La Stampa, 8 gennaio 2024
Intervista ad Alessandra Ghisleri
Nel duello tv tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, a prescindere da quando e dove si farà, «entrambe hanno da guadagnare e da perdere», assicura Alessandra Ghisleri. La direttrice di Euromedia Research, sondaggista e osservatrice della nostra politica, si limita a sottolineare la differente condizione di partenza delle due leader: «Una è al governo e ha un gradimento personale del 37-38%, con un’ampia fiducia nel bacino di centrodestra – spiega – l’altra è all’opposizione e gode di un consenso tra il 20 e il 22%, variabile in base alle forze del centrosinistra».
Un gap di popolarità non banale: Meloni ha fatto bene ad accettare il confronto? Non rischia di rimetterci?
«Credo che a entrambe convenga fare questa campagna “teaser”, creare l’attesa in vista del duello tra le due donne leader della politica italiana: puntare i riflettori su di loro e oscurare gli altri, fa gioco al Pd come a Fratelli d’Italia. Mi viene in mente l’annuncio della partecipazione di Berlusconi alla trasmissione di Santoro del 2013, del suo duello con Travaglio, si parlava solo di quello. Quanto al rimetterci, dipende da come andrà il confronto».
Chi vede favorita?
«Nessuna delle due. Meloni è da più tempo in politica, ha un’esperienza, una capacità dialettica e retorica superiori. Oltre a essere, al momento, leader indiscussa del centrodestra. D’altra parte, deve rendere conto dell’attività di governo, delle difficoltà e delle contraddizioni, e questo la rende più vulnerabile. Schlein è 8 anni più giovane, meno esperta e, soprattutto, non è ancora riconosciuta come leader del campo progressista. Ma ha il vantaggio di essere appena arrivata, di non avere responsabilità sul Pd di governo fino al 2022, quindi di poter offrire la sua visione e fare le sue proposte, parlando con maggiore libertà».
È stata proprio Schlein a lanciare la sfida, potrebbe rivelarsi un boomerang?
«Non credo, ma certo per lei sarà un esame importante, non privo di rischi. È l’occasione per dimostrare agli elettori di centrosinistra, in particolare quelli del Pd, che può reggere il confronto con Meloni e può effettivamente incarnare l’alternativa. Se va male, potrebbe indebolirsi a vantaggio degli altri leader del centrosinistra, a cominciare ovviamente da Conte.
Meloni ha scelto lei come avversaria, legittimandola e polarizzando il confronto: i 5 stelle non l’hanno presa bene e dicono che la premier preferisce Schlein perché meno insidiosa. Che ne pensa?
«Non penso l’abbia fatto per questo, ma perché la ritiene la leader legittima, visto che il Pd è il primo partito di opposizione per numero di voti. A destra funziona così: chi prende più voti guida la coalizione. Credo che Meloni abbia solo seguito questo ragionamento e non prenda sotto gamba il duello con Schlein».
Ma un eventuale faccia a faccia con Conte sarebbe per lei più impegnativo?
«Onestamente non penso, perché è vero che Conte ha esperienza di governo e maggiore conoscenza di alcuni dossier, ma allo stesso tempo verrebbe attaccato per quanto fatto nei suoi anni a Palazzo Chigi: rischierebbe di diventare una gara a rinfacciarsi gli errori. Ripeto, anche rispetto a Conte Schlein ha il vantaggio di non aver mai governato, lo stesso vantaggio che aveva Meloni fino a un anno e mezzo fa».
Il dove e quando si farà il confronto sono variabili che possono pesare?
«Sì, perché in base a quando si svolgerà, ci saranno in agenda alcuni temi piuttosto che altri. E il dove non è mai un fattore neutrale, visto che parliamo di quello che potrebbe essere l’evento politico e mediatico del 2024. Sarebbe interessante organizzare una platea di giornalisti di varia estrazione, da Vespa a Mentana, da Porro a Berlinguer e fare una specie di conferenza stampa allargata. Ma mi rendo conto che poi sarebbe impossibile decidere dove trasmetterla».
Ma un confronto televisivo del genere, alla fine, sposta voti?
«Certo non tra destra e sinistra, ma può spostare qualcosa all’interno dei due schieramenti, diventano importanti le sfumature. Nel bene e nel male, si può guadagnare consensi come anche perderli. I telespettatori più interessati saranno Salvini e Tajani da una parte, Conte o Calenda dall’altra».
A proposito di leader, devono candidarsi come capolista alle Europee?
«Il punto è chiarire bene davanti all’opinione pubblica perché ci si candida, anche se poi, una volta eletti, non si andrà a Bruxelles. C’è l’obiettivo legittimo di portare più voti al proprio partito, ma anche quello di aumentare la partecipazione, visto che alle elezioni europee l’affluenza è storicamente più bassa, a maggior ragione il secondo week end di giugno, e la corsa dei leader può essere un incentivo. E poi c’è la voglia di misurarsi con gli avversari e con gli stessi alleati, verificare chi ha più consenso».
A Meloni e Schlein consiglierebbe di candidarsi o no?
«Meloni ha il problema degli alleati, deve mettersi d’accordo con Salvini e Tajani, non può rischiare di destabilizzare la sua coalizione per candidarsi alle Europee. Schlein deve fare i conti con la storia del Pd, abituato a valorizzare i territori, a lanciare candidati forti perché radicati a livello locale. Seguendo questo criterio, riuscirebbe a far sentire rappresentato tutto il partito e ad avere un valore aggiunto nella battaglia proporzionale. Ed eviterebbe il rischio che tutti scrivano solo il nome Schlein, che è anche complicato da scrivere».