DAGOREPORT, 10 gennaio 2024
DAGOREPORT - SGARBI PERDE IL PELO, MA NON IL VIZIO: L’INCHIESTA PER RICICLAGGIO SUL QUADRO DI RUTILIO MANETTI, IN CUI È INDAGATO IL SOTTOSEGRETARIO ALLA CULTURA, È SOLO L’ULTIMO SPIACEVOLE EPISODIO DI UNA LUNGA SERIE – IL PRIMO, CHE CAUSÒ LA ROTTURA CON FEDERICO ZERI, AVVENNE NEL 1984: SGARBI TENTÒ DI USCIRE DAL COURTAULD INSTITUTE DI LONDRA CON UN PREZIOSO LIBRO IN MANO, E FECE SCATTARE L’ANTITACCHEGGIO – IL QUADRO DI AGOSTINO DA LODI CON MAXI-PLUSVALENZA, L’OROLOGIO RUBATO DI ROBERTO LONGHI E L’AUGURIO DI MORTE A ZERI E DANIELA PASTI… -
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. E figuriamoci se uno come Vittorio Sgarbi può cedere alle insidie del tempo e mutare pelle. D’altronde il “critico d’urto” è un osso duro, testardo come pochi, è “il classico figlio del farmacista che non ha mai fatto un cazzo” (copyright Aldo Busi). L’inchiesta, che vede Sgarbi indagato per riciclaggio di beni culturali, riguarda il furto del dipinto di Rutilio Manetti (sparito dal castello di Buriasco nel 2013 e riapparso a Lucca nel 2021 come “inedito” di proprietà dello stesso “Vecchio Sgarbone”) non è il primo spiacevole episodio in cui resta coinvolto il sottosegretario.
Nel suo passato – ah, come ti trapassa il passato! – ci sono altre circostanze incresciose e imbarazzanti. La più sgradevole ebbe luogo al Courtauld Institute, a Londra, nel 1984. Sgarbi all’epoca andò nella capitale britannica al seguito di Federico Zeri, di cui era assistente. Zeri doveva tenere una importante conferenza e Vittorione avrebbe dovuto presenziare, brigando, come ogni factotum fa, per la buona riuscita dell’intervento.
Invece l’incontinente Sgarbi si ritrovò nei guai: tentò di uscire dal Courtauld Institute, portando con sé un prezioso libro della collezione. Essendo la biblioteca dotata di un sistema di antitaccheggio, il suo passaggio fece squillare l'allarme, e lui fu fermato con il volume in mano… Fu tale l’imbarazzo che, da quel momento, Zeri tagliò i ponti con l’allora giovane assistente, il quale ricambiò con spremute di livore e augurandogli la morte in diretta tv, al Maurizio Costanzo Show.
E poi c’è il caso del famoso quadro di Agostino da Lodi, comprato per otto milioni e rivenduto a Leonardo Mondadori per 220, dopo un abbondante restauro.
In un’altra circostanza, la scrittrice e critica d’arte Anna Banti accusò Vittorio Sgarbi di aver rubato l’orologio d’oro del marito, il critico e storico, Roberto Longhi, diffidandolo dal rimettere piede nella Fondazione intitolata a Longhi.
Di questi e altri prodigi, scrisse Daniela Pasti in un articolo del 23 giugno del 1990 per “la Repubblica”. La giornalista, che aveva osato raccontare le vicissitudini di Sgarbi, fu querelata, e poi assolta, con l’accusa di diffamazione. Anche a lei, come già a Zeri, Sgarbi riservò le sue contumelie augurandole il trapasso.
1. IL MONDO DI SGARBI Dalla pagina Facebook MensArte – 4 dicembre 2014
Il mondo di Sgarbi. Querele (fatte o ricevute, condanne e assoluzioni, non importa) e tribunali, molto più che libri e mostre, ed è tutto dire.
Ci avremmo giurato, è il suo stile: Mostra a Bologna, Sgarbi querela Italia Nostra e 130 accademici.
Il presidente di Italia Nostra - Bologna, Daniele Benati aveva lanciato l'appello per bloccare lo spostamento delle opere: "Ma se neanche il ministro può far nulla siamo rovinati sul serio”
Sgarbi: "Se vogliono la guerra, eccomi, e ai miei nemici, tutti i firmatari, dico subito che non saranno invitati all'inaugurazione e che, se vorranno veder la mostra, dovranno pagare il biglietto.”
Certo, a uno che si fa pagare per ogni parola che dice o scrive o per ogni minuto di presenza in Tv o dal vivo, questa deve sembrare la peggiore delle condanne. Peggio dei "devi morire" da stadio che ha augurato nella sua vita ai suoi, non pochissimi avversari.
