la Repubblica, 9 gennaio 2024
L’antisemitismo nasce dal veleno delle bugie
Per gli ebrei cittadini di Paesi democratici gli ultimi tre mesi del 2023 sono stati i più bui, difficili e pericolosi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dall’indomani del 7 ottobre, giorno del pogrom di Hamas contro i villaggi ebraici nel Negev Occidentale in Israele, le minoranze ebraiche che vivono fra San Francisco e Sidney, New York e Londra, Parigi e Milano, sono state oggetto di aggressioni fisiche – alle persone ed alle proprietà —, offese pubbliche e campagne di odio sui social network che hanno risvegliato i peggiori fantasmi del passato.
Negli Stati Uniti il numero di azioni antiebraiche registrato dall’Anti-defamation League (Adl) è stato il più alto di sempre: 2031 incidenti fra il 7 ottobre ed il 12 dicembre – incluse 40 violenze fisiche, 337 episodi di vandalismo, 250 attacchi a istituzioni e sinagoghe, 400 aggressioni nei campus – con un aumento del 337 per cento rispetto al 2022. Nelle parole di Jonathan Greenblatt, ceo dell’Adl, «è una serie terrificante di atti antiebraici, le Comunità ovunque in America sono inondate dall’odio».
In Australia la tendenza è simile: per il Consiglio esecutivo delle Comunità ebraiche locali dal 7 ottobre l’aumento di atti antiebraici è stato del 591 per cento. A Sidney, un corteo pro-Hamas subito dopo il 7 ottobre ha intonato il canto “gas per gli ebrei”. In Gran Bretagna gli eventi antiebraici finora denunciati sono oltre 1500, a Berlino hanno tirato molotov contro le sinagoghe, in Francia gli attacchi antiebraici sono stati 857 – incluse le Stelle di David sulle case di ebrei a Parigi – ed hanno portato ad un aumento del 430 per cento delle richieste di emigrazione verso Israele.
A Salonicco è stato vandalizzato il museo che ricorda la Shoah, da Madrid a Bruxelles scuole, uffici, negozi e proprietà ebraiche si sentono in pericolo. Ed anche nella nostra Italia, dove l’intensità dell’odio antiebraico è stata forse minore, ebrei con la kippà – il tradizionale copricapo – sono stati insultati, aggrediti, a Roma, Genova e Milano. A Viale Padova, Milano, da una manifestazione con migliaia di persone a favore di Hamas si è sollevato il grido, in arabo, «aprite i confini, dateci gli ebrei».
A subire l’impatto più duro di questa ondata di odio antiebraico sono stati i più giovani, in circostanze assai comuni come eventi sociali e partite sportive. A New York un match di basket fra squadre femminili di adolescenti è degenerato allorché alcune ragazze non ebree hanno pesantemente offeso le ebree, e quando si è trattato di darsi la tradizionale stretta di mano una delle giovani non ebree ha gridato a chi aveva davanti: «Io sostengo Hamas, sporca ebrea!».
Il risultato di tutto questo è stato un’ondata di shock dentro le famiglie, con discussioni nelle sinagoghe o nelle scuole – di città in città, Paese in Paese – se sia opportuno o meno andare in giro con una stella di David al collo, una kippà sulla testa o qualsiasi altro segno esteriore che indichi la propria identità ebraica. Non è certo la prima volta dal 1945 che l’antisemitismo si ripropone nei Paesi democratici ma è la prima volta che si è accompagnato a violenze fisiche. Questa è la linea rossa che è stata superata.
La linea rossa
Gli ebrei americani, europei, australiani sono stati abituati negli ultimi 80 anni ad avere a che fare con offese verbali, pubbliche, di estrema destra, estrema sinistra, di matrice cristiana preconciliare, integralista islamica ed anche con singoli attentati da parte di gruppi armati arabi palestinesi – da Parigi 1981 a Roma 1982 – con tanto di vittime, ma mai prima singoli passanti avevano aggredito così spesso e in così tanti luoghi uomini, donne, anziani, bambini ebrei da Chicago a Los Angeles, da Brooklyn a Marsiglia, da Liverpool ad Amsterdam. Uno sputo, una spinta, un calcio, una molotov, un vetro rotto, un anziano scaraventato in terra. È la violenza fisica contro gli ebrei ad essere tornata fra noi. Il primo sintomo sono stati i manifestini con le immagini degli ostaggi israeliani a Gaza strappati, tagliuzzati e gettati in terra: a Broadway Avenue, New York, come a Londra o Madrid. Poi è arrivato il resto.
