Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  gennaio 13 Sabato calendario

Intervista a Vladimiri Luxuria

Vladimir Luxuria, la sua prima esperienza sessuale?
«Avevo 11 anni e venni adescata da un pedofilo ultra 60enne».
Un amico di famiglia?
«No. Eravamo sul lungomare in Puglia, mi offrì un gelato. Ricordo le caramelle zuccherose a forma di fragola».
Provò a opporsi?
«Mi avevano insegnato a rispettare gli adulti. Non ci fu un rapporto completo, dopo ebbi voglia di rivederlo: ha presente la sindrome di Stoccolma? Continuammo. Poi lui, forse intuendo il pericolo, non si presentò a un appuntamento e finì. Ci rimasi male».
Dopo?
«Erano tutti eterosessuali incerti, bisessuali fluidi. Persone che quando cominciava a esserci un coinvolgimento emotivo sparivano, spaventate da cosa avrebbe pensato la gente. Uno mi chiese di far finta di non conoscerlo».
Questo la faceva soffrire?
«Avevo maturato la convinzione che potessi solo elemosinare amore, come un cane randagio. Crebbe in me una grande diffidenza: per non soffrire, troncavo prima».
I suoi grandi amori?
«Nella mia vita ho amato solo una donna, Sara Slowley. La nostra era una relazione romantica, non abbiamo mai avuto un rapporto completo. Mi piaceva accarezzarla, baciarla, dormire abbracciati».
Dove vi eravate conosciuti?
«In una discoteca a Vasto. Lei era inglese, molto femminile, seno abbondante, bionda, occhi azzurri, un carattere “maschile”. Per dire: mi si avvicinò e chiese se mi poteva offrire da bere. All’epoca ero un 17enne effeminato, esile, coi capelli lunghi. Mi raccontò di essere arrivata in Italia con le amiche in autostop: la sua indipendenza mi colpì».
Quanto durò?
«Tantissimi anni. Mi diceva: tu fai le tue storie, io le mie. Venne a Foggia e mia madre per un periodo pensò che non fossi gay. Quando andavo in Inghilterra, mi portava ai concerti, mi ha fatto fumare lei la prima canna. Purtroppo è mancata per un tumore: quando l’ho saputo ho pianto per giorni. Il figlio mi ha invitata al matrimonio. Sara mi ha insegnato la libertà, l’amore per la musica, per l’arte».
Il primo amore gay?
«Un ferroviere di Foggia, che però mi voleva solo come passiva, non mi toccava neanche. Quando tornavo a casa mi masturbavo ripensando al rapporto che avevamo avuto. Avevo 16 anni: fu il primo».
Dopo?
«Un compagno di istituto, che mi accettò con gli optional. Pure con lui, storia clandestina. Sia lui che il ferroviere, poi, si sono sposati».
Amori stranieri?
«Matthias, di Berlino, e Jaap, olandese».
E il politico di destra?
«Fosse stato per lui staremmo ancora insieme e ogni tanto mi lancia l’amo, ma io non voglio più fare l’amante: lui era sposato. Ed era incauto: una volta venne a casa al Pigneto con l’auto blu e la scorta. I ragazzi fuori con le birre nascosero subito le canne. Però ne ho un ricordo bellissimo: era galante, passionale, disponibile».
Finita con il politico?
«Sono diventata arida. Ho avuto solo scopamici, anche se la parola non mi piace. Fino a Danilo. Con lui siamo una coppia aperta non praticante, nel senso che ci piace pensare che potremmo avere altre storie, ma non le abbiamo».
Dove vi siete conosciuti?
«Danilo Zanvit Stecher lavora in un’associazione che si occupa di recupero dei tossicodipendenti. Nel 2009 mi chiamò a Bolzano per una fiaccolata contro l’omofobia. Nata come affinità elettiva, la relazione vera è iniziata quasi due anni fa. Non lo voglio chiamare fidanzamento».
