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 2024  gennaio 08 Lunedì calendario

Intervista a Valerio Lundini

Se esiste ancora la possibilità di andare in tv con una comicità che si porta appresso termini come stralunata o surreale (mai chiarita del tutto la differenza) quello che ci prova di più è Valerio Lundini.
Classificato in maniera implacabile come giovane, più impegnativo ancora: giovane comico. E per di più con comicità destinata ai giovani (un’impresa titanica). Lundini in realtà avrebbe ormai trentasette anni. Alle spalle il suo exploit più riconoscibile (Una pezza di Lundini )e poi la voglia di musica con repertorio rock anni 50 e un gruppo, come definirlo, surreale e stralunato che si chiama Vazzanikki, per cui si presentano come I Vazzanikki e se non è surreale e stralunato questo allora ditelo voi.
Da venerdì si va di esperimento.
Si chiama Faccende complicate,si parte da RaiPlay e poi, forse in primavera, si va in un canale tv.
Dieci puntate, Lundini gira l’Italia e va a cercare gente strana, spesso molto strana: riunita per esempio a eleggere la nonna più bella e ci va perché la puntata è dedicata al concetto di bellezza e a come viene vissuto oggi. Il resto è il tentativo di applicare un tono serio – ma ci siamo capiti – al mondo bizzarro là fuori.
Irrequieto&inquieto, forse anche l’esatto contrario.
«Se rimanevo in uno studio tv al centro di un programma, qualsiasi cosa avessi fatto avrebbero detto che stavo rifacendo Una pezza di Lundini».
Magari nessuno si sarebbe lamentato.
«Forse, ma non mi andava. Meglio inventarsi un’altra cosa».
Il sottotitolo recita:
Inchieste reali su realtà surreali.
Sicuro che non sia il contrario?
«Se ne può discutere. A me interessava giocare con lo straniamento che può nascere in situazioni autentiche quando arriva qualcuno che si mette a fare domande, capire, forse anche indagare. Nel mio caso, poi,succedeva spesso che nessuno dei presenti mi conosceva e allora le situazioni evolvevano meglio».
E quando invece laconoscevano?
«A quel punto si arriva comunque a un cambio di atteggiamento, c’è la telecamera, c’è la voglia di mostrarsi con un tono e unatteggiamento che risulta alla fine esagerato. E lì inizia a farsi interessante».
C’è gente strana in giro?
«Moltitudini. In una puntata sono andato a Milano a rievocare gli anni Ottanta. E ho incontrato i vecchi Paninari di allora, oggi per lo più sessantenni».
E come ha fatto a trovarli?
«Con Facebook si fa tutto, trovi le cose più impensabili. Questi sono lì, quarant’anni dopo e non hanno mai rinnegato quello che erano, fanno il gruppo social, si ritrovano, ricordano, tirano fuori i fumetti di allora. E poi si finisce a parlare di un progetto di ibernazione».
Dice che forse “Faccende complicate” è una sorta di prequel di “Una pezza di Lundini”...
«Volevo fare una cosa che fosse molto meno scritta: ovvio che c’è un’idea di partenza e che ti prepari cose per una sorta di copione, ma poi devi improvvisare su quello che succede e sulle reazioni della gente. Era quello che volevo».
Non è che si finisce a dileggiare l’interlocutore diciamo impreparato, come fanno molti?
«È un tipo di spunto comico che proprio non sopporto e che ho cercato di evitare. Certo, in alcuni casi diventava un’impresa sovrumana...».
Intere trasmissioni
vivono su questo.
«La simpatica derisione. Negli anni sono passate decine di programmi imperniati su quello. Non la sopporto, non la voglio, cerco di non cascarci mai».
Lei è ancora un rappresentante di una cosa che dovremmo definire nuova comicità?
«Io non sono molto bravo a destreggiarmi con le occasioni che si possono presentare. Oggi soprattutto grazie alle piattaforme, nascono programmi comici a ripetizione: sono combattuto, è chiaramente troppo, ma ogni volta che ci penso concludo che significa lavoro per molte persone e quindi benissimo così».
Controindicazioni?
«C’è una sorta di bulimia di contenuti. Questo non favorisce quello che in realtà vorrei, ovvero veder sbucare da qualche parte, possibilmente in tv, qualcosa che mi faccia dire: finalmente una cosa nuova che mi piace e non mi aspettavo».
Chi la diverte di più?
«I soliti, Lillo e Greg, Antonio Rezza, molti altri. Seguo icomedianstranieri. Ricky Gervais? Meglio nelle serie, direi, a partire da The Office.Nei monologhi ormai insiste troppo sulla spiegazione della comicità scorretta e delle critiche: ovvio che ha ragione lui, ma lo apprezzo di più in altre situazioni.
E continuo a preferirgli Louis C.K.».
La sua amica Emanuela Fanelli è splendida nel film di Paola Cortellesi. E nell’imminente “No activity”, serie di Prime Video, riprende i toni del suo personaggio originario ed è pressoché stratosferica.
«Direi che in molti, grazie al film, si sono finalmente accorti di quanto vale. Ovviamente per me non è una sorpresa”.