Per questo i sopravvissuti della Shoah si sono trovati nella situazione di dover rispondere alle domande di figli, nipoti, amici su cosa pensare davanti a tutto ciò. Soprattutto a causa di una generica indifferenza di troppi davanti al moltiplicarsi di simili episodi. E Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz, ha trovato la forza per ricordare ciò che gli disse Primo Levi: «Può succedere ancora».
Il corto circuito su Gaza
Il moltiplicarsi esponenziale degli atti di intolleranza antiebraici è cominciato – soprattutto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna ed in Francia – in occasione delle proteste pubbliche contro l’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza e contro l’alto numero di vittime civili palestinesi che ha causato. Protestare contro le politiche del governo di Israele è legittimo – anche molti israeliani lo fanno – così come è innegabile lo sdegno per la tragedia dei civili palestinesi, che si trovano nella morsa costituita dagli attacchi militari israeliani e dalla scelta di Hamas di non difenderli, usandoli come scudi umani. Ma tutto ciò non deve portare in alcun modo a legittimare azioni antiebraiche.
Non si difendono le istanze nazionali dei palestinesi dando l’assalto ad una Channukyà accesa nel campus di Yale o aggredendo un ebreo ortodosso mentre cammina a Golders Green. L’antisemitismo che queste azioni rivelano non ha nulla a che vedere con lo scontro di posizioni sul conflitto araboisraeliano, con la battaglia politica per difendere i diritti dei palestinesi, con le legittime critiche a questo o quel leader israeliano né con la polemica nel mondo palestinese sulla leadership di Mahmud Abbas. L’irrisolto conflitto mediorientale è l’ennesimo innesco storico con cui l’odio antiebraico si rigenera, al fine di moltiplicarsi fra noi.
Il veleno delle bugie
L’antisemitismo è la più ancestrale e brutale delle tipologie di odio per il prossimo. Come scrisse il sociologo tedesco-americano Kurt Lewin all’inizio del Novecento, la Storia insegna che «non dipende dal comportamento degli ebrei». Si origina piuttosto da bugie velenose, che generano violenze e riempiono di orgoglio chi le commette. George Mosse, quando lo incontrai anni fa all’University of Wisconsin-Madison, legava il dilagare di tali bugie alla “psicologia di massa” che si impadronisce di popoli interi.
La più antica di queste bugie è stata l’accusa di deicidio: per oltre 1900 anni la Chiesa l’ha avvalorata, causando sofferenze immani a milioni di ebrei in più continenti, ma tutti erano convinti che discriminare, ghettizzare, bruciare, convertire con la forza e rapire ebrei fosse giusto, legittimo, perché erano colpevoli del più grave dei crimini. Dai pogrom dei crociati ai ghetti di Roma e Venezia ogni violenza veniva legittimata dalla bugia del deicidio. Solo Giovanni XXIII, con il Concilio Vaticano II, ebbe la forza personale e l’autorità morale per cancellare quell’infamia che così tanto dolore aveva creato.
Bugia velenosa fu il libello dei “Protocolli dei Savi di Sion” che la polizia segreta dello zar confezionò dal nulla a fine Ottocento per indirizzare contro gli «ebrei padroni del mondo» l’odio delle masse di diseredati che stava per travolgere l’Impero dei Romanov, generando una miriade di pogrom e un domino di pregiudizi giunti fino a noi.
Bugia fu quanto scrisse Karl Marx nella Questione ebraica lì dove identificò gli ebrei come un “popolo classe” delegittimando la loro identità collettiva e dando vita ad un antisemitismo che, una volta creata l’Urss, Josif Stalin portò alle estreme conseguenze perseguitando e deportando tutti quegli ebrei che non accettavano di abbandonare la propria identità per diventare solo e semplicemente “sovietici”.
E bugia ancor più terribile fu quella del nazionalsocialismo sugli ebrei “biologicamente inferiori” e dunque destinati allo sterminio per purificare le nazioni dalla loro presenza. Costò sei milioni di vittime, inclusi 1,5 milioni di bambini. Per mano dei nazifascisti e dei loro numerosi collaboratori. Queste bugie omicide – che oggi riconosciamo come tali – nel corso del tempo sono state considerate assolutamente vere, incontestabili, da una moltitudine di individui, generando violenze immani. Contro le quali le vittime non avevano difese. Perché erano bugie talmente popolari da essere considerate vere, incontestabili. Al punto che chi commetteva tali violenze, imputava poi agli stessi ebrei di esserne la causa.
Ciò non significa che le violenze antisemite di questi ultimi mesi possano far temere immani tragedie, ma ci ricorda quali terribili pericoli una società corre quando inizia a considerare legittime, innocue, bugie velenose nei confronti degli ebrei solo in quanto tali.