Tra questi, Federico Zeri (sopravvissuto fino al 1998 alla fatwa di Sgarbi) e Daniela Pasti (viva e vegeta), per un articolo su Repubblica di diversi anni fa. E di questo vorremmo parlare oggi.
E del famoso quadro di Agostino da Lodi comprato per otto milioni e rivenduto a Leonardo Mondadori per 220 dopo un abbondante restauro. E del libro che fece squillare la sirena antifurto del Courtauld Institute a Londra. Il dottor Vittorio Sgarbi, durante una conferenza, aveva tentato di uscire dall'istituto portando con sé un libro della biblioteca dell'istituto stesso. Essendo la biblioteca dotata di un sistema di antitaccheggio, il suo passaggio aveva fatto squillare l'allarme, e lui era stato preso con il libro in mano.
E dell'orologio d' oro di Roberto Longhi di cui Anna Banti (scomparsa nel 1985) denunciò la scomparsa dalla Fondazione intitolata al marito. La signora Anna Banti accusò due volte il dottor Sgarbi di aver rubato l'orologio d'oro e di esserne assolutamente certa. Anna Banti diffidò Vittorio Sgarbi dal rimettere piede nella Fondazione Longhi.
Mina Gregori (tuttora novantenne Presidente della Fondazione) confermò che aveva sentito più volte Anna Banti affermare che Vittorio Sgarbi si era impossessato dell'orologio e che fu lei stessa a dare disposizione perché Sgarbi non frequentasse più la Fondazione, obbedendo a un desiderio della signora Longhi. Non ci sono virgolette, ma tutto questo e altro ancora potete leggerlo in un articolo del 1990, di Daniela Pasti, Io e lui in quel tribunale.
2. IO E LUI IN QUEL TRIBUNALE Daniela Pasti per “la Repubblica” – 23 giugno 1990
Per un quadro, un libro, un orologio Vittorio Sgarbi mi ha denunciata davanti al tribunale di Roma, quarta sezione penale, con l' accusa di averlo diffamato. La notifica mi è arrivata al giornale un giorno di aprile in un foglio pieno di timbri violetti e dall' intestazione austera, portato a mano da una poliziotta in uniforme, con tanto di pistola al fianco. Sapevo che da tempo Vittorio Sgarbi parlava malissimo di me.
Mi aveva telefonato un amico: Come stai in salute? Ieri sera in tivù da Maurizio Costanzo Sgarbi ha detto che vuole la tua morte. Per caso in quei giorni avevo l' influenza. Le voci a Roma volano. Qualche tempo dopo, ecco che un altro amico mi telefona: la sera prima, sempre nel programma di Maurizio Costanzo, il chiacchierato critico ha detto: Ho augurato la morte a Daniela Pasti e lei ha già la febbre.
Da Costanzo, Sgarbi è un ospite fisso quando non è in giro per l' Italia a farsi schiaffeggiare. Io comunque me la sono cavata. La querela, e gli insulti, mi ha definito, con elegante metafora, lavandaia, erano per un articolo uscito quasi un anno prima sul Venerdì di Repubblica. Una breve nota di sessanta righe scritta subito dopo un suo alterco televisivo con una sbigottita preside di liceo che Sgarbi aveva liquidato con un epiteto sbrigativo: Stronza!. Il processo si è concluso giovedì della settimana scorsa, il 14.
Mercurio mi ha chiesto di raccontarlo in questa cronaca. La prima udienza era fissata per il 13 aprile, alla nove di mattina. Una visita al luogo dove, a Roma, viene amministrata la giustizia è da sola un’esperienza che lascia il segno. I palazzi di piazzale Clodio sono una via di mezzo fra un mercato mediorientale e un quartiere appena uscito da un bombardamento.
Alla quarta sezione penale si arriva in modo avventuroso, attraversando lavori perennemente in corso, evitando transenne, buche nel selciato, cartacce e altre immondizie, chiedendo indicazioni a persone che rispondono confusamente, fendendo capannelli di gente che si dedicano a complicati commerci.
Accaldati, sull' orlo di una crisi di nervi, si raggiunge infine la porta giusta. Per fortuna ad accogliermi c' è Oreste Flamminii Minuto, vecchio amico e valente avvocato: per questo processo il giornale ha mobilitato non uno, ma due legali di razza, l' altro è l' avvocato Gianni Le Pera dello studio Gatti, che ci difende in tutti i processi nei quali è coinvolta Repubblica.
