la Repubblica, 13 gennaio 2024
Un film di ottuagenari
Marco Risi ha scelto un termine scientifico —Il punto di rugiada – per una melanconica commedia (in sala il 18 gennaio) su un gruppo di ottuagenari in un’elegante casa di riposo romana dove finiscono, ai servizi sociali, due giovani deragliati.
Ai personaggi ha dato i nomi dei maestri della commedia all’italiana.
«Massimo De Francovich è Dino.
Come mio padre è caustico, sarcastico, severo, di quelli che sanno pesare le persone. Le cose nella sua stanza vengono dal residence dove papà ha vissuto gli ultimi anni. Penso agli album: mio padre fotografava tutti, a Natale ci regalava collage in cui incollava le nostre facce sui busti di Gheddafi o Sandro Pertini, con didascalie divertenti. Pietro evoca Germi, Mario è Monicelli, Gigi Diberti è Federico, poeta con l’Alzheimer, omaggio a Fellini».
Si respira una bella nostalgia.
«Si. Per quel momento, per quel cinema. Anche per questo ho fatto un film doloroso, ma mai triste».
E c’è l’incontro con i due giovani.
«Due cellule impazzite che si ritrovano al cospetto dell’altra generazione. All’inizio sono diffidenti, poi s’instaura qualcosa che si sta perdendo sempre di più: il rispetto gli uni degli altri».
La schiera di attori ottuagenari?
«Li ho scelti io, dal teatro e dal cinema. L’eccezione è Maurizio Micheli, che ne ha 76. Avevo qualche timore: ti assicurano se c’è qualcuno che rischia di non farcela durante il set? È andata bene. Elena Cotta, sul set a 92 anni, doveva scendere i gradini con una valigia piena, le ho detto: “Te la senti?”. E lei: “Ma tu così mi offendi: un attore deve saper fare tutto in ogni condizione e difficoltà”.
È vero. InLa stanza del Vescovo mio padre fece tuffare Tognazzi nel lago Maggiore, nel gelo di novembre. Gli tirarono acqua bollente per scaldarlo».
Quanta vita vera c’è nel film ?
«Il personaggio di Ariella Reggio ha a che fare con mia madre. È una moglieche non riconosce più il marito. Una sera festeggiammo il compleanno di mia madre al ristorante, c’era mio padre, erano separati da anni ma lui era molto affettuoso. Il giorno dopo lei mi chiamò: “Marco ma quel signore così carino chi è?”. Papà non volle crederci, vidi nei suoi occhi lo sconforto: “Ma che cazzo dici?”. La memoria di mamma iniziò a svanire».
Scene buffe?
«Ai funerali di Pasquale Festa Campanile ho visto entrare Mario Monicelli che si è guardato intorno, ha puntato quello ridotto peggio, gli ha indicato la bara facendo il segno: “Il prossimo sei tu”. “Chi dice ‘ma’ in cul ce l’ha” è una frase che mi diceva papà quando ero dubitabondo...
Erano spiriti duri e cinici, ma si volevano bene».
Si frequentavano.
«C’era il gruppo della trattoria romana Otello: Monicelli, Scarpelli, Age, Benvenuti, Pirro, De Bernardi.
Chiacchieravano, litigavano. Papà andava meno, “ma che vado a fare lì, a villa Arzilla”».
Molti soffrivano di depressione.
«Papà diede a Gassman il peggiore dei consigli: “Non ci pensare”. Dino però ci riusciva, malgrado la malinconia. Alla fine era stanco, voleva smetterla. Non so se si sia aiutato, in qualche modo, non mi meraviglierebbe. Non ho indagato, controllato se nei cestini ci fossero boccette. Lì per lì non ci ho pensato, ma lo paventava nelle telefonate, gli chiedevo di resistere, per me».
Lei ha detto ai suoi amici “se mi rincoglionisco sopprimetemi”.
«Non accetterei una vita da vegetale, vorrei accorciare i tempi, nessun accanimento terapeutico. La mia bella vita l’ho vissuta, posso andare avanti, ma se tutto funziona».
Suo padre non si sentiva solo.
«Gli mancavano i film, alla fine avrebbe voluto girare La morte di Ivan Il’icdi Tolstoj, questo vecchio che sta male mentre intorno tutto parla di gioia e felicità, la figlia si deve sposare. Aveva pensato a GiancarloGiannini come protagonista».
Quale film di suo padre legge il presente, “La marcia su Roma”?
«Mi allontano sempre di più dalla politica. Non voglio diventare qualunquista, ma non mi piace niente di ciò che sta succedendo, da una parte e dall’altra. Se devo scegliere un suo film in cui leggere il presente penso aUna vita difficile,Alberto Sordi interpreta un uomo con idee progressiste, di sinistra, tutto d’un pezzo. Poi si sposa, iniziano le difficoltà, la moglie lo rimprovera, e alla fine se ne frega dell’idealismo. Passa al servizio del Berlusconi dell’epoca, Claudio Gora, che lo convince a diventare altro da sé, nel benessere. Ma alla fine quel personaggio si riscatta. In quel film ci sono tanti passaggi che abbiamo visto e vediamo fare. Penso a tutti quelli di Lotta Continua che son finiti a Mediaset. La vita continua, per citare un altro titolo».
Suo prozio Guido preparò un attentato a Mussolini.
«Aveva trasportato una valigia con esplosivo in treno per fare un attentato al Duce, che fallì, li beccarono, ma lui si salvò perché mio nonno era stato medico di Mussolini, avevano fatto la guerra quando Benito era ancora socialista. Poi nonno se ne staccò, andava ai comizi ma non si toglieva il cappello, lo salvava dalle manganellate il cugino squadrista, Sigfrido».
C’è una figura in cui ritrova la generazione di suo padre?
«Papa Francesco. In fondo è rimasto l’ultimo comunista. Ha fatto una visita a Edit Bruck con la sua macchinetta, senza scorta. Aveva letto una sua intervista e voleva conoscerla. Quella sera c’ero anch’io. Gli ho detto: “Santità ma lei da argentino, forse, da giovane avrà vistoIl sorpasso. E lui: “Come no, tutte quelle curve!”. Lo aveva colpito: in Argentina non ci sono curve, è tutta dritta, un lungo rettilineo fino in Patagonia».