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 2024  gennaio 08 Lunedì calendario

Intervista a Franco Coppi. Spiega perché non ha più enso indagare sul delitto di via Poma

«Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni è un mostro. Solo un mostro può aver fatto scempio del suo corpo in modo così atroce. Ma quel mostro, signori della corte, non è Raniero Busco». Con queste parole si aprì l’arringa del professor Franco Coppi in corte di Assise, il 26 aprile 2012, che portò all’assoluzione dell’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni. Una storia senza fine, quella del delitto di via Poma, che è tornata alla ribalta tre giorni fa quando i carabinieri hanno chiesto alla Procura di indagare Mario Vanacore, il figlio del portiere dello stabile.
Professor Coppi, nel 2012 disse anche “Non so se il mostro è ancora vivo, probabilmente sta spiando questo processo come un pipistrello sinistro. Continuerà ad uccidere Simonetta ogni giorno fin quando non sarà scoperto”. Sta per succedere?
«Il tipo di delitto dà l’idea che a commetterlo sia stato qualcuno che non stava molto bene con la testa. Capisco l’ansia della famiglia di conoscere la verità, ma il tempo non giova alle indagini e più il tempo passa più eventuali prove, di qualsiasi tipo, svaniscono o si perdono del tutto. Con una ricostruzione dei fatti a 30 anni e la maggior parte dei testimoni che non ci sono più, credo che il tentativo non possa avere grande successo. Mi chiedo anzi, se non sia il caso di tornare sul tema della prescrittibilità anche per i reati come l’omicidio. È vero che è il più grave di tutti i reati ma ha senso continuare ad aprire indagini dopo 30 anni o non è invece più “sensato” e apprezzabile, anche in termini di amministrazione della giustizia, chiudere la partita quando dopo un certo numero di anni si capisce di non riuscire a raggiungere la verità?».
A meno di non avere la prova della “pistola fumante”.
«Ma non mi sembra il caso di via Poma, né di molti altri “cold case”. Anche se capisco, ripeto, le ragioni della famiglia della vittima. Ma con questo ragionamento tutte le persone che in qualche modo hanno gravitato intorno a via Poma e a Simonetta potrebbero essere sottoposte a indagine da un momento all’altro».
Quindi c’è anche un problema di garanzie?
«Certo».
Lei ha difeso Raniero Busco, anche in quel caso l’inchiesta fu riaperta dopo 20 anni “scordandosi” in giudizio una perizia fondamentale come quella fatta all’epoca dal direttore dell’Istituto di medicina legale Angelo Fiori secondo cui sulla scena del crimine c’era il sangue della vittima e di un’altra persona che non era però Busco.
«E c’era anche il problema del morso che sarebbe stato inferto da Busco alla Cesaroni e che non corrispondeva alla dentatura di Busco. Ci fu molta superficialità all’inizio nella valutazione delle prove».
Ora nel mirino degli inquirenti è finito Mario Vanacore, figlio di Pietro, a lungo sospettato a sua volta e morto in circostanze mai chiarite.
«Bisognerebbe conoscere gli atti, ma se il pubblico ministero stesso chiede l’archiviazione significa che ci troviamo di fronte al nulla, perché se ci fosse uno spiraglio di prove avrebbe deciso diversamente. L’accusa ritiene che non ci siano elementi che giustifichino indagini. Probabilmente non si andrà oltre, ma intanto si sta consumando il più pericoloso dei processi».
Quello mediatico? Il mostro sbattuto in prima pagina?
«Certo nome, cognome, foto. È una cosa inaccettabile perché ci sarà sempre qualcuno convinto che potrebbe essere lui e che spiegherà tutti i comportamenti del padre come volti a proteggere il figlio».
Quando lei si occupò del caso di via Poma, difendendo Busco, si era fatto un’idea alternativa?
«No, anche perché io in genere quando affronto un processo mi preoccupo solo di vedere se l’accusa nei confronti dell’assistito è fondata o meno. Non ho mai cercato di difendere andando a cercare piste alternative. Se fosse necessario probabilmente lo farei, ma non mi è mai capitato».
La premier Giorgia Meloni ha parlato del caso di Beniamino Zuncheddu, scarcerato dopo 32 anni di ingiusta detenzione e in attesa della sentenza della Corte d’appello penale di Roma sul giudizio di revisione. Quanto è frequente dalla sua esperienza l’errore giudiziario?
«Non è infrequente che persone innocenti siano raggiunte da misure cautelari e poi alla fine assolte. Questo è tutto sommato fisiologico, la tragedia è quando vengono condannati in via definitiva degli innocenti, come nel caso del pastore sardo».
Lei cita sempre il caso di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima. Lei è convinto della loro innocenza nonostante l’ergastolo a cui sono state condannate?
«È il mio dramma. Si per me sono innocenti e non so come urlare la loro innocenza. L’idea di morire senza essere riuscito ad aiutarle è una angoscia che mi accompagna giorno per giorno»