Ecco l' uomo che mi vuole morta: pallido, aggressivo, iroso Nell' aula ecco l' uomo che mi vuole morta. Il suo soave pallore è eguagliato solo da quello della fanciulla che lo accompagna. Ma soave non è il suo stato d' animo, che è anzi aggressivo e iroso. Lo dimostra appena comincia a parlare, dopo aver prestato il giuramento di rito.
Lui naturalmente si professa innocente, vittima di un' odiosa congiura: non c' entra nulla con il famoso quadro di Agostino da Lodi comprato per otto milioni e rivenduto a Leonardo Mondadori per 220 dopo un abbondante restauro. E il libro che fece squillare la sirena antifurto del Courtauld Institute a Londra? E l' orologio d' oro di Roberto Longhi di cui Anna Banti denunciò la scomparsa dalla Fondazione?
Calunnie, insinuazioni volgari, pettegolezzi non disinteressati; una montagna di falsità raccolte da una stampa di infimo livello. Il critico parla molto, si scalda, si dilunga. I giudici hanno maschere impassibili. Il presidente è Gabriele Germinara: un magistrato, mi hanno detto, severo ma correttissimo.
Ai suoi lati siedono Giovanni Muscarà, e Luisanna Figliolia: è bella questa giudice a latere che ascolta con espressione imperscrutabile. Invano cerco di cogliere qualche reazione nei loro sguardi. Solo Germinara, a un certo punto, ha un lieve cenno di impazienza e invita Sgarbi a essere più sintetico. Nell' interrogatorio Flamminii fa un colpo alla Perry Mason: dopo aver lusingato il critico con qualche complimento, gli chiede se riconosce l' autenticità di una sua intervista riportata dal giornale La Tribuna di Treviso. Sgarbi risponde di si.
Ma in quell' intervista proprio lui afferma senza mezzi termini di aver convinto Leonardo Mondadori a comprare il quadro in questione. Flamminii legge ad alta voce il passaggio, Sgarbi si sforza di replicare, ma ormai il pasticcio è fatto.
Il mio avvocato chiede che vengano sentiti come testimoni il professor Federico Zeri, la dottoressa Mina Gregori, presidente della fondazione Longhi, e Casimiro Porro, amministratore delegato della Finarte.
Fra le carte che la difesa ha depositato agli atti ci sono anche quelle relative all' istruttoria giudiziaria per interessi privati in atti di ufficio che il critico, che fra le sue molte attività è anche funzionario statale, ha subìto per la storia del quadro e che si è conclusa qualche settimana fa non con l' assoluzione, ma con un proscioglimento per prescrizione del reato. Il nove maggio, seconda udienza.
Alle nove di mattina, puntuali, i miei testimoni sono davanti alla quarta sezione penale. Federico Zeri ha rimandato un viaggio in Asia. Casimiro Porro è venuto apposta da Milano e Mina Gregori da Firenze.
Manca invece Vittorio Sgarbi, che due giorni prima è stato picchiato da un fidanzato geloso. Ci si chiede se arriverà con un occhio nero. Ma il critico non si fa vedere. Dopo un' attesa lunghetta il presidente decide di cominciare.
Nell' aula cala improvvisamente un' atmosfera lugubre quando due carabinieri conducono in mezzo a loro un condannato in ceppi e lo fanno entrare nel gabbiotto degli imputati. Di colpo tace ogni chiacchiericcio, veniamo a contatto con l' aspetto sinistro della giustizia. Ma si scopre che l' imputato è stato portato nell' aula sbagliata; con rumore di ferraglia viene rimesso in ceppi e condotto via.
Per rianimarmi Federico Zeri mi bisbiglia: Guardi che vestito serio ho indossato. Per venire qui non ho messo neanche un lustrino. Tocca proprio a Zeri. Lo interrogano sul caso del libro. Lui attacca con voce forte: Avevo dato la mattina una conferenza al Courtauld Institute dove si teneva un convegno sulla pittura ferrarese; finita la sessione, ero uscito per andare a pranzo con amici e poi avevo raggiunto una libreria a Duke Street.
Al ritorno, quando doveva cominciare la conferenza, fui bloccato a Piccadilly da una colossale manifestazione contro il razzismo in Sudafrica. Finalmente passammo e io arrivai all' istituto e trovai una quantità di capannelli di gente che parlava animatamente.
Chiesi: ma cosa è successo? Mi dissero allora che il dottor Vittorio Sgarbi, durante una conferenza, aveva tentato di uscire dall' istituto portando con sé un libro della biblioteca dell' istituto stesso. Essendo i volumi marcati con un congegno elettronico, il suo passaggio aveva fatto squillare l' allarme, e lui era stato preso con il libro in mano. Rimasi molto sorpreso, ma tutti quanti mi confermarono l' accaduto.
