il Fatto Quotidiano, 9 gennaio 2024
Ferragni: biscotti e vestiti, altre beneficenze col buco
Il caso Ferragni e beneficenza sembra essere un pozzo senza fondo. Negli anni infatti, l’imprenditrice ha sovrapposto o confuso operazioni benefiche e commerciali così tante volte da rendere difficile il tentativo di spacciare per “errore di comunicazione” quello che invece sembra un sistema collaudato.
In questi giorni è sbucata fuori un’iniziativa legata alla vendita di alcune bambole Trudi con le fattezze dell’imprenditrice. Come ben ricostruito dal settimanale Dipiù, la bambola prodotta da Trudi era stata distribuita nel 2019 con l’intento dichiarato di devolvere i profitti SOLO della vendita online sul sito di Ferragni a “Stomp out bullying”, un’organizzazione americana che combatte contro il cyberbullismo. Dunque i profitti delle vendite della bambola nei negozi e su Amazon NON andavano in beneficenza. Il giornalista Rolando Repossi ha spulciato i documenti online della associazione americana, ma nel 2019 Chiara Ferragni non risulta nell’elenco dei sostenitori e la presidente dell’associazione da lui contattata dice di non conoscere Chiara Ferragni. Dopo qualche giorno dall’uscita dell’articolo, la Tbs di Ferragni ha diffuso una nota: “I ricavi derivanti dalle vendite di tale bambola avvenute tramite l’e-commerce The Blonde Salad sono stati donati all’associazione Stomp Out Bullying nel luglio 2019. L’impegno a favore di Stomp Out Bullying ha riguardato esclusivamente le vendite delle bambole fatte sul canale e-commerce diretto e non anche su altri canali gestiti da terzi”. Dunque Tbs sostiene che la donazione sia stata fatta. Il punto interessante però è un altro.
La riposta, a ben vedere, si mantiene molto sul vago. Quello che il comunicato non chiarisce, intanto, è chi sia stato il donatore. Ferragni (Tbs) o Trudi? Manca anche un dettaglio non trascurabile, ovvero l’entità della donazione. Perché non dirlo? Troppo esigua? Non è neppure specificato se Chiara avesse un accordo economico con Trudi, ma questo lo diamo per scontato. Sicuramente la sua è stata una collaborazione pagata ma non sappiamo a quanto ammontasse il suo cachet e a quanto la donazione. Donazione che per come è costruita l’operazione (in maniera piuttosto torbida) potrebbe essere una cifra qualunque, dal momento che solo il ricavato delle vendite delle bambole SUL SITO DI CHIARA andava in beneficenza. E non invece di quelle vendute su Amazon e nei negozi. Dunque, l’altra domanda è: quante erano le bambole destinate alla vendita sul sito di Chiara? Perché se in beneficenza va il ricavato di 50.000 bambole è un conto, se va il ricavato di 1000 o di 100 è un altro. A leggere le notizie sulle vendite riportate da vari siti (Vogue per esempio), la bambola nell’e-commerce di Chiara è andata esaurita dopo 5 ore, quindi o ne hanno vendute davvero moltissime in poco tempo o erano poche e sono finite presto. L’unica certezza è comunque che anche in questo caso, come per i pandori e le uova, Ferragni ha mescolato un’operazione commerciale con una benefica. E questa vicenda è scivolosa perché se la comunicazione sul sito TheblondeSalad è corretta, c’è invece un video promozionale in cui lei, con la bambola Trudi in mano, afferma erroneamente che l’intero ricavato delle vendite andrà in beneficenza e non – come corretto – solo dell’online sul suo sito. Insomma, una pericolosa confusione.
Ma basta cercare un po’ nel passato e si scoprono numerose altre iniziative di beneficenza e marketing. Il 2 marzo 2020 l’imprenditrice, grazie a un ricco accordo con Oreo, lancia una linea di biscotti brandizzata Ferragni. Un’operazione commerciale a tutti gli effetti accompagnata dall’hashtag adv. Pochi giorni dopo, il 22 marzo, in piena pandemia, come scrive per esempio Novella 2000, “arriva l’ennesimo gesto da parte di Chiara Ferragni. Il buon cuore della blogger ancora una volta prende il sopravvento, e con dei post su Instagram la moglie di Fedez ha svelato che devolverà in beneficenza per un’iniziativa a supporto della lotta contro il Covid il 100% dei ricavati della sua nuova collezione di abiti per Oreo”. La collezione viene venduta come un’edizione limitata a prezzi non proprio popolari. Nella foto promozionale degli abiti venduti per beneficenza Chiara però ha anche i biscotti Oreo in mano e quindi in realtà è un contenuto pagato (con adv). Insomma, come sempre business e buon cuore vanno a braccetto. Un altro episodio sconcertante riguarda invece un’incubatrice. Nell’ottobre del 2021 sua figlia Vittoria, ancora piccolissima, viene ricoverata all’ospedale Buzzi di Milano per un virus. Ferragni pubblica una foto della piccola con la flebo e alcuni selfie con la bambina. Ferragni in quei selfie indossa dei gioielli della sua linea. Il gesto non piace a parecchi follower. Pochi giorni dopo, arriva la solita operazione benefica a riparare l’immagine: l’influencer annuncia che vuole utilizzare i proventi derivanti dalla vendita dei suoi vestiti usati per regalare al Buzzi una nuova incubatrice. Ebbene, anche questa volta però l’operazione ha un aspetto commercialmente vantaggioso: Chiara Ferragni vende sì i suoi vestiti usati, ma su Wallapop, una piattaforma di compravendita dove si acquistano e vendono oggetti di seconda mano, che indovinate un po’? La paga per pubblicare storie in cui lei dice che il ricavato della vendita dei suoi vestiti andrà all’ospedale (l’incubatrice). E infatti nelle storie c’è l’hashtag Adv. Dunque, più che una svista (cit. Amadeus) o un’ingenuità (cit. Fabio Fazio) o un errore di comunicazione (cit. Chiara Ferragni) sembra proprio uno schema andato avanti e collaudato negli anni, con aggiustamenti in corso d’opera. Finché il vaso di Pandoro non si è scoperchiato.