Corriere della Sera, 11 gennaio 2024
Quanto ci costa la crisi nel Mar Rosso
Poche aree sono militarizzate come le venti miglia di Bab el-Mandeb, lo stretto fra il Golfo di Aden e il Mar Rosso. I ribelli Houthi hanno già preso di mira oltre venti mercantili di passaggio con missili, droni e assalti da scafi e elicotteri. Gli Stati Uniti guidano una coalizione di dodici Paesi a difesa della rotta. India e Pakistan hanno mandato vascelli militari nell’area e così ha fatto l’Iran. Intanto a Gibuti, affacciata sullo stretto, mantengono basi militari la Cina, l’Arabia Saudita e la Gran Bretagna, mentre Mosca manovra la vicinissima Eritrea.
Tra le vittime collaterali di questa tensione rischiano di finire anche le piccole e medie imprese italiane. Dal Mar Rosso, attraverso gli stretti di Suez e di Bab el-Mandeb – secondo il centro ricerche di Intesa Sanpaolo —, passava fino a qualche settimana fa circa il 30% del commercio marittimo mondiale e il 40% di quello italiano; in particolare quello che lega il Paese al Golfo, all’India, fino a Cina, Giappone e Australia. Ora la strozzatura all’uscita del Canale di Suez, dovuta agli attacchi degli Houthi e alle minacce dell’Iran, sta cambiando le condizioni. E non solo dell’import, come quando il 12 dicembre i miliziani hanno incendiato lo Strinda, un tanker norvegese per prodotti chimici che portava materiale per biocarburanti dall’Arabia Saudita all’Italia.
I rincari logistici
Anche l’export da Genova, Trieste o Napoli verso Shanghai sta iniziando a soffrire un rapido deterioramento. Solo nell’ultima settimana il costo della spedizione di un container dal Mediterraneo alla Cina è salito da 153 a 507 euro e il viaggio in direzione inversa è rincarato di poco di meno. I prezzi sono più bassi di quelli seguiti alla riapertura post-pandemica, ma i contratti dell’export lo sono ancora di più.
Il centro studi Divulga, che ha raccolto questi dati dalla piattaforma globale Freightos, spiega l’esplosione dei costi con la scelta di alcuni grandi gruppi di interrompere la navigazione attraverso il Mar Rosso. La cinese Cosco non collega più Israele. Grandi gruppi della logistica come Msc della famiglia Aponte o la danese Maersk hanno interrotto il transito dal Mar Rosso e deviano sulla rotta dal Capo di Buona Speranza, che richiede circa due settimane di più e un milione di dollari in più per tratta solo in carburante. Chi continua a transitare da Suez e Bab el-Mandeb lo fa con i transponder spenti per non essere riconosciuto e sopporta costi dell’assicurazione cresciuti almeno di tre volte e mezza. Il traffico è sceso da 400 a circa 250 navi al giorni, secondo Lloyd List.
I rischi per le Pmi
A soffrire di più sono i tipici produttori del «Made in Italy». Dice Marco Forgione, direttore generale dell’Institute of Export and International Trade di Londra: «L’impatto della crisi di Bab el-Mandeb ricadrà in misura più che proporzionale sulle piccole e medie imprese, perché non possono assorbire i nuovi costi grazie alle quantità. E questo diventerà particolarmente rilevante per l’Italia». Per adesso gli esportatori stanno comprimendo i margini sui contratti già conclusi. Ma in vista dei prossimi accordi con i clienti asiatici, diventa vitale per il «Made in Italy» capire quanto dureranno le strozzature. Secondo Forgione non sarà per breve tempo: «Assistiamo alla trasformazione delle rotte globali del commercio in armi per raggiungere scopi politici», dice.
Armi impari
Gli occidentali hanno promesso di abbattere i droni e l’artiglieria degli Houthi con missili teleguidati, ma non sembra una tattica sostenibile. In primo luogo perché – secondo un responsabile di Bruxelles —, dopo due anni di forniture all’Ucraina, la scorta di missili europei per intercettare i colpi degli Houthi potrebbe durare non più di due settimane. I ribelli lanciano droni da circa 2 mila dollari al pezzo, ogni missile teleguidato per neutralizzarli costa 2 milioni. Anche la strada di un attacco americano sulle postazioni Houthi nello Yemen sembra sbarrata: la Casa Bianca non intende rischiare ritorsioni dell’Iran con strozzature al passaggio dei tanker del Golfo dallo stretto di Homuz, che spingerebbero al rialzo il prezzo del petrolio e l’inflazione nell’anno delle elezioni americane.
Teheran legge perfettamente questi timori: il 23 dicembre il generale Reza Naqdi, comandante delle Guardie rivoluzionarie, ha evocato l’«incubo di Hormuz» e la «chiusura del Mediterraneo anche a Gibilterra». Forse la sua minaccia si riferisce a possibili azioni di pirateria, magari da Paesi dove non mancano i simpatizzanti di Hamas, come l’Algeria.
Di certo gli esportatori del «Made in Italy» sono toccati dalle tensioni del Medio Oriente. Spiega Otello Gregorini, segretario generale della Confederazione nazionale artigiani: «È una crisi a tenaglia. Registriamo ritardi di due settimane sulle consegne, destinati ad aumentare. I piccoli, senza linee proprie di fornitura, sono i più esposti».