Da qui la necessità di individuare oggi le bugie da cui si genera l’odio antiebraico che ferisce le nostre società democratiche. Credo che, osservando e ascoltando chi oggi professa tale odio antiebraico, le falsità più pericolose siano fondamentalmente due. Ed entrambe hanno a che fare con Israele, a conferma che l’antisionismo è il volto contemporaneo dell’antisemitismo.
La matrice di Hamas
La prima bugia è che Hamas è sinonimo di popolo palestinese, dunque chi si batte per Hamas difende tutti i palestinesi. Ovvero, il 7 ottobre è un pogrom legittimo perché Hamas si batte per i diritti dei palestinesi. Ma è falso, perché Hamas è piuttosto un’organizzazione terroristica, fondata nel 1988 con l’intento dichiarato di distruggere Israele ed annientare ogni ebreo in generale, e nel 2007 ha preso il controllo di Gaza rovesciando l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che non riconosce, considerandola corrotta in quanto nel 1993 nacque grazie agli accordi di pace di Oslo con Israele firmati dal leader dell’Olp, Yasser Arafat, con i leader israeliani Yitzhak Rabin e Shimon Peres.
Hamas persegue tanto la distruzione di Israele quanto l’annientamento dell’Anp, che è, invece, la legittima rappresentante del popolo palestinese. Il vero obiettivo che Hamas si attribuisce esplicitamente e fieramente è annientare Israele, l’Anp, gli accordi di pace di Oslo e seppellire il tutto sotto i cadaveri dei nove milioni di israeliani di ogni fede ed origine. Oltreché, va aggiunto, sotto quelli del suo stesso popolo palestinese, deliberatamente usato come scudo umano prevedendo, con un calcolo al di là di ogni cinismo, la reazione dello Stato ebraico al più grande pogrom della storia recente. A rappresentare i palestinesi è invece l’Anp, guidata da Mahmud Abbas, successore di Arafat, e fedele agli accordi di pace di Oslo con lo Stato di Israele, basati sulla formula dei “Due popoli per Due Stati”.
La seconda bugia è l’equiparazione di sionismo e razzismo. Fu creata dal nulla dalla propaganda sovietica nel 1967 per delegittimare l’esistenza di Israele dopo la guerra dei Sei Giorni, nel quadro della Guerra Fredda che vedeva Mosca sostenere i regimi nazionalisti arabi per tentare di insediarsi in Medio Oriente, negando il legame trimillenario fra Terra d’Israele ed ebrei che ha contribuito a tenere in vita un popolo intero durante 20 secoli di Diaspora. A sparare il colpo iniziale fu Nikolai Fedorenko, capo della delegazione sovietica all’Onu, che il 9 giugno 1967 paragonò le operazioni militari israeliane alla Germania di Hitler. E su spinta dell’Urss, l’Assemblea generale dell’Onu, il 10 novembre del 1975, approvò la risoluzione 3379 che paragonava sionismo e razzismo. Ma, finita la Guerra Fredda, il 17 dicembre 1991 la stessa Assemblea generale la annullò e revocò con una maggioranza schiacciante.
Se queste due bugie generano violenza è perché, legittimando Hamas e delegittimando Israele, avvalorano come lotta di liberazione nazionale il pogrom del 7 ottobre 2023 che ha portato alla morte di circa 1200 israeliani ed ai rapimenti di altri 240 – in entrambi i casi, in gran parte civili – istigando subdolamente chiunque condivida questa interpretazione a riconoscere ogni ebreo come un nemico e a colpirlo. Questa è la genesi della violenza fisica contro gli ebrei che ha sorpreso i Paesi democratici.
La lezione di Wiesel
In una serata di primavera, discutendo con Elie Wiesel, al 92Y Center di Manhattan, di antisemitismo poco dopo l’inizio della presidenza Obama, mi disse che l’unico antidoto possibile era «educare le nuove generazioni». Per il premio Nobel per la Pace, sopravvissuto ad Auschwitz ed autore de La Notte, «la battaglia contro l’odio antiebraico deve essere combattuta ogni giorno, con lo studio, perché i pericoli si rinnovano di generazione in generazione».
Ed ogni generazione – dice, citando i suoi studi ebraici – studia ed apprende in maniera differente. C’è dunque qui un suggerimento da ascoltare. Tenendo soprattutto a mente che, in Nordamerica come in Europa, molte delle violenze avvengono da parte di giovani. La risposta migliore è la tesi di Wiesel, a chi sfila gridando qualsiasi insulto contro gli ebrei al fine di attaccarli, eliminarli, delegittimarli, non può che venire dai banchi di scuole ed atenei. «Da qui l’importanza di docenti in grado di farlo» sottolineava Wiesel.