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 2024  gennaio 12 Venerdì calendario

Il tempo rotto del fascismo

Un migliaio di persone, radunate nel quartiere romano Tuscolano davanti alla ex sede del Movimento Sociale Italiano, ha salutato con il braccio destro teso e il grido “Camerati” tre giovani aderenti al Fronte della Gioventù uccisi 46 anni fa per ragioni politiche. Sono i cosiddetti “morti di Acca Laurentia” dal nome della via. Lo scatto in bianco e nero è un fermoimmagine pubblicato da questo giornale in prima pagina estratto da una breve ripresa che mostra il momento conclusivo della cerimonia.
Si tratta di un’immagine che ricorda le adunate hitleriane piuttosto che di quelle mussoliniane del ventennio fascista. Esistono numerosi scatti fotografici che mostrano le folle in Germania negli anni Trenta del XX secolo mentre compiono il gesto del Sieg Heil: il braccio teso accompagnato nelle piazze da un urlo ritmico.
Colta dall’obiettivo in quel preciso momento la folla radunata davanti alla ex sede neofascista somiglia a quella che Elias Canetti chiama “la scarica” in un breve capitolo del suo libro Massa e potere apparso nel 1960, indagine simbolica dei fenomeni sociali. Secondo lo scrittore austriaco Premio Nobel la scarica sarebbe il principale avvenimento all’interno della massa, quello che le dà forma e la istituisce come tale. Che sia composta da un milione di persone o da un numero più piccolo di individui, la massa si crea attraverso il medesimo atto: «All’istante della scarica i componenti della massa si liberano delle loro differenze e si sentono uguali». Le differenze, precisa Canetti nel suo saggio, sono quelle di rango, di condizione e di proprietà.
Presi singolarmente gli uomini sono perfettamente coscienti delle loro diversità, che gravano su di loro e li forzano a staccarsi, scrive, ovvero a tenersi distanti. La vita nella sua quotidianità è “impostata sulle distanze”, eppure nella massa queste scompaiono di colpo: «Nella scarica si gettano le divisioni e tutti si sentono uguali». Questo è un meccanismo che il fascismo e il nazismo hanno attivato nel corso dei primi decenni del Novecento. In particolare il sistema hitleriano, guidato da figure demoniache come il ministro della propaganda di Hitler, Joseph Goebbels, ha cercato di sviluppare lo spirito gregario presente nelle masse.
Vedendo il breve filmato, da cui è tratta questa fotografia, si è colpiti dal silenzio che precede il gesto collettivo e il contemporaneo grido, oltre all’allineamento militare delle file dei camerati. Il fermoimmagine – fotogramma d’un video – mostra l’attimo in cui le mani scattano all’unisono, una forma di adesione totale espressa col gesto del braccio teso. Una carica emotiva in cui ogni corpo si avvicina agli altri corpi e in cui «ciascuno è vicino all’altro come a sé stesso», scrive Canetti.
 
L’effetto è una sorta di sollievo: in «quell’istante di felicità, in cui nessuno è di più, nessuno è meglio d’un altro, gli uomini divengono massa». Ovviamente questo non è vero solo per un raduno di tipo politico, come questo al Tuscolano, ma anche per altri riti collettivi che le società di massa sviluppano. Il saluto, sia individuale che collettivo, produce socialità, come ha scritto Tilman Allert in un suo libro intitolato Heil Hitler! Storia di un saluto infausto (il Mulino), opera che analizza la genesi e il significato del braccio teso nella Germania nazista. Dal canto suo il filosofo tedesco Hans Blumenberg, che da giovane ha conosciuto il nazismo, ha sottolineato come la tecnica stessa del saluto produca ovvietà «con l’implicazione che l’affidabilità che vi è contenuta serve a ciò che non è assolutamente ovvio». Tuttavia nel fermoimmagine c’è qualcosa di più inquietante: il braccio teso fa parte di un rito funebre.
Questa fotografia ha un particolare valore non solo politico ma anche antropologico; esprime l’incapacità ad elaborare un lutto, a compiere un rito che consegni al passato un’esperienza storica tragica, a partire dalla sconfitta del Fascismo. Nella cerimonia davanti alla vecchia sede del Movimento Sociale Italiano del quartiere Tuscolano si legge un elemento di ossessività, una sorta di reiterazione che manifesta l’incapacità di elaborare il lutto di una perdita, che non è solo quella dei giovani neofascisti ma del fascismo stesso sconfitto nel corso della Seconda guerra mondiale, da cui sono rinate le democrazie occidentali in una parte dell’Europa. In un suo libro, La freccia ferma (1979) lo psicoanalista Elvio Fachinelli parte da un caso clinico di nevrosi ossessiva di un suo paziente, descritto come un tentativo individuale di annullare il tempo, per arrivare a definire il fenomeno collettivo del Fascismo utilizzando la medesima chiave interpretativa. Il fermoimmagine, questa quasi-fotografia, ci riporta davanti agli occhi un passato che non sembra passare, come se l’orologio collettivo di quel migliaio di persone radunate davanti alla sede dell’MSI si fosse irrimediabilmente bloccato.
Nel suo saggio Fachinelli spiega la differenza che esiste tra le società arcaiche e quelle moderne. La sua attenzione si focalizza sulla società di massa in Europa dopo la fine della Prima guerra mondiale nel momento in cui si afferma il Fascismo come risposta alla vittoria mutilata e disperato tentativo di negare la “morte della patria”, tema che ritorna con la Repubblica di Salò. Fachinelli si domanda: perché nelle società tradizionali, quelle arcaiche e “primitive”, il lutto per la perdita si compie mentre nelle società moderne fondate sul potere ossessivo la medesima esperienza non viene elaborata?
L’interrogativo che solleva questa immagine così remota e insieme così attuale è davvero preoccupante, ci mostra una parte del Paese che non sembra uscire da quel passato. La fotografia indica come il vero problema psicologico degli eredi del Fascismo storico sia quello di annullare il tempo, di bloccarlo in un eterno “allora”. Il neofascismo è, per usare l’espressione di Fachinelli, una “freccia ferma”: qualcosa che non evolve, che non si rinnova, che resta ancorato a un rito reiterato al cui centro c’è un’ossessione mortuaria e lugubre.