La Stampa, 8 gennaio 2024
Intervista a Brunello Cucinelli
Quando parli con Brunello Cucinelli, dai un senso preciso alla parola “ottimismo”, in linea con quanto detto da Mario Draghi, profeta anche lui del pensiero positivo: «Il pessimismo è uno stato d’animo che non produce. Bisogna essere ottimisti e guardare al futuro come un’opportunità, non come un rischio». E così fa l’imprenditore di Solomeo, 70 anni compiuti a settembre con una grande festa nel borgo, pensando al 2024, anche se le previsioni nel settore della Moda sono di un rallentamento nella crescita.
Inizia un nuovo anno che si annuncia non brillante come il precedente. Rimaniamo ottimisti?
«La moda sta vivendo un grande riequilibrio, dopo la pandemia ci sono stati due anni di crescita paurosi e adesso si torna alla crescita normale, ma interessante».
In casa Cucinelli cosa significherà?
«Nel 2024 prevediamo una crescita del 10% del fatturato, che è un po’ il nostro standard, perché dal 2012 al 2023 siamo cresciuti del 13% annuo. Poi il 2023 è stato eccezionale, con una crescita del fatturato per compresa tra il 22% e il 23% a cambi correnti».
E allargando il campo all’Italia?
«Sono molto positivo, la disoccupazione è al 7%, siamo un paese manifatturiero vero e le cose stanno andando bene. Siamo lo 0,7% della popolazione mondiale, ma la settima potenza economica, significa che abbiamo qualcosa in più. Vedo solo un problema».
Quale?
«Quale genitore sogna che il proprio figlio vada a fare l’operaio, anche se ad alta specializzazione come chi lavora per le aziende del made in Italy? Abbiamo bisogno di tornare a investire sul lavoro, attrarre i giovani, con salari più alti, giusti, e luoghi di lavoro piacevoli. Rivedere le condizioni dell’essere umano al lavoro. Altrimenti il problema che avremo non sarà venderei prodotti, ma trovare chi produrrà certi manufatti. Quando ero un ragazzo il 76% dei diplomati andava a fare l’operaio e poi c’erano impiegati e manager. Ma adesso tra le persone che conosci quanti secondo te faranno l’operaio? Questo è il grande tema e il grande investimento che dobbiamo affrontare. Perché le aziende stanno cercando 500 mila persone e non le trovano».
Dal 18 dicembre il titolo Brunello è entrato nel Ftse Mib, l’indice principale di Piazza Affari, con una capitalizzazione di 5,7 miliardi di euro.
«Una grande emozione, e sono sincero, nel 2012 quando siamo entrati in Borsa era difficile immaginarlo. Proviamo a dare ai nostri investitori un progetto di crescita garbata, equilibrando il profitto e il dono dall’altra parte. Una parte dei tuoi profitti li devi ridare all’umanità».
Tornando al lavoro, lei teorizza che non si debba lavorare più di 7 ore al giorno.
«Non voglio che dopo le 17,30 si sia connessi con l’azienda e nemmeno il sabato e la domenica. Se ti chiedo una connessione perpetua, chiedendoti di rispondere a un messaggio o a una mail ti sto rubando l’anima. E da noi non si può».
In Italia invece c’è il pensiero per cui più stai in ufficio più sei “bravo”.
«Io non la penso così. L’obiettivo è lavorare tutti insieme, concentrati, per le giuste ore. Non ho bisogno di gente stravolta dal lavoro. Poi se ci sono urgenze si lavora, ma non può essere tutta un’urgenza. Non è un modo di lavorare produttivo e nemmeno di soddisfazione».
In queste sue idee sul modo di fare impresa lei ha raccontato che c’entra l’esperienza di suo padre.
«Non posso dimenticare gli occhi lucidi di mio padre umiliato e offeso per la dignità morale ed economica dell’essere umano».
Ha da poco aperto una fabbrica a Penne, il paese famoso per la sartoria maschile.
«Li c’è una grande cultura delle giacche da uomo e li facciamo solo quelle. Penne è come parlare di Maranello per le macchine. Abbiamo iniziato a lavorare in un opificio in affitto ma stiamo costruendo una fabbrica con grandi finestre in modo che chi lavora possa guardare le montagne, avere un luogo di lavoro piacevole».
Non vede un rischio nei tanti brand del made in Italy acquistati dai gruppi stranieri, soprattutto francesi?
«In Italia ci sono una miriade di aziende, qualcuno vuole vendere a fronte di tanti soldi, altri non immaginano una successione familiare. I marchi diventano di proprietà straniera ma la manifattura è italiana. Ed è questo l’importante. Io non credo che stiamo perdendo pezzi, è il mondo che diventa sempre più globale».
Parlando di successioni, lei la ha immaginata?
«In azienda lavorano al mio fianco le mie due figlie Carolina e Camilla, e anche i due generi. Io ho affrontato la successione, con un trust, nel 2012, in occasione dell’entrata in Borsa e ho iniziato a preparare famiglia e azienda».
Il lusso diventa sempre più caro, escludente più che esclusivo. Non trova?
«Del lusso fanno parte prodotti esclusivi di grande artigianalità, che puoi lasciare in eredità. Io oggi ho una giacca del 2016».
Ormai però i prezzi sono altissimi, impossibili per la maggioranza delle persone.
«Penso che in certe occasioni i profitti siano troppo alti, dobbiamo riequilibrarci con la qualità del prodotto».
Iniziano tra poco le settimane della moda maschile. Ancora Italia contro Francia?
«Tre giorni a Pitti, con un defilé aperto a 30 mila persone e poi 3 giorni a Milano, è questa la più bella settimana della moda maschile. Nell’uomo siamo i primi al mondo».
Nel 2019 ha ospitato a Solomeo i big della Silicon Valley tra cui Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Vi rivedrete?
«Abbiamo immaginato di rivederci dopo 5 anni, quindi nel 2024 tutti a Solomeo». —