Robinson, 7 gennaio 2024
Il collezionista di Happy Days
CODOGNO (LODI)Giuseppe si china e accende il flipper, proprio quel flipper che troneggiava da Arnold’s. Parte la musichetta, sullo schermo scintillano le luci: “1 play quarter” sta ancora scritto sopra la fessura per le monete, una partita, un quarto di dollaro. E adesso non ci sarebbe proprio niente di strano se il cartonato di Fonzie, mica tanto alto, abbastanza magro, prendesse vita e si muovesse, e dicesse «Hey!». Non ci stupiremmo affatto se la felpa azzurra di Potsie, sistemata sul manichino, cominciasse a muoversi animata dal suo goffo proprietario, né se la camicetta di Marion Cunningham, proprio quella che la mamma di Richie indossava nella puntata della sfida a bowling con i colori della “Loggia del leopardo”, ci venisse incontro insieme alla sua legittima proprietaria, che oggi ha 95 anni ben portati, ma in fondo ne avrà per sempre una quarantina.Sarebbe normale se quei giorni felici, i nostri “Happy Days” eterni, ritrovassero d’incanto un senso e una forma, perché soltanto questo desideriamo tutti: tornare laggiù. Il 15 gennaio del 1974, mezzo secolo fa, negli Stati Uniti andava in onda sulla Abc la prima puntata diHappy Days: erano le otto di sera ed era un martedì. Il successo arrivò lento ma inesorabile. Quella sgangherata Pastorale Americana senza dolore i telespettatori italiani l’avrebbero incontrata l’ 8 dicembre di tre anni dopo, e se ne sarebbero innamorati pazzamente. Perché nel rettangolo di vetro della tivù c’erano i ruggenti e morbidi anni Cinquanta di un sogno lontano, colorati come caramelle Charms. C’erano gli adolescenti imbranati nelle prime cotte, una famiglia serena, una specie di fratello più grande col giubbotto nero al quale chiedere del senso della vita, o anche soltanto di riparare una marmitta. C’erano loro a nome nostro, loro col Vietnam e noi con le Brigate Rosse, ma in quei ventiquattro minuti che ogni sera, dal lunedì al venerdì, cascasse il mondo la Rai spalmava ogni santo giorno sulle nostre ferite piccole o grandi, il tempo si sospendeva. Potevamo metterci comodi nel fast food ( e chi mai ne aveva visto uno?) e ordinare un milkshake alla fragola, chissà poi cosa diavolo era. La felicità, probabilmente.Giuseppe guarda il suo flipper e sorride. Quanto l’avrà pagato al rigattiere francese dove lo scovò, non si può dire. «Non una follia, la cifra giusta». Non certo gli 80 mila dollari battuti all’asta per il giubbotto di Fonzie. In circolazione ne esistono solo due, «forse tre, lui mi ha detto di averne ancora uno ma non è dimostrato, con Henry Winkler siamo amici, ormai. Il collezionismo è anche un’ossessione, però bisogna restare almeno un po’ lucidi».Giuseppe Ganelli, medico radiologo a Codogno, la città del “paziente zero” del Covid ( «Il senso di quei giorni, forse lo sto mettendo davvero a fuoco soltanto adesso» ), è il più grande collezionista mondiale di memorabilia legati a Happy Days. Ne ha messi insieme oltre duemila. Insieme al giornalista Emilio Targia, altro cultore della materia, ha scritto un libro monumentale e prezioso, La nostra vita – Tutto il mondo di Happy Days ( edizioni Minerva): un manuale per l’uso di un fenomeno di costume, ma anche un quaderno dei ricordi per ognuno di noi boomer. «È incredibile, non esisteva al mondo un libro su quei telefilm, come si chiamavano allora», racconta Targia. «Abbiamo lavorato duro per tre anni, mettendo insieme tutto, comprese le trame delle 255 puntate che vennero trasmesse per undici stagioni. Nel libro ci sono aneddoti e chicche, come l’esordio di Robin Williams nella parte di Mork, l’alieno che nacque per un cameo proprio in Happy Days e poi diventò una serie autonoma, la celebreMork e Mindy».La nuova casa dei Cunningham è una bella villetta circondata da un prato in lieve ondulazione. Nello scantinato, Giuseppe Ganelli ha sistemato il suo tesoro. L’ha accumulato in oltre trent’anni di caccia, «prima nei mercatini e col passaparola, ho anche fondato un fan club, poi grazie a internet che rende tutto più facile». Un feticista di Happy Daystrova qui il suo paradiso. Ci guardiamo intorno e vediamo fotografie, pupazzi, giocattoli, la tuta da meccanico di Fonzie ( «Me la regalò Henry Winkler in persona» ), tazze, dischi, videocassette, abiti, album delle figurine, giochi da tavola, orologi, bicchieri, puzzle, “il garage di Fonzie”, “Fonzie in moto”, giradischi, freesbee, asciugamani, oltre svariati cimeli in cornice, come l’attestato del “Guinness dei primati” che nel 2018 certificò i 1.439 pezzi della collezione di Giuseppe, «ma oggi abbiamo superato di parecchio i duemila». Ci sono curiosità assolute, come “La gomma di Fonzie”, il chewing- gum della Elah che in pochi ricorderanno. Oppure i lumini di Fonzie, dove il nostro eroe è circonfuso dall’aureola come un santo.«Ho cominciato per gioco, da bambino mi regalarono il pupazzetto di Fonzie. Avevo dieci anni. Poi è arrivato il resto, però non è stato un caso. Quei telefilm erano ben diversi da Furia oLassie, c’era dentro il sogno americano. Credo che un collezionista non raccolga oggetti ma tempo, e alla fine metta insieme parti di sé per fermare gli anni. Qualcosa di maniacale, ma anche poetico. Il nostro libro è nato una sera a cena, abbiamo chiesto la prefazione a Henry Winkler che l’ha scritta e riscritta con scrupolo: a quel punto, il libro dovevamo farlo per forza».Quanta vita si è incagliata qui sotto, negli strani abissi di una tavernetta. Le onde scure di un invisibile oceano muovono gli oggetti come alghe, accarezzano il busto in ceramica di Fonzie, i contenitori del sale e del pepe di Marion e Howard, le spille, gli accendini, una specie di altarino per Joanie, l’attrice Erin Moran, “Sottiletta”, morta di cancro dopo una vita difficile, la solitudine, la droga, «era Happy Daysla sua vera famiglia, finita quella, finito tutto». Anche papà Howard Cunningham ( Tom Bosley) non c’è più, anche Alf di Arnold’s (Al Molinaro), anche Arnold’s in persona (Pat Morita). Non basta radunare i pezzi di un relitto, per scongiurare il naufragio.E un giorno, chissà, forse Giuseppe Ganelli riuscirà a recuperare anche il mitico giubbotto nero, magari in eredità dal suo amico Arthur Fonzarelli che ormai viaggia verso gli ottanta, e comunque lunga vita a “The Fonz”: manca solo quel pezzo, alla montagna incantata che gli scaffali e il libro hanno provato a riordinare. Veramente, mancherebbe anche il famoso jukebox che Fonzie faceva partire con un colpo secco: nel volume di Ganelli e Targia si apprende dell’esistenza di un certo Bob, l’addetto di scena che infilava la spina del jukebox ( lui stava nascosto dietro) nell’istante magico. La meraviglia di chi, nell’ombra, sa far partire una musica.