Danilo è omosessuale o eterosessuale?
«Omosessuale non integralista. Infatti è attratto da me, che sono transgender».
Non c’era stato anche un attore, prima di Danilo?
«Sì, una storia romantica, come con Sara. Abbiamo avuto un rapporto professionale sfociato in un grandissimo affetto. Ai tempi aveva una compagna, non era sposato».
Di Danilo è innamorata?
«Trovo che sia una forma di amore. Ci vediamo tutti i mesi: mi manca quando non c’è, mi fa piacere quando c’è. Siamo complementari, ha senso pratico: vede queste telecamere?, me le ha montate lui».
Quanti anni ha?
«Trentasette, ma ne dimostra meno. Allora mi tocca fare i trattamenti laser sul viso per compensare il gap».
Parliamo della transizione? Non l’ha completata...
«No, perché nei miei rapporti sessuali voglio anche l’appagamento, e dato che mi piace raggiungere l’orgasmo, non voglio privarmene».
Vittoria Schisano ha voluto fare la vaginoplastica.
«Io e lei ci rispettiamo molto: a un certo punto nel mondo trans sembrava ci fosse una scala gerarchica tra chi aveva completato la transizione e chi no. All’inizio credevo di non farlo per paura. Poi ho pensato che sono abbastanza tranquilla: perché perdere questo equilibrio? C’è chi sceglie di rettificare i caratteri sessuali primari, io ho scelto solo quelli secondari».
Nei documenti com’è?
«Wladimiro Guadagno. Potrei cambiare, ma non gli ho mai dato importanza: sono una non binaria ante litteram. Però ho combattuto affinché chi volesse, potesse farlo».
Qualcuno le si rivolge ancora al maschile?
«Sì: chi vuole mancarmi di rispetto, come Pillon da poco in un talk show».
Problemi col passaporto?
«Una volta in Russia, dove Vladimir è come Gennaro a Napoli. E in Israele, perché temevano fossi una spia».
Wikipedia la descrive come attivista, scrittrice, direttrice artistica, attrice. E lei?
«Forse attivista, perché ha più significati: è chi promuove una manifestazione, attiva le emozioni durante uno spettacolo o una trasmissione tv, fa proposte di legge».
A proposito: vanta il record di quasi il 90% delle presenze in Parlamento e di 55 progetti di legge presentati.
«Ero secchiona, avevo il complesso di inferiorità. Ed essendo la prima parlamentare trans eletta in Europa, sentivo la responsabilità verso tutta la comunità Lgbt».
Capitolo prostituzione.
«All’inizio non sapevo se raccontarlo o no: sono un role model e non volevo indurre gli adolescenti a emularmi».
Perché lo fece?
«Potrei dire per guadagnare qualche soldo, mi ero appena trasferita a Roma da Foggia. Però ho rielaborato la cosa con la psicologa: in realtà volevo prendermi il mio stupido “riscatto” verso gli uomini che in passato avevano voluto vedermi di nascosto. Li usavo, anziché essere usata».
Situazioni spiacevoli?
«Mentre mi prostituivo sulla Casilina, due ragazzi rasati mi scipparono la borsetta in motorino. Chiesi a un tale di farmi salire in auto e di rincorrerli. Li raggiunsi, li menai, mi ripresi la borsetta e gli spillai pure dei soldi».
L’Incredibile Hulk!
«E Wonder Woman!».
Altre disavventure?
«Un tassista a Praga, quando si accorse che ero una trans, prese la rincorsa per tirarmi un pugno e sfondò la parete: mi ero abbassata in tempo. Però, quante botte ho preso da ragazzino...».
La rivincita più grande?
«La laurea in Lingue con 110 e lode».
Sogno nel cassetto?
«Ho scritto la sceneggiatura del mio romanzo Eldorado: è la storia di un anziano gay che ricorda gli anni bui della Germania nazista».
Manca la regia: Almodóvar o Ozpetek?
«Come casco, casco bene».