Corriere della Sera, 13 gennaio 2024
Erba, radiografia di un processo lungo 17 anni
Diciassette anni e 32 giorni. Tanto è passato dalla prima volta in cui abbiamo sentito parlare della «strage di Erba». Ed è tutt’altro che finita. In una anonima e tranquilla corte di Erba, nel Comasco, una coppia, per alcuni diabolica per altri incapace di intendere e volere, Olindo Romano e Rosa Bazzi, uccide a colpi di spranga e coltello l’odiata vicina di casa con il figlio di due anni, sua madre, e la signora dell’ultimo piano scesa a portare fuori il cane nel momento sbagliato.
Diciassette anni e 32 giorni. Tanto è passato dalla prima volta che abbiamo sentito parlare della «strage di Erba». Ed è tutt’altro che finita.
Ricominciamo daccapo. In un’anonima e tranquilla corte di Erba, nel Comasco, la sera dell’11 dicembre 2006 si consuma una strage. Tre sentenze dicono che Olindo e Rosa – a seconda dei punti di vista coppia diabolica oppure persone al limite della capacità di intendere e di volere – uccidono a colpi di spranga e coltello l’odiata vicina di casa, Raffaella Castagna, suo figlio di due anni, Youssef, sua madre Paola e Valeria Cherubini, la signora dell’ultimo piano che ha la sventura di scendere nel momento sbagliato. Vede del fumo uscire dall’appartamento di Raffaella, risale a chiamare suo marito, Mario Frigerio, e finisce che, appunto, lei viene uccisa mentre lui, sgozzato, si salva per una malformazione alla carotide. Sarà poi il testimone oculare della strage.
Rosa e Olindo sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo. Ma dopo la decisione della Corte d’Appello di Brescia di accogliere la richiesta di revisione e riaprire il processo, la narrazione adesso diventa quella di uno dei loro avvocati, Fabio Schembri. Che dice: «Tecnicamente per la legge ora sono due imputati, quindi due presunti innocenti».
Innocenti perché? E perché fin qui colpevoli?
Il testimone oculare
Come in ogni processo, anche in questo l’accusa ha potuto contare su pilastri che hanno tenuto in piedi le condanne nei diversi gradi di giudizio. La testimonianza di Mario Frigerio in aula, per esempio. Lucida, precisa, potente. Lui che guarda Olindo e gli dice «sei stato tu, disgraziato». Lui che racconta i momenti dell’aggressione, lui che ricorda sua moglie che chiedeva aiuto... Prima, in ospedale, aveva descritto un uomo diverso da Olindo. Ma in aula ha spiegato il perché: «All’inizio non riuscivo a capacitarmi», ha detto in sostanza, «che il vicino potesse esser così feroce con me e mia moglie che nulla gli avevamo fatto». L’istanza di revisione della difesa di Olindo e Rosa racconta un altro versione. Interpella consulenti vari che giurano: nella mente di Frigerio si è formato un falso ricordo indotto da quello che gli è stato suggerito mentre in ospedale stava malissimo. Individua il padre di tutti i suggeritori nel luogotenente dei carabinieri Gallorini che avrebbe insinuato il nome di Olindo nei ricordi del teste. Definisce «scientifiche» le consulenze che dicono tutto questo e ritiene «impossibile» il percorso mentale di Frigerio dalla prima descrizione a quella fatta in aula.
Sangue e confessioni
Senza addentrarci in dettagli troppo tecnici, in sostanza si tratta di una macchia del sangue di Valeria Cherubini trovata sul battitacco dell’auto di Olindo. Per l’accusa una prova regina, scientificamente parlando. Valida. Ma nelle richieste di revisione (ne sono state presentate tre) si adombra la frode processuale ipotizzando che la macchia ematica analizzata dal professor Carlo Previderè in realtà non sia stata prelevata dalla Seat di Olindo e che quindi qualcuno abbia, diciamo così, giocato sporco creando quella prova. E poi ci sono le confessioni di Olindo e Rosa. Sono state sempre ritenute genuine malgrado le successive ritrattazioni. Anche perché da una parte hanno raccontato dettagli che poteva conoscere solo chi era presente alla strage. E dall’altra hanno riferito (senza sapere l’uno cosa avesse detto l’altra) particolari che coincidevano perfettamente sul dopo-strage (dove si sono lavati, dove hanno buttato via i vestiti...). Nelle istanze di revisione invece si parla della coppia come di creduloni ingenui e semplici. Si descrive l’«invadenza psicologica» degli inquirenti che avrebbero messo a punto una «vera e propria circonvenzione» ai loro danni. Avrebbero confessato, in pratica, convinti che presto sarebbero tornati a casa e che nel frattempo avrebbero avuto una cella matrimoniale.
Deficit cognitivi
Per spiegare come i coniugi si siano inizialmente addossati la responsabilità della strage gli avvocati hanno allegato alla richiesta di revisione consulenze di esperti che hanno «rilevato disturbi psicopatologici in Olindo e Rosa e deficit cognitivi importanti in Rosa». Elementi, dicono, non valutati nei precedenti processi. È vero: la Corte d’appello del primo grado negò la perizia psichiatrica. Lo fece perché aveva materiale sufficiente per la valutazione psicologica. Per esempio i resoconti degli psicologi del carcere e le visite psichiatriche durante la detenzione: 46 Rosa e 42 Olindo. Sono agli atti i video-colloqui con l’allora consulente psichiatrico della difesa, Massimo Picozzi: fra quei filmati la confessione (ritenuta convincente) di Rosa.
La morte di Valeria
Un capitolo della revisione riguarda la morte di Valeria Cherubini che, secondo la difesa, non è avvenuta come descritto nelle sentenze. I verdetti (e Frigerio) dicono che lei fu aggredita mentre scendeva sul pianerottolo dei Castagna e che poi cercò inutilmente salvezza risalendo a casa sua dove fu trovata senza vita. Sbagliato, sostengono le difese. Perché le sue ferite non le avrebbero consentito di salire le scale né il taglio alla gola le avrebbe permesso di chiedere aiuto da casa sua (fu sentita dai primi soccorritori che raggiunsero il piano sotto fra fuoco e fumo). Deduzione: mentre chiedeva aiuto chi l’ha uccisa era ancora con lei e non possono essere Olindo e Rosa che a quel punto, secondo le sentenze, erano già lontani a crearsi l’alibi.
La pista alternativa
La Cassazione ha già spiegato di ritenere giusto il lavoro del primo e secondo grado sulle piste alternative. Troppo generici i testi e «infondata l’ipotesi della vendetta della malavita organizzata». Nel chiedere la revisione gli avvocati insistono: la pista giusta è una faida per motivi di droga fra il gruppo di Azouz Marzouk (spacciatore tunisino, marito di Raffaella e padre di Youssef) e un gruppo di marocchini rivali sulla «piazza» locale. Pista sostenuta da uno dei nuovi testimoni rintracciato dalla difesa. Anche lui spacciatore nonché ex compagno di cella di Azouz.