Corriere della Sera, 11 gennaio 2024
Saviano racconta la guerra in Ecuador
In Ecuador sta accadendo ciò che tutti gli osservatori si aspettavano accadesse, prima o poi, in Sudamerica: un narcogolpe.
Un disordine confuso, non pianificato, solo alimentato con il passaparola, con parole d’ordine su TikTok e Instagram: create disordine, sparate a caso, sequestrate la città, impedite che la vita si svolga in modo regolare. Per quanto regolare possa essere la vita a Quito.
E così pusher, pali, affiliati si sono trasformati in narcoguerriglieri, si vedono uomini con bazooka per le strade, hanno iniziato a sparare senza alcuna logica sulle auto delle famiglie che erano appena andate a prendere i figli da scuola, stanno sequestrando persone nei giardini pubblici o alle fermate dei bus con il solo scopo di usarle come strumento di ricatto per il governo.
In queste ore girano video drammatici diffusi spesso proprio dai narcos: una ragazzina con uniforme scolastica inzuppata di sangue, colpita da un proiettile al fianco, che esce dell’auto cercando soccorso. Video in carcere dove gruppi di narcos a viso coperto stanno impiccando con forche artigianali guardie carcerarie. Video su video su video. Il governo ha tolto la luce per cercare di impedire che i social diventino lo strumento di comunicazione dei narcos – com’è da sempre —, per diffondere i loro crimini e dare ordini di azione.
Perché l’Ecuador?
L’obiettivo del narcogolpe non è prendere il potere, non è amministrare con loro uomini, nemmeno controllare lo Stato. Tutt’altro. Il narcogolpe vuole terrorizzare il Paese, ristabilire la supremazia delle gang sul governo e costringerlo alla negoziazione. Negoziare sulla libertà di José Adolfo Macías «Fito», capo del cartello egemone in Ecuador, Los Choneros, e negoziare sul potere dei cartelli che si ritengono i veri sostenitori del governo e da questo traditi. Fito era evaso dal carcere molti giorni prima che si accorgessero della sua fuga: si era fatto sostituire da un sosia in cella. Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa quando ha scoperto lo stratagemma e l’evasione ha dichiarato lo stato d’emergenza per due mesi, coprifuoco, posti di blocco, limitazione di movimento, elicotteri per cercare il boss evaso dal carcere di massima sicurezza di Litoral di Guayaquil. Questo ha innescato le rivolte e fatto partire l’ordine da parte dei narcos di dare fuoco all’Ecuador. Eppure questo piccolo Paese di 18 milioni di abitanti arroccato nella parte nord occidentale del Sudamerica è sempre stato tra i luoghi meno assediati dal crimine rispetto ai Paesi confinanti, Colombia e Perù, e rispetto alla situazione caraibica. Questa ormai è storia passata. L’Ecuador negli anni 80 e 90 e per tutta la prima fase degli anni 2000 non ha mai avuto cartelli egemoni né gang con prassi criminali sanguinaria.
Guerriglia e potere egemone
Tutto cambia dal 2018 quando modifiche degli assetti geopolitici dei narcos rendono l’Ecuador uno spazio fondamentale per i grandi gruppi narcotrafficanti mondiali. Il cambio si ha con 4 grandi sismi:
1) la fine dei grandi cartelli colombiani: trasformatisi in molti gruppi frammentati, non hanno più una gestione verticistica delle coltivazioni e degli invii di coca. Tutti, a questo punto, iniziano a coltivare laddove possono e tutti hanno necessità di stoccare.
2) La fine con un trattato di pace della guerriglia colombiana comunista delle FARC (Forze armate rivoluzionarie) che erano la più antica guerriglia del mondo, così longeva perché si finanziava con la coca e con il cacao. La guerriglia guadagnava da coltivazione e trasporto; terminando il loro controllo sulla coca, oggi può essere trasportata altrove e coltivata ovunque.
