La Stampa, 8 gennaio 2024
Tusk, il "Che" polacco
Maciej e Jan intrecciano le mani guardandosi dritto negli occhi, separati solo dal tavolino del caffè Mozaika e due fette di torta al cioccolato e mirtilli. A Varsavia nevica, e loro sono felici perché oggi, dopo tre anni di amore, hanno trovato il coraggio di dire alle rispettive famiglie che sono omosessuali, che vivono insieme e che, un giorno, vorrebbero sposarsi. La loro gioia dà la misura di cosa significhi la politica nella vita reale.
In poco più di due settimane uno dei Paesi più conservatori e cattolici d’Europa sta diventando, in netta controtendenza, un argine alla marea delle destre europee che, invece, avanzano ovunque e contagiano le vecchie sinistre continentali, stanche di perdere e sempre più inclini al compromesso. Il neo premier, il moderato Donald Tusk, appare in questa Polonia appesantita da una democrazia ormai incrinata, un baluardo di progressismo.
La svolta della Polonia – dopo 8 anni di governo sovranista e di progressiva erosione dello Stato di diritto -, si legge negli occhi dei due ragazzi seduti al caffè: «Siamo sollevati – dice Maciej Kowalczyk, 31 anni, biologo -, ci sentiamo liberi, più leggeri, normali». Quando i ministri del nuovo governo, per la prima volta, hanno iniziato a parlare di omosessuali senza che venissero associati a parole come «devianza», «ideologia», «malattia», ma anzi come «vittime d’odio», hanno capito che finalmente era arrivato il momento: «Ho chiamato mio padre, che vive a Stettino, dicendogli che avrei voluto presentargli il mio compagno, con cui vivo da un anno. E lui in tutta risposta mi ha detto: “Ah, va bene, l’ho sentito al telegiornale"». Maciej ride: “Ovviamente la tv non parlava del fatto che sono gay, ma della nuova legge per le unioni civili per gli omosessuali. Ma anche solo parlare di noi come persone e non come aberrazione è incredibilmente importante».
In un Paese dove dal 2015 ha governato il PiS, il partito sovranista di Jaros?aw Kaczy?ski (a braccetto con la Chiesa polacca), la svolta impressa dalle elezioni dello scorso 15 ottobre è radicale, progressista e straordinariamente rapida. In otto anni la Polonia era diventata la spina nel fianco dell’Unione europea per l’erosione dello Stato di diritto: il governo aveva alzato muri contro i migranti (non disdegnando push-back illegali), vietato l’aborto, ostracizzato le minoranze, incitato all’odio contro la comunità Lgbtq+, aveva preso il controllo di(quasi tutti) i media e strappato alla magistratura l’indipendenza. Kaczy?ski si era spinto così a destra che la tentazione di paragonare il moderato Tusk a un Che Guevara del blocco orientale è irresistibile: «Il “compagno” Donald ci sta riportando in Europa e nell’anno 2024, fuori dal Medioevo», dice Maciej. Piuttosto, Tusk in questa fase sembraapplicare più una tattica baconiana, dove pars destruens e construens coincidono, strette in un tempo rapidissimo dove si smonta quanto fatto da Kaczy?ski e si ricostruisce tutto da capo. Il governo è formato da una coalizione eterogenea dal punto di vista ideologico e programmatico e spazia dai liberali agli agricoltori, dai centristi ai socialdemocratici fino ai conservatori moderati, uniti da un patto pre-elettorale in cui si impegnano a ripristinare lo Stato di diritto, annullare il divieto quasi totale di aborto, depoliticizzare i media pubblici, perseguire l’incitamento all’odio anti-Lgbtq+, separare Chiesa e Stato. La coalizione guidata dall’ex premier (tra 2007 e il 2014) ed ex presidente del Consiglio europeo (2014-2019), Donald Tusk, contiene tre raggruppamenti: Piattaforma Civica (il partito di Tusk, e membro del Partito Popolare europeo), l’eclettica coalizione della Terza Via (Trzecia Droga) e La Sinistra (Lewica). Per ora sorprendentemente uniti da un’agenda inclinata a sinistra.
La fretta di Tusk è spinta da una promessa: quella delle 100 azioni concrete nei primi 100 giorni. E in meno di tre settimane dall’insediamento ha già approvato una serie di misure che lo mantengono perfettamente in linea con l’obiettivo di «ripristinare lo stato di diritto e il rispetto della Costituzione, riavvicinare la Polonia all’Ue e farle assumere un ruolo da leader in Europa, eliminare le riforme che ha approvato l’ultradestra e che non garantiscono i diritti dei cittadini». Insomma, il moderato Tusk è diventato il baluardo europeo della lotta all’ultranazionalismo, in una Polonia che pare immune all’ondata dell’estrema destra che sta travolgendo l’Unione, con un premier che ha resistito alla tentazione dei centristi europei di avvicinarsi a politiche di destra per poter governare.
Il cambiamento appare sin da subito etico e culturale: nella Polonia dei vescovi la ministra alla Famiglia Agnieszka Ewa Dziemianowicz-B?k ha già presentato due disegni di legge per liberalizzazione dell’aborto, la collega alle Pari opportunità Katarzyna Kotula sulle unioni civili per gli omosessuali. E il nuovo esecutivo ha preso una serie di provvedimenti, alcuni spericolati: Il 16 dicembre varata da Duda la legge sul finanziamento statale alla fecondazione in vitro, nonostante la contrarietà dell’episcopato polacco (l’arcivescovo Stanis?aw G?decki la definisce un «aborto selettivo intenzionale», citando Giovanni Paolo II); il 19 dicembre Bart?omiej Sienkiewicz, ministro della Cultura, ha licenziato i direttori dei media statali (scelti dal PiS e diventati “megafoni” della propaganda), in particolare quelli dell’emittente pubblica Telewizja Polska (TVP), Polskie Radio e PAP. Negli stessi giorni ha nominato i nuovi capi degli uffici per la sicurezza dello Stato, l’intelligence e la lotta alla corruzione. Qualche giorno prima di Natale il nuovo governo ha presentato la nuova legge di Bilancio (su cui Duda ha posto il veto) che prevede, tra l’altro, aumenti salariali del 30% per gli insegnanti e del 20% per gli altri dipendenti pubblici e 10 milioni di zloty (2,31 milioni di euro) per iniziative come una linea di assistenza per bambini e giovani. Entrambi i finanziamenti erano stati ritirati dal PiS. Una settimana fa Tusk ha annunciato che il primo trasferimento di denaro dall’Ue è già in Polonia (Recovery Plan): sono 780 milioni di euro che il PiS non è mai riuscito a ottenere (a causa della Corte di giustizia controllata) e che segna il riavvicinamento alla Unione. In politica estera, Tusk ha ribadito – in continuità con il passato – la posizione in prima linea a fianco della Ucraina, ma ha anche puntato i piedi sui migranti: «Non ci sarà alcun consenso al meccanismo di ricollocazione forzata».
«Diamogli tempo – dice Ewa Budzy?ski, insegnante e attivista -, vediamo se questa proclamato ritorno a una Polonia solidale e democratica si spegnerà o se Tusk sarà davvero in grado di abbattere i muri che ci separano». Il rischio, avverte l’analista Aleks Szcxerbiak è che «l’opposizione al governo uscente e il desiderio di annullarne l’eredità erano, e rimangono, gli elementi principali che uniscono il governo, che sta dando priorità al “regolamento dei conti” con il suo predecessore di destra, ma i polacchi potrebbero stancarsi presto». —a