993 era cominciato malissimo, con il primo avviso di garanzia a Craxi, da anni il salvacondotto per tutte le illegalità del Silvio nascente. Oscar Luigi Scalfaro, il democristiano più nemico, era salito al Quirinale, mentre Giulio Andreotti, il democristiano più amico, era indagato per mafia e per l’omicidio del giornalista Pecorelli. Cesare Romiti, della Fiat, e Carlo De Benedetti, della Olivetti, si preparavano a collaborare con i magistrati di Mani Pulite per limitare gli arresti. Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, e Raul Gardini, patron di Montedison, stavano sul cornicione delle indagini. La mafia dopo i boati in Sicilia, faceva brillare il tritolo a Roma, Milano, Firenze.
L’economia italiana era al tracollo per debiti e ruberie. Giuliano Amato, dopo una Finanziaria da 93 mila miliardi di lire, aveva svalutato la lira del 20 per cento, e fatto un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani. Poi si era dimesso da Palazzo Chigi per lasciare il disastro in mano a Carlo Azeglio Ciampi.
Il gruppo Fininvest stava ancora peggio: è indebitato fino al collo, Banca d’Italia calcola cinque lire di debito per ogni lira di capitale. Franco Tatò, ingaggiato da Berlusconi per rassicurare le banche creditrici, dice: “Dobbiamo portare i libri in tribunale”. Berlusconi e Confalonieri sanno che in tribunale ci finirebbero loro. Di Pietro ha appena fatto arrestare un alto dirigente del gruppo, Aldo Brancher, accusato di avere versato tangenti da 150 milioni di lire al ministro della Sanità De Lorenzo in cambio di spot istituzionali per la prevenzione all’Aids. È il classico sassolino che rischia di mandare in malora gli ingranaggi e i segreti del gruppo.
Tutti i partiti che hanno aiutato l’ascesa del Biscione – democristiani, repubblicani, liberali, socialdemocratici e specialmente socialisti – sono in arresto o in fuga.
La Lega di Umberto Bossi sta conquistando il Nord in rivolta contro “Roma ladrona”. E gli eredi del Partito comunista, guidati dal cosacco Achille Occhetto, si preparano a conquistare l’Italia, gli italiani a cavallo della gioiosa macchina da guerra.
Le alternative sono arrendersi e trattare, oppure reagire. Il Dottore e Marcello Dell’Utri – che conoscono più di tutti gli scheletri nei molti armadi – sono i falchi della discesa in campo: ci proteggiamo da soli, abbiamo i soldi, abbiamo gli uomini dell’azienda a disposizione, abbiamo la mappa dei sogni del corpo sociale. E soprattutto abbiamo le televisioni che ogni sera si accendono nei tinelli e nelle cucine della sterminata provincia, regalando quiz, musica e balocchi.
A metà ottobre del 1993 escono le prime indiscrezioni sul partito nascente che potrebbe chiamarsi “Forza Italia”.
Un mese dopo tra i prosciutti del supermercato di Casalecchio di Reno, Silvio B. dice che se fosse a Roma, tra i candidati sindaci Francesco Rutelli e il missino Gianfranco Fini lui “sceglierebbe Fini”. È il 23 novembre. Iniziano a rullare i tamburi della propaganda. Fini si genuflette al centro, dichiara “Il fascismo è morto nel 1945” chiude il Movimento sociale, senza spegnere la fiamma, e apre il cantiere di Alleanza nazionale che nascerà il 22 gennaio.
Dell’Utri seleziona i capi area di Publitalia, Regione per Regione, per organizzare la rete delle candidature. Dirà: “Non scegliemmo i migliori, quelli servivano all’azienda, ma i numeri due”. A Cologno si fanno i provini tv per i candidati, obbligo di vestito blu, cravatta regimental, niente barba, sorriso da paresi.
Berlusconi telefona a Biagi: “Scendo in campo”. Biagi: “Gli dissi un conto è gestire Mike o Lorella, un conto gli italiani: è più complicato”. Davvero?
Gianfranco Miglio, l’ideologo della Lega prova a dissuaderlo: “Mi dia retta, se entrasse in politica sarebbe un suicidio. Dovrebbe abbandonare non solo le tv, ma anche i giornali e il Milan”. Davvero?
I giornalisti del Tg4 entrano in sciopero. Emilio Fede chiede le dimissioni di Indro Montanelli.
Il 13 gennaio Ciampi si dimette. Scalfaro fissa le elezioni il 27 e il 28 marzo. Il 19 gennaio Silvio B. dà l’ultimatum ai partiti affinché creino una alleanza anticomunista: “Vi concedo fino al 23 gennaio. Poi scenderò in campo alla testa del mio movimento”. Ma è già tutto deciso.
L’operatore Roberto Gasparotti sta già preparando il finto studio a Macherio. Racconterà Berlusconi: “Per l’inquadratura usammo un filtro arancione, altro che calza! Registrammo dodici volte il discorso, fino quasi all’alba. La prima versione era la migliore, usammo quella”.
Il 26 gennaio la videocassetta del finto studio diventa vera. In nove minuti nasce “l’unto del Signore” che promette “il nuovo miracolo italiano”.
Il primo accade addirittura il giorno dopo a Milano, quando vengono arrestati due mafiosi che nessuno conosce. Sono i fratelli Graviano, e stanno nell’armadio degli scheletri da allora.