il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2024
Il menù di Giorgia
Quando si dice la mandrakata. Per i lavoratori delle ditte esterne della Camera che dovrebbero essere i beneficiari ultimi dell’operazione, ci saranno aumenti di stipendio di poche decine di euro. Ma la società in house di Montecitorio che nascerà a breve per volontà del questore meloniano Paolo Trancassini invece costerà un tombola: intanto assicurerà stipendi da favola per chi sarà baciato dalla fortuna, diciamo così, di essere nominato – chessò – direttore generale, con un emolumento da leccarsi i baffi, stimato non meno di 130 mila euro. E poi ci sarà anche un amministratore unico, più staff annesso: insomma solo per avviare la macchina sarà necessario che le casse pubbliche sgancino 580 mila euro. Ma l’esborso rischia di essere solo l’inizio visto che il progetto parte con tantissime incognite e un alto rischio di costi imprevisti.
Fattori che, qualche anno fa, quando il questore dell’epoca Antonio Mazzocchi di Alleanza Nazionale aveva lanciato l’analoga ideuzza, avevano convinto tutti a cestinare senza remore il progetto. Ma l’aria adesso è cambiata: Trancassini, che alla Camera sembra contare addirittura più dello stesso presidente Lorenzo Fontana, ha portato a casa la partita nonostante le molte incognite di cui si diceva e delle opposizioni che inutilmente hanno chiesto che vi fosse almeno una ricognizione puntuale della situazione e un parere legale o contabile non fosse altro perché una società in house negli organi costituzionali è una assoluta novità. Ma tant’è: ServCo si farà senza se e senza ma. E nonostante già si metta in conto che i conti non torneranno: dovranno essere messi da parte per coprire i rischi dell’operazione come minimo 400 mila euro come caldamente consigliato da chi è stato incaricato dello studio di fattibilità. Già, chi? Ernst&Young che, ovviamente, non ha lavorato gratis: il costo della consulenza dovrebbe aggirarsi intorno ai 90 mila euro, ma inutile chiedere lumi.
Al Fatto Quotidiano la Camera ha risposto come segue: “La pubblicità del compenso stabilito all’inizio del mandato istruttorio sarà resa pubblica secondo le regole di pubblicità che presiedono i pagamenti dei fornitori, quindi attraverso una relazione semestrale pubblicata sul sito internet della Camera, riferita ai pagamenti del semestre precedente. Sarà quindi pubblico nel secondo semestre del 2024”. Insomma top secret l’incarico e top secret pure lo studio. In compenso prima di mettere mani al portafogli e dare il via all’operazione, la Camera non ha sentito l’esigenza di chiedere conforto all’Avvocatura dello Stato o alla Corte dei Conti. Né procedere a una due diligence preventiva: l’analisi di E&Y ha preconizzato come l’internalizzazione di 345 tra facchini, addetti alla ristorazione, alle pulizie e ad altri servizi che attualmente lavorano per ditte esterne “genererà un risparmio di 1,3 milioni”. E tanto è bastato.
Quale sia stata la metodologia usata per arrivare a questa certezza nessuno lo sa, come hanno denunciato, inascoltati, Pd, M5S, Italia Viva. Tutti beninteso d’accordo a tutelare i lavoratori ma senza tacere le preoccupazioni sui conti che rischiano di essere sballati a monte: il progetto ad esempio non considera la pattuglia di idraulici, informatici o commessi a cottimo che lavorano a Montecitorio. E del resto anche la stessa società di consulenza ha evidenziato i punti critici dell’operazione che farà comunque della Camera un enorme assumificio. Nel rapporto “confidenziale” E&Y segnala che: “Qualora si decidesse di proseguire nell’operazione di internalizzazione dei servizi in ServCo va tenuto in debita considerazione che i costi utilizzati nella simulazione corrispondono a quelli dichiarati dai fornitori. Per quanto il modello economico mostri una convenienza all’internalizzazione già dal primo anno si raccomanda la previsione di una riserva gestionale, a nostro avviso non inferiore a 400 mila euro che permetta di gestire variazioni sulla base costi e la flessibilità. Per lo stesso motivo si raccomanda inoltre (…) un aumento max previsto al primo anno non superiore al 5% medio”. E ancora: è previsto, perché le previsioni sui costi siano confermate, che la Camera fornisca alla sua società in house una serie di servizi a costo zero. Per tacere del resto, a partire dal fatto che attualmente le ditte esterne impiegano i lavoratori in maniera flessibile ossia su un bacino di manodopera molto più ampio di quello dedicato alla fornitura della Camera e “quindi va attentamente valutato se in futuro questa flessibilità debba essere considerata un costo addizionale da prevedere”. Sullo sfondo resta la questione dello strumento scelto mai applicato prima agli organi costituzionali. Ossia la formula della società in house che, per inciso, non è tra i modelli di gestione più brillanti: stando all’esperienza degli enti locali questo tipo di società si sono segnalate per assunzioni a go go spiegabili solo con la logica clientelare. Sarà forse per questo, come ampiamente segnalato in passato dalla Corte dei Conti, se quasi un terzo delle società in house che svolgono “servizi strumentali” fanno riscontrare costantemente esercizi in perdita che vanno ripianati. In questo caso toccherebbe alla Camera. Paga Pantalone.