3) Il potere egemone dei cartelli messicani come imperatori mondiali del narcotraffico. I cartelli colombiani sono alle dipendenze dei cartelli messicani e questi hanno deciso di incrementare le coltivazioni colombiane e peruviane. Dove stoccano e raffinano la coca? Proprio in Ecuador.
4) Ultimo terremoto che ha reso l’Ecuador in pochissimi anni uno dei luoghi più violenti della terra, il cambiamento politico venezuelano. Il Venezuela – ormai uno Stato fallito – negli anni post-Chavez ha subìto il controllo di un cartello, il Cartel de los Soles: narcogruppi formati da ufficiali militari (che hanno appunto il sole come simbolo dei loro gradi) che controllano la partenza dei carichi di coca proprio dai porti venezuelani. Con l’aumento della produzione di coca e con l’aumento della richiesta europea e mediorientale hanno imposto prezzi sempre più alti. Nei porti venezuelani l’invio di cocaina è prassi consolidata che non abbisogna di nascondimenti: è possibile organizzarsi e stoccare tonnellate di cocaina nelle navi. Un servizio che il governo si fa pagare molto caro. Il Cartel de los Soles ha ora alzato i prezzi e i messicani hanno deciso di dislocare tutto in Ecuador. Cosa significa quando un cartello messicano si allea con un nuovo gruppo? Nel 2005 i Los Choneros erano una decina. Avete letto bene: letteralmente dieci persone comandate da Jorge Bismark Véliz España detto Chonero. Quasi tutti i ragazzi del gruppo provengono dalla città di Chone, ma il cartello si consolida nella città costiera di Manta. Immaginate che a 10 disperati, dediti all’alcol e a sniffare coca, arrivino uno, due milioni – prima alla settimana, poi al giorno – per lo stoccaggio delle foglie, la raffinazione della coca, infine la spedizione. Cosa accade? Accade che in pochi mesi iniziano a costruire un consenso immenso, e fanno ciò che sempre fanno le mafie: controllano la povertà, organizzano la miseria e la dirottano nel narcocapitalismo. E investono nelle affiliazioni. Da dieci che erano, comandano un esercito di diecimila affiliati in tutta la nazione e un «indotto» che lavora per loro di oltre mezzo milione di persone. Los Choneros arrivano ad essere la prima azienda del Paese che infiltra la politica, decide i sindaci, compra voti, sposta ministri e vertici di polizia e ammazza politici quando si frappongono tra loro e i loro obiettivi come accaduto davanti alle telecamere il 9 agosto scorso al candidato presidenziale Villavicencio e, 5 giorni dopo, all’altro candidato Pedro Briones.
La risposta del governo (e i rischi)
Ora il governo che loro considerano alleato ha dichiarato non solo lo stato d’emergenza ma in un video dove si è mostrato unito alle opposizioni ha dichiarato «amnistia e immunità» per soldati e poliziotti che stanno provando a ristabilire l’ordine. Cosa significa? Tutti coloro che sono in divisa possono sparare a chiunque senza doverne ricevere ordine o risponderne.
Questo porterà solo a un peggioramento delle violenze che finiranno davvero per costringere il governo a mediare con i narcos. Qualcuno si venderà la testa di Fito e otterrà dal governo vantaggi per far fermare tutto.
Ciò che sta accadendo in Ecuador riguarda ogni singola nazione d’Occidente e non per coinvolgimento morale, perché più la crisi del lavoro aumenta, più il disagio domina il quotidiano, più difficile e infame diventa il vivere, più il consumo di droghe aumenta. Il sangue dell’Ecuador è generato dalle tonnellate di coca, di eroina (derivante dall’oppio coltivato a Sinaloa), di marijuana e di antidolorifici (fentanyl) di cui il mondo ha sempre più fame. I narcotrafficanti guadagnano dal dolore ignorato dai governi del mondo: le droghe non sono altro che l’antidolorifico terribile e velenoso alla sofferenza e all’ansia generata dal nostro tempo e che travolge milioni di persone.