il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2024
Matteotti? È uscito per le sigarette
Il 12 giugno 1924 era giovedì. Giacomo Matteotti, giovane e combattivo deputato socialista di Rovigo, anche quel giorno non si era fatto vedere a Montecitorio, nell’emiciclo o nei corridoi della Camera dei deputati, di cui era membro e attivo frequentatore. Quell’assenza era molto strana, si mormorava nell’emiciclo e nella sala del bar.
Tuttavia nessuno ancora, persino tra i più vicini compagni di attività del parlamentare, aveva sporto formale denuncia. Eppure i giornali sembravano obliquamente pessimisti, alcuni colleghi di partito circolavano con gli occhi rossi per il pianto.
Ma molti si chiedevano ancora: Che fine ha fatto? Si è nascosto, per proteggersi da qualche cosa? I pessimisti litigavano con gli ottimisti. Nella sua quotidiana lettera serale, da Roma a Milano, sempre piena di analisi, di speranze, di dubbi, di timori, l’anziano leader socialista Filippo Turati aveva scritto mercoledì sera alla sua compagna Anna Kuliscioff: “Roma, dall’aula, alle 18, mercoledì 11 giugno 1924. Siamo in una pena orribile sulle sorti di Matteotti. Ieri mattina era stato alla Giunta del Bilancio. Ieri alle 16 uscì da casa e non so se passò alla Camera, ma nessuno di noi l’ha visto, e da allora in poi non se ne hanno più notizie… La moglie lo attese tutta la notte alla finestra, e più tardi scrisse a noi per avere notizie…. Il primo impulso di Modigliani era di recarsi dal questore, col quale ho anche conoscienza personale; ma l’abbiamo trattenuto, stante la poca speranza di avere notizie, e più ancora stante il pericolo che la pubblicità data alla cosa – se mai non si trattasse di un fattaccio – versasse su di lui e su tutti noi un’ombra di ridicolo…
Certo, non è verosimile che un delitto sia stato organizzato dal governo, ne risentirebbe troppo danno… E par di essere vittime di un sogno di indigestione, di vaneggiare nell’incubo, e ci si palpa se siamo desti o sognanti, pel solo fatto che l’assenza per ventiquattr’ore di uno di noi debba destare tanta preoccupazione”.
Da parte degli ambienti mussoliniani – in particolare dai giornali filofascisti e dagli attivissimi portavoce della Presidenza del Consiglio (capo del governo, sia pur ancora in una posizione di minoranza, era da due anni Benito Mussolini) la scomparsa di Matteotti era stata degradata a pettegolezzo, con qualche insinuazione sulle abitudini sessuali del giovane deputato dell’opposizione. Poche righe di un foglio vicino al capo del governo illustravano la singolare scomparsa del dirigente dell’opposizione non senza alludere all’ipotesi di una possibile, deplorevole scappatella da lui coperta con la classica bugia delle barzellette matrimoniali (“vado a comprare le sigarette”).
Quando quel mercoledì Velia, la giovane moglie del socialista scomparso, si era presentata, disperata e insieme spavalda, direttamente di fronte a Mussolini, nei corridoi di Palazzo Chigi, per avere informazioni dirette sulla sorte di suo marito, così l’evento era stato riferito da un giornale filogovernativo (Corriere Italiano, 12 giugno 1924), con una indiretta allusione a una scappatella all’estero del deputato.
“DOV’È L’ONOREVOLE MATTEOTTI? Alle 16:30 dell’altra sera l’on. Matteotti, uscendo da casa sua in via Flaminia, lasciava la moglie sul portone dicendole che si recava ad acquistare delle sigarette. La moglie attese per un po’ il marito e, non vedendolo più tornare, andò in giro a ricercarlo per le tabaccherie vicine, ma inutilmente… Risulta che più di una volta il deputato si sia improvvisamente allontanato senza avvertire i famigliari. Si assicura anche che egli è in possesso del passaporto per l’estero”.
La laboriosa ricerca, la consultazione e la classificazione all’Archivio statale di tutti gli eventi di quello che sarebbe poi passato alla storia come “il caso Matteotti” hanno poi dimostrato, in modo assolutamente inconfutabile, che nelle ore in cui riceveva a Palazzo Chigi la moglie del deputato socialista, benevolmente consolandola, Benito Mussolini – e con lui un gruppo di personaggi al vertice dello Stato – era perfettamente a conoscenza dell’assassinio e dello stato degli atti: da ormai 24 ore Giacomo Matteotti era un cadavere, denudato e seppellito nei pressi di Roma. Il presidente del Consiglio – non ancora titolare supremo del titolo di duce – conosceva personalmente i sicari; da alcuni di loro aveva ricevuto il passaporto e alcune carte del deputato, a testimonianza dell’avvenuto omicidio.
Tuttavia Mussolini appariva assolutamente tranquillo. Già nella mattinata di mercoledì, sfoggiando il suo migliore sarcasmo contro i “pussisti” (vale a dire i dirigenti del Psu, partito socialista unitario, adeguatamente storpiato in “Pus”) aveva fatto sentire alta la sua voce nell’anticamera di Palazzo Chigi, mentre si preparava a un incontro con l’ambasciatore di Francia Barrère: “A Montecitorio i pussisti sono inquieti perché non trovano il loro Matteotti – aveva scherzato ad alta voce – Sarà andato a puttane…”. Poi si era rivolto pubblicamente al commendator Lojacono, che faceva le funzioni di capo di Gabinetto: “Ma a Matteotti non abbiamo dato un passaporto per l’estero?”, disegnando così una agevole via d’uscita dalle prevedibili polemiche: chissà dove e con chi è scappato quel furfante di Matteotti.
Eppure, nei giorni e nei mesi di cui stiamo parlando, il “caso Matteotti” fu al centro di una morbosa, sdegnata, appassionata curiosità nell’opinione pubblica Italiana. Forse per la prima volta nella sua tormentata e non sempre commendevole storia, la maggioranza della stampa – dal Corriere della sera al Nuovo Paese, dal Mondo dei liberali Cianca e Amendola, all’Unità di Antonio Gramsci, allo scatenato Popolo di Giuseppe Donati del partito popolare – mise in campo i suoi cronisti e le sue denunce esclusive: al punto che la sferzante campagna democristiana fu denunciata così dal mussoliniano “Popolo d’Italia”: “Il giornale del prete don Sturzo è il più sfrenato, il più perfido, il più aspro e il più ignobile”. Quanto a polizia e magistratura, alcuni settori erano (e rimasero) seriamente inquinati; ma nel complesso molti funzionari fecero il loro dovere di indagine e di ricerca. Si tenga presente che nel 1924, due anni dopo la Marcia su Roma e il colpo di mano governativo di Mussolini (cioè di un ridotto gruppo parlamentare) con la complicità del re, il fascismo era ancora minoranza nel Paese e nell’elettorato.
Sulla base di straordinarie e meticolose indagini condotte negli archivi da ricercatori e studiosi italiani, la ufficiale desecretazione, e quindi la consegna formale all’Archivio di Stato di tutti gli atti ufficiali relativi al “caso Matteotti” (indagini, testimonianze, interrogatori, verbali processuali, su cui ci baseremo) poté avvenire solo nell’inoltrato dopoguerra, quarant’anni dopo gli eventi.
(1 – Continua)