Poi domandai anche a quelli dell' Istituto: ma è vero? Dissero: sì, sì, è vero, ha preso un libro. L' avvocato gli chiede: Lei sa se la signora Anna Banti abbia accusato il dottor Sgarbi di aver rubato un orologio del marito?. Federico Zeri comincia a rispondere, il pubblico ministero lo interrompe: Non può riferire su voci. Il professore s' inalbera: No, no, no, non sono voci.
Mi trovavo alla Fondazione Longhi in presenza della signora quando lei disse: Vittorio Sgarbi qui non deve mai più mettere piede. Io domandai: e perché? Disse: perché ha rubato l' orologio di Roberto.
Io dissi: signora, ma su quali basi afferma questo? Lei: ne sono assolutamente certa. Ripeté una seconda volta: non deve più mettere piede qui, nel modo più tassativo; non deve più entrare. Il pubblico ministero protesta di nuovo: Che sta facendo il teste? Un' arringa?
Federico Zeri ribatte con voce tonante: No, non faccio nessuna arringa. Dico soltanto che la signora Longhi ha accusato due volte Sgarbi, in mia presenza, del furto dell' orologio. Poi ho sentito voci da altre parti, ma queste non sono tenuto a riferirle. Bravo Zeri, verrebbe voglia di abbracciarlo, ma il pubblico ministero cerca di metterlo in difficoltà e gli chiede se ha motivi personali di contrasto con Sgarbi.
Prima del Courtauld no, ma poi a San Severino Marche durante un pranzo gli dissi che non volevo più incontrarlo; infine lui si è scatenato contro di me, una cosa che mi ha lasciato del tutto indifferente. A questo punto anche il Pm s' incuriosisce: Che significa scatenarsi contro di lei? Eh, risponde Zeri, addirittura mi ha augurato la morte in televisione... Oddìo, la cosa è di dubbio gusto, ma ciò non mi riguarda. Tra l' altro io il signor Sgarbi in televisione non l' ho mai visto.
A queste parole, l' immobilità dei giudici viene interrotta da un lampo di divertimento. E' il turno di Mina Gregori Ho sentito più volte Anna Banti affermare che Vittorio Sgarbi si era impossessato dell' orologio d' oro di Roberto Longhi... Sono stata io a dare disposizione perché Sgarbi non frequentasse più la Fondazione. Obbedivo a un desiderio della signora Longhi. Improprio il paragone con Sorel, ricorda molto di più Cicciolina Per tutta l' udienza Sgarbi non è comparso, né c' erano i suoi testimoni.
Forse lo impensieriva un faccia a faccia con Zeri. Per dargli la possibilità di parlare, Germinara decide di fare un' altra udienza, l' ultima, il 14 giugno. Quando stiamo andando via arriva finalmente, sempre pallido e senza nemmeno l' occhio pesto. Eccoci dunque all' epilogo. Questo caso, mi ha spiegato Flamminii, pone un problema delicato e cioè: l' articolo su Sgarbi era di pubblica utilità? Rivestiva un interesse sociale? E' anche con questo criterio che si misura il diritto di cronaca.
Sul fatto che Sgarbi sia un personaggio pubblico, che anzi faccia di tutto per esserlo o apparirlo, non dovrebbero esserci dubbi. Dall' ultima udienza è stato prima messo e poi tolto dalle liste comuniste, s' è visto eleggere in una lista locale del Psi, ha scritto un articolo di protesta perché viene sempre bocciato ai concorsi universitari, ha minacciato di querela una decina di persone ed è riuscito ancora una volta a farsi schiaffeggiare perfino in un luogo pacifico come il Salone del libro di Torino.
L' ultima udienza procede spedita. L' avvocato avversario legge in aula brani dell' articolo, per contestarlo. Se la prende con il titolo: Un Julien Sorel dei giorni nostri e si avventura in un impervio esame del romanzo di Stendhal, per fortuna interrotto dal presidente: Avvocato non vorrà mica riassumerci i due tomi de Il rosso e il nero!. Il Pm si è già pronunciato per il non doversi procedere.
Dopo mezz' ora di camera di consiglio i magistrati mi dichiarano innocente perché il fatto non costituisce reato. Vittorio Sgarbi viene condannato a pagare le spese processuali Giustizia è fatta. Ma sono offesa per come Julien Sorel è stato bistrattato dall' avvocato avversario. Lo riconosco: il paragone dell' eroe stendhaliano con Sgarbi era improprio. Simpatia a parte, lo accosterei semmai a Cicciolina. Sì, molto più Cicciolino che Julien.