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 2024  gennaio 12 Venerdì calendario

Mel Brooks e l’Oscar: una storia infinita

Prima o poi i nodi verranno al pettine e qualcuno pagherà. Giorno verrà, diceva il Manzoni… giorno verrà in cui l’Academy che assegna gli Oscar sconterà i propri peccati. Mel Brooks ha ricevuto l’Oscar alla carriera. Ok: poi ne parliamo, di questi Oscar alla carriera. Ma prima vediamo i precedenti. Mel Brooks aveva vinto nel 1969 per la sceneggiatura di Per favore non toccate le vecchiette. Poi nel 1975 era stato candidato – in coppia con Gene Wilder – per la sceneggiatura di Frankenstein Junior.
Il film, di gran lunga il suo migliore, ebbe una candidatura anche per il miglior suono. Non vinse nulla. Allora, è arrivato il momento di dire: ma state – anzi, stavate – scherzando? Non avete candidato Frankenstein Junior come miglior film? Vergognatevi! Quell’anno gli Oscar furono spazzolati da Il padrino – Parte II: gran bel film, per carità, che fece il bis dopo Il padrino di due anni prima. Nella cinquina dei film c’era un capolavoro come Chinatown, un buon film (non di più) come Lenny, un altro film di Coppola, La conversazione (bello, ma diciamoci la verità, Francis, due non saranno troppi? Puoi vincerne uno solo, lo sai?) e… L’inferno di cristallo! Allora ditelo, che preferite i gangster, i mafiosi e le catastrofi a un film che faccia sanamente ridere.
La storia dell’Oscar è piena di sfondoni. I premi alla carriera servono a rimediare a questi sfondoni. Volete un esempio? Piero Tosi è unanimemente considerato il più grande costumista della storia del cinema. Uno che fa tutti i film di Visconti, con quei costumi pazzeschi, che altro deve fare? È stato candidato a 5 Oscar e non ha mai vinto. Aveva un difetto: non prendeva l’aereo. Nel ’75 Stanley Kubrick lo voleva per Barry Lyndon. Lui gli disse: «Fallo con Milena Canonero, è una mia allieva, fidati». Risultato: Oscar a Milena Canonero. Nel 1994 Martin Scorsese lo implorò di fare L’età dell’innocenza. Lui gli disse: «Ti mando Gabriella Pescucci, è una mia allieva, fidati». Risultato: Oscar a Gabriella Pescucci. Nel 2014 gli hanno dato – a Tosi – l’Oscar alla carriera. Giustamente non è andato a ritirarlo (figurarsi, bisognava prendere l’aereo!).
La verità è che l’Academy un po’ si vergogna, di questi Oscar alla carriera. Una volta erano uno dei momenti clou della serata: quello del ’72 a Charlie Chaplin battè il record della più lunga standing ovation nella storia del premio. Chaplin non era mai stato premiato. Idem dicasi per Cary Grant, Greta Garbo, Howard Hawks e altri grandi. Anche Ennio Morricone l’ebbe, dopo tante sconfitte (solo dopo vinse quello vero per The Hateful Eight). Da qualche anno gli Oscar alla carriera vengono assegnati “a parte”, in feste apposite che non passano in tv, al di fuori della cerimonia ufficiale. È successo anche alla nostra Lina Wertmuller nel 2020.
Comunque Mel Brooks, l’altra sera, sembrava contento. Ha detto che questa statuetta non la venderà: la prima, quella del 1969, l’aveva venduta perché «i tempi erano duri e non avevo un dollaro». Diciamo che questo Oscar semiclandestino è un risarcimento per tutti quelli che avrebbe meritato per Frankenstein Junior: senza mai dimenticare che far ridere, quando c’è di mezzo l’Oscar, è il modo più sicuro per non vincerePrima o poi i nodi verranno al pettine e qualcuno pagherà. Giorno verrà, diceva il Manzoni… giorno verrà in cui l’Academy che assegna gli Oscar sconterà i propri peccati. Mel Brooks ha ricevuto l’Oscar alla carriera. Ok: poi ne parliamo, di questi Oscar alla carriera. Ma prima vediamo i precedenti. Mel Brooks aveva vinto nel 1969 per la sceneggiatura di Per favore non toccate le vecchiette. Poi nel 1975 era stato candidato – in coppia con Gene Wilder – per la sceneggiatura di Frankenstein Junior.
Il film, di gran lunga il suo migliore, ebbe una candidatura anche per il miglior suono. Non vinse nulla. Allora, è arrivato il momento di dire: ma state – anzi, stavate – scherzando? Non avete candidato Frankenstein Junior come miglior film? Vergognatevi! Quell’anno gli Oscar furono spazzolati da Il padrino – Parte II: gran bel film, per carità, che fece il bis dopo Il padrino di due anni prima. Nella cinquina dei film c’era un capolavoro come Chinatown, un buon film (non di più) come Lenny, un altro film di Coppola, La conversazione (bello, ma diciamoci la verità, Francis, due non saranno troppi? Puoi vincerne uno solo, lo sai?) e… L’inferno di cristallo! Allora ditelo, che preferite i gangster, i mafiosi e le catastrofi a un film che faccia sanamente ridere.
La storia dell’Oscar è piena di sfondoni. I premi alla carriera servono a rimediare a questi sfondoni. Volete un esempio? Piero Tosi è unanimemente considerato il più grande costumista della storia del cinema. Uno che fa tutti i film di Visconti, con quei costumi pazzeschi, che altro deve fare? È stato candidato a 5 Oscar e non ha mai vinto. Aveva un difetto: non prendeva l’aereo. Nel ’75 Stanley Kubrick lo voleva per Barry Lyndon. Lui gli disse: «Fallo con Milena Canonero, è una mia allieva, fidati». Risultato: Oscar a Milena Canonero. Nel 1994 Martin Scorsese lo implorò di fare L’età dell’innocenza. Lui gli disse: «Ti mando Gabriella Pescucci, è una mia allieva, fidati». Risultato: Oscar a Gabriella Pescucci. Nel 2014 gli hanno dato – a Tosi – l’Oscar alla carriera. Giustamente non è andato a ritirarlo (figurarsi, bisognava prendere l’aereo!).
La verità è che l’Academy un po’ si vergogna, di questi Oscar alla carriera. Una volta erano uno dei momenti clou della serata: quello del ’72 a Charlie Chaplin battè il record della più lunga standing ovation nella storia del premio. Chaplin non era mai stato premiato. Idem dicasi per Cary Grant, Greta Garbo, Howard Hawks e altri grandi. Anche Ennio Morricone l’ebbe, dopo tante sconfitte (solo dopo vinse quello vero per The Hateful Eight). Da qualche anno gli Oscar alla carriera vengono assegnati “a parte”, in feste apposite che non passano in tv, al di fuori della cerimonia ufficiale. È successo anche alla nostra Lina Wertmuller nel 2020.
Comunque Mel Brooks, l’altra sera, sembrava contento. Ha detto che questa statuetta non la venderà: la prima, quella del 1969, l’aveva venduta perché «i tempi erano duri e non avevo un dollaro». Diciamo che questo Oscar semiclandestino è un risarcimento per tutti quelli che avrebbe meritato per Frankenstein Junior: senza mai dimenticare che far ridere, quando c’è di mezzo l’Oscar, è il modo più sicuro per non vincere