Corriere della Sera, 7 gennaio 2024
In morte di Francesco Amirante
«Bisogna sforzarsi di essere un giudice illuminato e restare un oscuro magistrato». Ha improntato la sua vita a questo principio Francesco Amirante, presidente emerito della Corte costituzionale, scomparso a Roma a 90 anni, a seguito di una caduta e una emorragia cerebrale. Il massimo della discrezione Amirante lo coniugava a una cultura giurisdizionale sterminata: alimentata al Massimario della Corte di cassazione ma soprattutto, diceva, «dai colleghi nelle discussioni in Camera di Consiglio». E riteneva l’autoironia una «virtù fondamentale per un magistrato». Nato e laureato a Napoli, in Magistratura dal 1958, era stato pretore a Forlì, Vicenza e Lagonegro. Poi alla fallimentare del Tribunale a Napoli. Quindi in Cassazione: in sezione Lavoro e alle Sezioni unite. I suoi colleghi lo vollero giudice costituzionale. Sua la bocciatura del Lodo Schifani: la non punibilità delle 5 più alte cariche dello Stato, scrisse, violava l’art. 1 su l’uguaglianza dei cittadini. E sua, da presidente, la difesa della Consulta che bocciò anche il lodo Alfano: «Dichiarare l’illegittimità di una legge rientra nello svolgimento del principale dei compiti della Corte. Forse ora la vera bizzarria potrebbe consistere nel meravigliarsene».